Manifesti, flyer e altro materiale cartaceo sparso ovunque sulle superfici della saletta rendono l’atmosfera foderata e crepitante. Il legno dei tavoli espira silenzioso le macchie di alcol assorbite in anni. Un odore di residuo di birra e straccio umido aleggia intorno al lavandino e una creazione artistica fatta con la cera di diverse candele e dei tappi di fritz kola fa da ornamento al bancone. Sono a una serata di autofinanziamento chiamata Internationalistischer Abend, una cena il cui ricavato è destinato a varie iniziative di solidarietà internazionale. Per qualche ragione mi trovo dietro il bancone a servire. Qualche settimana fa ho conosciuto una ragazza italiana, avevamo conoscenze in comune, lei mi ha invitato a bere una cosa con un suo amico tedesco, abbiamo chiaccherato e bevuto birra e in qualche modo sono finita a dare la mia disponibilità per un turno bar dalle 21 a chiusura in questo Haus Projekt storico nel quartiere di Friedrichsain. Sono a Berlino da pochi mesi e tutto mi succede addosso, senza che io ne abbia davvero voglia.
Gli avventori della serata sono quasi tutti tedeschi, quel genere di persone della sinistra radicale che si vestono unicamente con colori spenti e fuori moda, tutti molto alla mano e un po’ timidi, sembrano usciti da un mondo parallelo in cui i telefoni hanno ancora i tasti, non esistono i grandi marchi della moda, si ricicla tutto e il cous cous con le carote è il piatto base dell’alimentazione.
Si susseguono al bar con dei sorrisi aperti e un fare modesto, molti hanno più di quarant’anni e abitano in questo quartiere da quando era ancora parte della Repubblica Democratica Tedesca, ordinano quasi tutti birra. Uno di loro siede al bancone fin dall’inizio della serata e non si sposterà mai di lì. Non riesco a definire la sua età, ma la faccia è parecchio rugosa e i capelli che escono da un cappellino da baseball verde militare sono biondi e bianchi. La visiera del cappello gli copre mezza faccia e rimane col viso basso, verso terra, per tutta la serata. Interazioni con il resto del mondo zero, a parte che con una persona, me. Infatti questo animale da bancone preistorico, da quando si è seduto fino a quando non chiudiamo, a intervalli regolari di venti minuti, fa un cenno con la mano e quando mi avvicino biascica qualcosa che suona come “ainshterni”. Chiede una Sterni, che dopo poco deduco essere il soprannome di una delle birre che si vendono in quel bar, la Sternburg. Quella cantilena, “ainshterni”, mi rimarrà in testa a lungo insieme alla stima per la determinazione del tipo che, da solo al bancone in una serata come tante, si è bevuto silenziosamente e senza colpo ferire ben tredici Sterni.
La Sternburg è una birra antichissima. Originariamente, nel tredicesimo secolo, un piccolo birrificio della Sassonia produceva la sua birra locale, come accadeva in quasi tutti i cosiddetti dorf, i villaggi di origine germanica che autoproducevano uno dei prodotti più amati dalle popolazioni di quelle terre: la birra, appunto. La Germania infatti prima dei tempi moderni, della riunificazione, dell’industrializzazione e della globalizzazione, era un territorio disseminato di piccoli birrifici indipendenti che dall’Editto della Purezza in poi, emanato nel 1516 da Guglielmo IV di Baviera, mantenevano più o meno intatti i metodi artigianali di produzione e la qualità degli ingredienti utilizzati per realizzare la mistura di malto e luppolo più famosa del mondo. Ogni villaggio aveva la sua birra, che era una parte dell’identità del luogo, nonostante le tradizioni birraie fossero solo tre (pilsner, lager e weiss) e spesso tra una birra e l’altra non ci fosse praticamente alcuna differenza. Se la modernità ha in parte distrutto la tradizione delle piccole produzioni locali a favore dei grandi marchi che ne hanno raccolto la tradizione, proiettandola su scala industriale, la varietà di birre in circolazione è ancora altissima e l’identità rimane un elemento importante nel rapporto tra i tedeschi e la birra che bevono.
