Greta Thunberg, i Fridays for future, l’ambientalismo come fenomeno di massa (e non più per i pochi sensibili al tema), i movimenti collegati a questa ondata di proteste, come The Climate Mobilization. Come orientarsi nel marasma di informazioni, opinioni e contro-opinioni che sta esplodendo da mesi a questa parte con (sembra) una forza senza precedenti?
La molteplicità degli sguardi e delle interpretazioni è inevitabile, oltre che sana e giusta, ma il rumore generato non deve far naufragare in un mare di indistinzione e caos i temi importanti in gioco.
La mia idea è di non farsi mancare un po’ di elasticità mentale e – senza assumere posizioni radicali da un lato o dall’altro – provare a fare ordine e capire, o almeno provare a capire, come leggere questo fenomeno, soprattutto sul versante mediatico.
Per cominciare, un primo grado di lettura complessiva, più o meno superficialmente, inquadra la problematica principale come una guerra per l’opinione pubblica. Il tema dell’attenzione all’ambiente è passato, soprattutto negli ultimi anni, da un messaggio diretto alla sensibilità delle persone a un messaggio di necessità impellente per la sopravvivenza del genere umano: c’è bisogno, a livello globale, di modificare il rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale. In fretta. Questo partendo anche dalla constatazione del fatto che ormai da anni si parla di antropocene, ovvero di un’era in cui è l’uomo a impattare sulla natura in modo predominante e non più viceversa.
Nel corso degli ultimi decenni l’opinione pubblica e la politica sono state ampiamente sensibilizzate su questi temi, almeno in Europa. Tuttavia, quello che emerge oggi, è una valutazione di insufficienza nei confronti di un processo di cambiamento troppo lento, in risposta al bisogno di andare oltre al “prendere in considerazione anche l’ambiente” e passare a una diversa scala di priorità: l’ambiente deve essere messo al primo posto. Prima delle inclinazioni personali e delle scelte facili per l’uomo, prima del consumismo e di tutto quello che c’è dietro alla produzione dei beni di uso quotidiano, ma non solo, anche dietro alla produzione di energia, global trade e movimento merci, smaltimento rifiuti, così come molto altro ancora. Tutti temi che direttamente o indirettamente, impattano sullo stile di vita delle persone.
ALCUNE PREMESSE IMPORTANTI ALLA LETTURA DI QUESTO FENOMENO
Oggi viviamo in un mondo innegabilmente complesso, dove la piena comprensione dei meccanismi della politica e dell’economia insieme alle loro ricadute concrete – alleanze, logiche di partito, prese di posizione, flussi di denaro, investimenti, antagonismi, policies e accordi internazionali, ecc. – è più che altro un’utopia per la maggior parte delle persone (si pensi solo alla fatica fatta per mettere a conoscenza l’opinione pubblica di una cosa complessa come il TTIP – Transatlantic Trade and Investments Partnership).
Un mondo che è stato definito – in modo opinabile, ma non senza motivo – post-ideologico. Dove cioè non ci sono più sistemi di pensiero forti (come lo sono stati le vecchie ideologie politiche), ma spesso occorre (o così pare) entrare nei più minuti dettagli di ogni questione per comprenderla a pieno. Per avere anche solo un’idea valida di cosa è giusto o sbagliato. Un mondo dove è rimasto poco spazio per prese di posizione pubbliche legate a ideali forti, comprensibili ai più, con tutti i pro e i contro di questa situazione (Eliane Glaser, Bring back ideology: Fukuyama’s end of history 25 years on, The Guardian, 21 Marzo 2014, “What remains an open question is whether these developments – dramatic as they are – will actually result in anything. Leaderless and programme-light dissent keeps failing to cohere, fragmenting into online petitions and single-issue campaigns”).
Un mondo dove, per questo e per altri motivi, oggi imperversa il più facile e flessibile “populismo senza radici” (consentitemi di chiamarlo così), ovvero il ricorso a una retorica semplificata e accattivante che consente di prendere posizioni anche fortissime, però non affonda le radici in una strategia o struttura di pensiero coerente nel tempo. Un discorso pubblico che conseguentemente è inaffidabile, soggetto a continui cambiamenti strategici, spesso incoerenti o addirittura (è il caso eclatante di personaggi come Trump, Bolsonaro, Salvini e altri) del tutto sradicati dal dato reale nelle loro boutade (per saperne di più, Anna Maria Lorusso, Postverità, Laterza, 2018).