Nel 1822, un commerciante ambizioso, di nome Maximilian Speck, acquistò il terreno su cui era stato edificato il birrificio di Rittergut-Lutzschena, nella regione orientale della Sassonia, come pascolo per le proprie greggi. Insieme al terreno ereditò anche gli strumenti per la produzione di birra e organizzò un modello avanzato e funzionante di fattoria che combinava virtuosamente il pascolo, la coltivazione di luppolo e il processo produttivo della birra. La sua birra ebbe fin da subito un grande successo a livello locale, diventando la più bevuta dei villaggi circostanti e divenne nota anche a Lipsia, la città più importante dell’area. Quando, nel 1882, il re di Baviera Ludovico I volle conferire a Speck un titolo nobiliare per i suoi meriti nei reparti della cavalleria bavarese, egli decise di aggiungere al suo nome la dicitura Von Sternburg, da cui il nome odierno della birra. Il birrificio Cavalier Von Sternburg da quel momento in poi continuò ad estendersi, affermandosi come birra locale e diventando un’attrazione turistica per i cittadini di Lipsia e dei territori circostanti.
La Sternburg diventa così, nel giro di qualche decennio, la birra per eccellenza della Germania dell’Est. Con l’instaurarsi della Repubblica Democratica Tedesca, l’azienda fondata da Speck viene espropriata e nazionalizzata, sotto la supervisione della Direzione per le Bevande di Lipsia (VEB GetrankeKombinat). Per diversi anni la Sterni fu la birra simbolo della DDR, con un discreto giro di export in tutti i paesi del blocco socialista. Dopo la riunificazione tedesca fu fondata una società privata di nome Strenburg Brauerei GmbH, la quale, dovendo però all’improvviso misurarsi con la concorrenza di tantissime altre birre prodotte con metodi spesso più avanzati e ingredienti di migliore qualità e non potendo più contare sul bacino di esportazione del blocco socialista, ebbe un drastico calo nella produzione.
Dopo diversi tentativi di rilancio e di ridefinizione del prodotto, con l’aggiunta di diversi e nuovi tipi di Sternburg, solo nel 2006, quando viene acquistata dal gruppo Radeberger la Sterni torna a conquistare una fetta di mercato importante: in quell’anno arriva a rappresentare il 9% delle birre vendute nella Germania dell’Est. Un risultato importante considerando che fino a quel momento la Sterni, nelle sue varie sfaccettature proprietarie, non era mai ricorsa all’aiuto della pubblicità e del marketing. Dal 2006 la Sterni ha compiuto invece delle scelte di mercato intelligenti, che in un settore sempre più concorrenziale e sfaccettato le hanno permesso di rimanere a galla. La produzione di birra in Germania infatti rimane molto alta, con un totale di 88 milioni di ettolitri nel 2016 (l’Italia, per capire meglio le proporzione, di ettolitri di birra ne produce circa 18 milioni ogni anno), anche se oltre 25 milioni al di sotto del massimo storico del 1992.
In questo quadro la Sternburg sopravvive, pur non brillando, con una stima che si aggira tra i 600.000 e i 700.000 ettolitri di produzione l’anno, che la collocano intorno al ventesimo posto in Germania. In ogni caso, nonostante l’operazione di marketing e i relativi investimenti, nell’ultimo decennio la quota della birra sul mercato tedesco è scesa dall’1,3 allo 0,9 % del mercato federale, a cui corrisponde ovviamente un calo nei Land dell’Est, dove l’azienda trova la maggiore fetta di clientela. Nei territori della ex DDR infatti la birra copre ancora un dignitosissimo 7,8% del totale delle birre vendute.