Greta Thunberg intesa come fenomeno mediatico deve sicuramente essere letta tenendo conto di questa caratteristica di “incontro” fra una realtà “liberale” che è anche liquida e complessa e un linguaggio politico dominante di tipo iper-semplicistico e instabile/incoerente. Si tratta di un elemento distintivo rispetto al passato. La figura di questa giovane ragazza presenta infatti notevoli differenze rispetto a chi l’ha preceduta nelle lotte per l’ambiente, a partire appunto dal contesto all’interno del quale viene letta e rispetto a cui si pone in chiara e perfetta antitesi.
LIVELLI DI LETTURA
Per entrare un po’ più nel dettaglio, proviamo almeno grossolanamente a distinguere alcuni livelli di lettura. Partiamo dalle emozioni:
L’incertezza è qualcosa di cui non si può non tenere conto oggi. Mina il giudizio (radicato per lo più nella sfiducia nei confronti di ogni messaggio rivolto alla “popolazione” e nei confronti delle istituzioni in particolar modo – Alexander Damiano Ricci, Gli effetti della sfiducia nelle istituzioni, VOXEUROP, 2019) così come mina la fiducia nella validità delle tesi espresse in sede ufficiale/istituzionale (che vengono degradate al valore di una chiacchiera da bar, dove vince chi urla più forte) dalle quali non ci si aspetta altro che di essere delusi.
(Per approfondire sul tema dell’incertezza, del suo valore e ruolo, questa interessante lezione di Luciano Floridi)
Di fatto, non è ingiustificato chi non crede al cambiamento climatico. Da un lato, non c’è unità assoluta nell’affermarne l’urgenza (c’è sempre chi perora la causa del “cambiamento inesistente” o chi devia il discorso incitando alla ponderatezza, come per esempio fa e ha fatto in passato Paolo Mieli, dall’altro c’è comunque una base fortissima di scetticismo a priori nei confronti di chiunque si affacci sulla scena pubblica globale.
Inoltre, il messaggio ambientalista ha un carattere apocalittico che – non senza motivo – spaventa e per questo genera facilmente una reazione di rigetto.
In positivo, invece, l’appello di Greta Thunberg ha finalmente chiamato in causa i ragazzi (non uso il termine giovani perché abusato) e ha generato un interesse fortissimo da parte di una generazione (ma anche più di una) che si considera solitamente sopita o disinteressata alla vita pubblica (Sky TG24, Greta Thunberg, la ragazza che fa scioperare il mondo contro il riscaldamento globale, 23 settembre 2019). Tant’è che in un primo tempo è stata proprio la sua giovane età a portarla sotto le luci della ribalta, insieme agli appelli a “risvegliarsi” diretti alla sua generazione. Appelli mirati e specifici, almeno fino ad ora al di sopra delle parti politiche.
Appelli che, si può dire, sono stati ascoltati da moltissimi. Un punto di totale novità e assoluta distintività che ha fatto di Greta Thunberg una vera rappresentante dei ragazzi e un personaggio pubblico importante a livello mondiale.
Da un punto di vista più ponderato invece emerge un altro versante:
Se da un lato siamo in un’epoca “post-ideologica”, dall’altro ideologie in piccolo spuntano un po’ dappertutto, spesso in forma di funzionalismi esasperati (in tutti i campi della vita, dalle motivazioni sottostanti i trend sul cibo, al modo in cui l’amore è socialmente interpretato e mostrato), oppure in forma di prese di posizione su temi caldi, come (appunto) nel caso del cambiamento climatico, ma anche la questione dei migranti (tema non del tutto scollegato dal primo – Benjamin Schraven, Le migrazioni climatiche in Africa, 15 luglio 2019, ISPI online).
Il tema del cambiamento climatico mette a dura prova la già stanca società contemporanea democratica e occidentale, presa in un costante flusso di cambiamenti e poche garanzie per il domani. Contemporaneamente l’ambientalismo ha storicamente assunto caratteristiche iper-moralizzanti di forte critica al modo di vivere contemporaneo, al modello capitalista, al consumismo, insomma, alla contemporaneità in tutte le sue forme quotidiane più appaganti e rassicuranti. Con derive anche estreme.
Per questo motivo l’ambientalismo è stato spesso considerato:
Il risultato di questa percezione è una fortissima esigenza di coerenza, che da sempre è stringente per gli ambientalisti per poter fare presa sull’opinione pubblica, ma è anche l’obolo da pagare per chi davvero desidera fare la differenza: una scelta molto dura.