Qualche mese dopo il mio primo incontro con la Sternburg e un suo accanito bevitore della Berlino Est, mi capitò di nuovo di imbattermi in questa strana birra con la stella disegnata sul tappo. Aspettavo un amico davanti al supermercato Kaiser di Kottbusser Tor, al posto del quale ha aperto, ormai da qualche tempo, una hamburgueria dall’arredamento minimal. Lui era in ritardo di venti minuti e io avevo girato già due sigarette di tabacco e scrollato dieci volte la bacheca di Facebook. A un certo punto, in preda alla rassegnazione, avevo trovato uno scalino sul quale poggiare il sedere per sopportare meglio quell’estenuante attesa: come tutti i ritardatari, non riesco ad arrabbiarmi seriamente per i ritardi degli altri, ma in ogni caso covo un senso di frustrazione, che è soprattutto insofferenza, per essere anche io una di loro. Seduta su un gradino a Kotti mi capita di fare, per la prima e ultima volta nei miei quattro anni di vita a Berlino, un gesto che da solo indica il livello della mia disperazione. Infatti, dopo qualche secondo, acquisto da un giovane sdentato e zoppicante lo Strassenfeger, giornale che homeless, tossici e gente perduta di vario genere vende per sbarcare il lunario della giornata. Mi era già capitato di vedere in metro o per strada gente avvicinarsi con una rivista in mano, ma l’avevo sempre evitata con un nein danke preventivo, nemmeno fossero testimoni di Geova. Stavolta invece il tipo si avvicina a me quasi saltellante sulle stampelle, tutto magro e traslucido, e mi sorride porgendomi questo giornalino sottile. Per qualche motivo, senza dirgli nulla, inizio a frugarmi nella borsa in cerca di euro dispersi, ne trovo uno e cinquanta e li do al tizio, che sorride ancora di più, mostrandomi ancora meno denti. Prendo in mano il giornale, già pentita di averlo acquistato, e lo sfoglio distrattamente. Capisco pochissimo il tedesco e guardo praticamente solo le immagini di articoli ordinari sui trasporti, sul cinema e sulla salute. A un certo punto, però, ci sono due pagine di vignette dal titolo Superpenner. In quel momento non sapevo che Penner in tedesco volesse dire vagabondo, ma dando un’occhiata ai disegni vedo che si tratta delle avventure di un barbone che si trasforma in supereroe. La trasformazione avviene sorseggiando una birra. Questo mini fumetto attira la mia attenzione e provo a capire cosa ci sia scritto. Non riesco a comprendere molto, ma mi rendo subito conto che il barbone si trasforma in un eroe urbano bevendo Sternburg, per l’esattezza una Sterni.
La Sterni, negli ultimi dieci anni, ha fatto del suo prezzo basso e della sua tradizione radicata nella Germania dell’Est un punto di forza identitario e una prospettiva commerciale in grado di massimizzare le vendite, targetizzando fortemente la clientela di riferimento. La Sterni infatti è una delle birre più economiche in circolazione: una cassa da venti bottiglie, acquistata al supermercato, costa circa 8 euro, vuoti esclusi, mentre negli Spaetkauf, le botteghe di quartiere aperte sino a tardi, una Sternburg cosa 0.80 centesimi. Con la sua aurea di icona post-socialista, oltre che tra i tedeschi dell’est, ha trovato un notevole seguito negli ambienti giovanili urbani e nelle subculture. Citata nelle canzoni dei gruppi punk e stendardo degli alcolisti squinternati di Berlino, la Sterni conquista per il suo approccio pragmatico e un po’ nichilista, per cui al di là dei sofismi della moda e delle trovate hipster sulla birra artigianale e sulla qualità, quello che davvero conta è la possibilità di bere tanta birra. La Sterni sta lì a ricordarci che quando si tratta di birra la quantità viene prima della qualità, e nonostante viviamo ormai immersi nell’era della farina di farro, del bio, e del senza olio di palma, il messaggio della Sterni ha ancora un potere evocativo non indifferente. Il resto della clientela lo crea il fatto che la birra costa pochi centesimi in più del reso del vetro, praticamente con tre bottiglie di Sterni vuote puoi averne in cambio una piena, e via così verso l’orizzonte dell’autosussistenza alcolica.
Dal 2006 in poi il nuovo corso aziendale ha saputo capitalizzare tutti questi elementi, già presenti nell’immaginario legato alla birra, impilando una serie di azzeccate mosse di marketing. In quell’anno è stato realizzato dall’agenzia mediale 4iMedia il magazine online dei fan della birra, chiamato prosaicamente Das Sterni, dove sono presenti aneddoti e informazioni legate alla birra e dove i lettori possono inviare le loro esperienze di vita legate alla Sternburg. A questa inziativa è seguita la creazione di un punto di incontro per gli appassionati nei pressi del birrificio di Lipsia, dove si può andare a visitare il sito di produzione della Sterni e acquistare una serie di gadget legati alla birra. Inoltre, dal 2009 si è svolto, fino al 2016, a Lipsia, lo Sternburg Fanfest, un evento di musica e arte dove far incontrare tutti gli amanti della Sterni. Nel 2011 durante una grande manifestazione antirazzista a Lipsia “Freiheit statt Angst” (libertà invece che paura), un team della Sternburg, che era nel pieno della sua nuova strategia comunicativa, ha iniziato a distribuire birre alla manifestazione con addosso la divisa della polizia tedesca, ma con la scritta Brauerei (birrificio), al posto di Polizei.
Sempre nel 2011 esce la prima e ultima campagna di guerrilla marketing del marchio Sternburg, che approfitta delle elezioni berlinesi per stampare e attaccare una serie di poster che ritraggono gli “oppositori” della Sterni con una frase che spiega la loro contrarietà alla birra. Ovviamente questi Sterni Gegner, come vengono chiamati, hanno tutte le caratteristiche che la clientela alternativa e radicale della birra non vorrebbe assolutamente avere. Compare ad esempio un uomo di mezza età in giacca e cravatta che afferma “Se fosse più cara la berrei”, oppure una signora bionda vestita elegantemente e piena di gioielli che si chiede con la faccia schifata “Una birra dell’Est? Sono persino autorizzati a farlo?” o ancora un uomo in divisa con l’espressione truce che dice “No, questa crea sempre e solo problemi”. Insomma a partire dai deprecabili oppositori della Sterni, la campagna definiva in negativo a quale pubblico la birra fosse diretta, contribuendo a creare l’immaginario alternativo della Sterni.
In tutto questo alternativo universo c’è un tassello che manca. Nonostante i numerosi riferimenti alla tradizione e alla storia, che la promozione della birra non manca di valorizzare (basti pensare allo slogan “Merke dir”, che vuol dire “Ricordati”) quella che i vertici della Sterburg promuovono è più che altro una memoria selettiva. La rossa Sterni infatti omette attentamente alcuni aspetti del suo passato che sono alquanto meno accettabili e folkloristici dell’epopea socialista. Nel sito c’è una pagina intera che ricostruisce passo passo la storia del birrifico dal Medioevo a oggi. Eppure, stranamente, non compare nessun riferimento al periodo Nazionalsocialista. Ovviamente in un paese come la Germania la lacuna non poteva passare inosservata. In molti infatti hanno polemizzato con i riferimenti alla tradizione della Sternburg, che non tengono conto delle pagine più buie dell’attività del birrificio.
Attraverso uno studio dei documenti storici portato avanti da due ricercatori di Lipsia si evince che già nel 1933, prima ancora dell’ascesa del nazismo al potere, diversi esponenti di spicco del gruppo paramilitare “S.A. Sturm 21” erano impiegati nel birrificio Sternburg. Negli scritti di alcuni di loro si fa direttamente riferimento a una cellula di lavoratori del birrificio che viene considerata con orgoglio una delle più radicate della regione. Allo stesso modo, nei testi dei gruppi di ispirazione operaia e marxista ci sono appelli espliciti al boicottaggio della birra a causa della presenza egemonica di leader nazisti all’interno della fabbrica. Ai boicottaggi sono seguiti i sabotaggi, soprattutto da parte dei lavoratori delle ferrovie che riuscirono in diverse occasioni a bloccare i rifornimenti di materie prime del birrificio bloccando di fatto la produzione. A quel punto la direzione dell’azienda prese le distanze, anche qui in forma scritta, dalle attività politiche di molti dei suoi dipendenti, dichiarandosi estranea ad ogni inclinazione politica. Pochi mesi dopo, tuttavia, con Hitler al potere, la situazione si rovesciò. A tutti i dipendenti della Sternburg veniva chiesto di esprimere pubblicamente il proprio appoggio al regime nazista, e la Sternburg beneficiò dei beni confiscati agli sport club, spesso non allineati al regime, che venivano sciolti ed espropriati dai nazisti. Dal 1940 in poi, inoltre, nel birrificio della Sternburg iniziò ad essere impiegato il lavoro forzato. L’azienda andò avanti fino alla fine della guerra grazie al lavoro gratuito di migliaia di prigionieri deportati dai protettorati di Boemia, Moravia, Slovacchia, Polonia e Francia, zone progressivamente invase ed assoggettate al Terzo Reich. La Sternburg divenne a tutti gli effetti un campo di lavoro e prigionia per migliaia di persone durante la seconda guerra mondiale. Pur non essendo in cima alla classifica delle aziende tedesche che hanno perpetrato crimini contro l’umanità durante il nazismo, la Sternburg è stata comunque protagonista di una tragica ingiustizia storica.