A questo poi si aggiunge la sensazione di essere rifiutati e criticati, dagli ambientalisti, che provano le persone “normali”. Un rifiuto della società, della realtà quotidiana contemporanea, in nome di un ideale che – almeno nell’immediato e per un periodo di tempo incalcolabile – comporta sacrifici. Ci si sente profondamente criticati da parte di chi professa questo ideale, la cui retorica spesso ha marciato sulla proiezione verso le masse di un forte senso di colpa. E come ci insegna un’osservazione rapida di molte campagne di comunicazione a tema sociale (o politico!), l’effetto shock funziona solo a volte e limitatamente nel tempo, mentre la paura e il senso di colpa generano, per lo più, rabbia e se proiettate sul pubblico con un (anche ipotetico o immaginario) senso di superiorità, rigetto.
Parte fondamentale del messaggio di cui la figura di Greta Thunberg si fa non solo portatrice, ma vera e propria incarnazione, è la sua appartenenza alla generazione che “si vede rubato il futuro” – che finalmente prende la parola e non è più parte passiva e strumentale di discorsi altrui – e la sua totale abnegazione e “purezza”: nulla in Greta Thunberg è fashion o frivolo, ma nemmeno totalmente austero o ascetico, e nulla, almeno in un primo momento, faceva pensare a eminenze grigie, secondi propositi, interessi di tipo personale.
IL DISCORSO DI GRETA ALL’ONU
Nei suoi diversi discorsi in sedi istituzionali importanti Greta Thunberg ha cambiato progressivamente la propria strategia e retorica facendo crescere gradualmente l’argomentazione fino alla presa di posizione netta e chiara che l’ha definitivamente lanciata in orbita all’assemblea delle Nazioni Unite a settembre di quest’anno (qui una lista dei suoi discorsi)
Le critiche. A destare attenzione, al di là degli iper-discussi toni emotivamente marcati del discorso, su cui torneremo fra poco, sono state le scelte fatte in preparazione di questo evento.
Greta Thunberg, per coerenza, ha viaggiato fino agli Stati Uniti a bordo di una barca a vela e ogni scelta riguardante lo spostamento in loco ha seguito criteri ecologici. Tuttavia non è affatto difficile notare quanto “inutilmente” dispendiosa sia stata questa operazione e quanto, se Greta Thumberg viaggia eco-solidalmente, non è così per le persone che lavorano con e per lei, come ad esempio l’equipaggio della barca.
Il risultato di queste decisioni, considerando il rilievo che il personaggio di Greta Thunberg ha assunto in così poco tempo a livello mediatico, è stato di trasformazione per quella che era nata come la nobile iniziativa in piccolo – ma divenuta grande – di una teenager, in una vera e propria messa in scena ad uso e consumo dei media, con il bilancio che hanno sempre questo tipo di iniziative: tutti hanno tratto il loro piccolo profitto, ma si è persa la genuina “verità” dell’azione.
Se la figura di Greta Thunberg ne è uscita per molti versi rafforzata, con una presa di posizione più solida e un seguito ravvivato in tutto il mondo, anche i suoi detrattori hanno avuto di che parlare, lavorando su più fronti contemporaneamente:
Inoltre, la traversata in barca ha rischiato di allontanare chi sente forte anche il parallelo tra lotta sociale (includendo nella critica al capitalismo anche globalizzazione, migrazioni e lotta di classe) e ambientalismo odierno. Infatti l’impressione è di avere davanti un’operazione “fasulla” di puro marketing o, se non altro, l’ennesima ragazzina “ricca” e manipolata per non si sa quali scopi, non si sa da chi. Tutto questo, passando unicamente attraverso l’impatto emotivo della traversata in barca.
Un’operazione simile (e di successo) era stata messa in piedi nei confronti di Al Gore, personaggio di “stazza” senz’altro maggiore (e più complessa) rispetto a una ragazzina. Era candidato alla presidenza degli Stati Uniti nel 2000, precedentemente vicepresidente per Bill Clinton dal ’92 al ’96 e vincitore del Premio Nobel per la pace nel 2007. Un personaggio di cui in pochi (soprattutto giovani) tuttavia conservano vera memoria e nei confronti del quale, in occasione per esempio dei concerti Live Earth da lui organizzati e sostenuti era stato mosso lo stesso tipo di critiche ora mosse nei confronti di Greta Thunberg e della sua traversata, o delle manifestazioni per il clima. Riassumibile nel banale, ma per certi versi potente: “siete incoerenti perché inquinate di più manifestando, state a casa”.