La terza volta che ho avuto a che fare con la Sternburg è stata la più traumatica e coinvolgente in assoluto. Fino a quel momento della Sterni conoscevo quasi unicamente il prezzo. Era una serata di primavera ed ero stata invitata ad una festa da una ragazza tedesca che frequentava il mio stesso master. Mi ero integrata pochissimo in quei due anni con gli altri studenti e in generale non mi invitavano spesso alle feste e io la prendevo con grande filosofia. La maggior parte dei miei “colleghi” infatti erano più giovani di me, ambiziosi e diligenti negli studi, mondani e modaioli nella vita sociale. Io, nei primi due anni a Berlino, ero invece un orso scontroso e solitario travestito da donna quasi trentenne. Il mio umore però stava cambiando e andava verso la svolta mistica in cui mi sarei aperta a Berlino, cosi quella sera avevo deciso di accettare l’invito e mi ero vestita con i capi più hipster dell’armadio, avevo messo un po’ di rossetto e quando l’aria fresca di fine aprile mi aveva avvolto la faccia uscendo di casa mi ero convinta che la vita era bella e anche quella festa un po’ middle class di compagni di master poteva rivelarsi inaspettatamente gradevole. Cosi, nei pressi dell’appartamento, nel quartiere di Prenzlauer Berg, ero entrata nel primo Spaeti a tiro per comprare qualcosa da bere da portare alla festa. Guardandomi un po’ intorno e dando un’occhiata al portafoglio avevo optato per l’acquisto di cinque birre, nello specifico cinque Sterni, che al modico prezzo di cinque euro mi avrebbero consentito di presentarmi in maniera dignitosa. Cosi, con la mia busta di cinque bottiglie dall’etichetta bianca e rossa e un mezzo sorriso tra le labbra, citofono e salgo i quattro piani del vecchio edificio in cui si tiene la festa. Entro e la padrona di casa mi accoglie con un abbraccio freddo; andiamo subito in cucina, dove altri amici stanno fumando sul ciglio della finestra aperta. Due minuti di “hey” “hey” reciproci e poi per rompere il ghiaccio dico “Should we put these in the fridge?” mentre apro un po’ la busta svelandone il contenuto. Uno dei ragazzi che fumano in finestra dice “oh my god sterni, I cannot drink that” gli altri scoppiano a ridere. Rido anche io, per inerzia, e ci metto un po’ a capire cosa sta succedendo e perché. La padrona di casa nota il mio spaesamento e mi mette una mano sulla spalla “oh come on sterni is totally fine”. A quel punto mi rendo conto di aver comprato una birra notoriamente di merda. Il mio primo e ultimo tentativo di integrazione con l’ambiente sociale dei giovani altolocati fallisce miseramente in quel momento. A quel punto non voglio più nemmeno sforzarmi di recuperare e alzo semplicemente le spalle in un “sorry, it was the cheapest one” che loro trovano divertente, pensando sia una battuta. Ringrazierò per sempre la Sterni per questa pessima figura, che mi è stata da lezione: chi nasce tondo non può morire quadrato, e chi nasce Sterni non può morire Prenzlauer Berg.
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Immagine di copertina: Screenshot: Jungfernfahrt der »Sternburg-Bahn« – Radeberger-Gruppe hat ein neues Werbeflaggschiff in Leipzig
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