Visto come vanno le cose sotto Trump, viene da chiedersi: ad Al Gore hanno forse dato un premio (il Nobel), e così se lo sono tolto dalle scatole? Incensato e immediatamente dimenticato. Certo, oggi, ci si fida molto meno di un politico che di una sedicenne, specie se con Asperger e Svedese. E vige sempre la regola per la quale, difronte ai soldi, ogni ideale crolla e la purezza dei personaggi simbolo rischia seriamente di sgretolarsi. Motivo aggiuntivo per il quale rallegrarsi, in un certo senso, che a Greta Thunberg non sia stato assegnato un premio Nobel che sarebbe (per altro) stato basato sull’ottenimento di scarsi (o poco evidenti) risultati concreti, almeno fino ad adesso.
I punti di forza. I discorsi e la figura di Greta Thunberg hanno avuto la forza e la capacità di attrarre le attenzioni di una generazione solitamente indifferente ai sommovimenti della vita sociale e della politica. Hanno acceso entusiasmo, tradotto dubbi, paure, percezioni, in atti concreti e prese di posizione forti, in totale contro tendenza rispetto alla politica. Dato voce a chi pensava di non poter essere ascoltato, o peggio, di non avere niente di importante da dire: i ragazzi di tutto il mondo.
A questo appello ovviamente si sono uniti molti altri. Ma questo tipo di messaggio non poteva che provenire da una ragazza come Greta Thunberg? Perché è così forte e carismatico il suo personaggio? E che effetto fanno le sue emozioni?
Greta Thunberg è un personaggio pubblico che si è inserito in questo contesto canalizzando, attraverso di sé, le tematiche legate all’ambiente, ma non solo. La sua figura è diventata un simbolo trasversale a tematiche differenti e importante per diverse ragioni, in modo particolare il suo essere molto giovane e il suo essere donna.
Grazie a queste due caratteristiche Greta Thunberg è una vera ventata di aria fresca. E al contempo, seppure in contrasto con le figure di potere di oggi, è una figura affatto debole. Brilla per determinazione, carisma, eloquenza. Parla un inglese impeccabile, è concentrata, diretta, implacabile. Non maschera le emozioni. Greta Thunberg è un modello di comportamento molto forte e totalmente al femminile. Una figura di polso, tranchant, ma anche in dialogo, emotivamente riscaldata, presente e che riesce a non far sentire in secondo piano chi aderisce alle iniziative: è difficile che scateni invidie, per lo più, attira solidarietà e crea voglia di partecipare.
Abbiamo quindi alcune assiologie di fondo su cui tutta la struttura della comunicazione e dei contenuti si regge e si articola, e che spiegano la forza del consenso e delle critiche che hanno investito Greta Thunberg:
AUTORITARIO (es. Trump ecc.) vs. DIALOGANTE (es. Greta)
MASCHILE (es. Trump ecc.) vs. FEMMINILE (es. Greta)
SPREZZANTE (es. Trump ecc.) vs. PASSIONALE (es. Greta)
DISTANZIANTE (es. Trump ecc.) vs. AGGREGANTE (es. Greta)
POLITICIZZATO (es. Trump ecc.) vs. SOCIALE (es. Greta)
Quello che poco sorprendentemente ha fatto molto discutere, nel bene e nel male, è stata la fortissima presa di posizione di Greta Thunberg e la manifestazione di rabbia durante il discorso alle Nazioni Unite. Questo tema della rabbia e del dolore espressi in sedi istituzionali, in un certo senso, riassume e rilancia con forza tutte le criticità che già facevano parte del personaggio (con criticità intendo elementi dalle letture molteplici che costituiscono punti di attenzione e fanno sorgere domande). Proviamo a riassumerle e a capire come mai si tratta di elementi d’attenzione:
UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA
Ma il discorso di Greta Thunberg è stato più di una semplice esternazione di rabbia e frustrazione. Quella di Greta è una vera e propria dichiarazione di guerra fatta in sede istituzionale. Lo conferma anche la forma del messaggio, oltre alla sostanza, per organizzazione retorica, struttura, scelta di parole e incisività: una continua contrapposizione, un’accusa, una constatazione della presenza di due parti contrapposte. Una dichiarazione di guerra al potere dunque, all’establishment di cui lei stessa parla e di cui critica i modi ipocriti e le belle parole a fronte di scarsi e insignificanti provvedimenti. Una guerra che va, anche se in modo metaforico, al di là del problema del clima e sicuramente al di sopra delle parti politiche, mettendo in luce altre questioni collaterali di natura sociale e culturale:
LA DOMANDA CHE TUTTI SI FANNO PERÒ È: DOPO LE MANIFESTAZIONI, CHE COSA?
Polly Toinbee si chiedeva sul Guardian già ad aprile 2019, circa le proteste del movimento Extintion Rebellion, “what comes next”? Che cosa viene dopo?
Ce lo si chiede anche in Italia. Greta Thunberg sparirà in una nuvola di fumo, a un certo punto? O si “andrà ai materassi”? Il suo discorso è stato di fatto ostile, una dichiarazione di guerra, una promessa di lotta. Qualcosa a cui non siamo più abituati e da cui ci aspettiamo di essere traditi a breve. E questa disillusione butta ancora più “merda nei ventilatori” da parte dell’opinione pubblica. La sola che sembra contare davvero e che in un sistema democratico, per quanto poco rappresentativo, a un certo punto, non può essere ignorata. In aggiunta, il premio Nobel ha gettato una blanda ombra di arrivismo sul personaggio che sarebbe stata difficile da rimuove se il premio, Greta, lo avesse anche vinto.
Insomma, che cosa ci riserva il futuro? È possibile risolvere la questione climatica? Sono le due domande del nostro tempo, la cui risposta implica una soluzione a questi temi che passa inevitabilmente attraverso un ripensamento radicale e una soluzione ampia a molte più problematiche di quelle a cui si pensa in un primo momento. Dobbiamo rassegnarci al pensiero che, se viviamo in una società liquida e complessa, abbiamo il vantaggio di una maggiore elasticità e scarse barriere concettuali. Eppure abbiamo anche lo svantaggio di non poterci più nascondere dietro alle ideologie e pretendere di separare in compartimenti stagni, isolandole, problematiche vaste come quella della crisi climatica mondiale.
Allo stesso tempo è bello vedere i ragazzi in piazza. Una generazione che finalmente si rende partecipe di qualcosa di davvero importante, che prende parte attiva (con una risonanza pazzesca) alla vita pubblica. Che ravviva la speranza per il futuro. Non più una generazione rappresentabile come ignava e social-dipendente.
Forse il merito più grande di Greta Thunberg è l’aver saputo esercitare con successo quella capacità di riflessione e coscienza critica che pedagoghi di fama mondiale come Paulo Freire (purtroppo per Bolsonaro che lo vorrebbe cancellare dalla memoria storica del Brasile) avrebbero voluto insegnare a tutti i bambini. La capacità di aver criticato appunto. E di aver coinvolto nella critica senza, in qualche modo, risultare escludente. Chissà se e quali ricadute concrete questo avrà in futuro. Dovrebbero, in ogni caso, scavare nei propri ricordi quei politici tra i 65 e gli 80 anni (una buona parte!) che hanno fatto il ’68 e che ora si sentono infastiditi da questi “bambini” che alzano la voce.
La ricaduta concreta di queste proteste, ad ogni modo, è davvero la scommessa finale per un futuro che non si può certo conoscere anticipatamente, ma sicuramente si può tradurre nell’impegno a breve termine di un venerdì speso a battersi in piazza, non per Greta Thunberg, ma per una causa comune e senza partito, combattuta su un terreno democratico dove bisogna credere che il pensiero dei più conti ancora qualcosa. E poi il resto si vedrà.
Marta Pellegrini vive faticosamente a Milano (ma sotto sotto la ama), è di Torino (la ama spudoratamente), ma ha girato come una trottola per diversi anni. Un pezzo di cuore è rimasto a Berlino. Ha uno spirito ribelle che l’ha portata a lavorare con Onlus come Gruppo Abele e Libera Contro le mafie. È molto curiosa e ama tutto ciò che unisce creatività, letteratura e tecnologia. Nella vita si occupa di ricerche
di mercato con un focus sul settore media, grazie a un bizzarro background in semiotica e design.
Ama il gelato al cioccolato fondente, odia la ‘nduja e se dovesse mai fare bungee jumping avrebbe
decisamente bisogno di qualcuno che le desse una spinta forte.
Immagine di copertina: wikicommons
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