Avvertenza al lettore: questo articolo va letto ad alta voce con un po’ di vergogna teatrale, mangiando voracemente le lettere, leccandosi le dita e vomitando dittonghi sotto forma di urli in chiave di R.
Un giorno, d’improvviso, mi è mancato l’italiano. Tanto mi sono sforzata di apprendere un altro idioma, l’inglese, che ho dimenticato, scordato, obliato, cancellato, eliminato, archiviato, smantellato, messo da parte il pensiero di pensare in italiano.
Così, per trovare un compromesso fra piacere (l’italiano) e dovere (l’inglese), ho iniziato a cercare su Reverso Context, una ad una, la traduzione di questi termini ed espressioni che quasi voglion dire la medesima cosa; da italiano ad inglese:
dimenticare, to forget
scordare, to forget
obliare, to forget
…
Sì, caro lettore, quasi. No, “la stessa cosa” non andava bene! Sinonimo non è “gemello di”, ogni termine ha vita propria nella ramificazione della propria tonalità, una gradazione regolata dalla combustione di, dice il semiotico, significante e significato! Come ti sentiresti tu ad avere una copia di te stesso? Senz’anima! Ecco come! Deprivato della tua stessa essenza! E che ti hanno fatto, caro lettore, quei piccoli terminucci rinchiusi in mattoni-per-schiacciar-fiori, per meritarsi la denominazione di anonimi sinonimi?
Esistono le SsSsSsSsfumature.
E bada bene che l’italiano è permaloso, sa’! E capriccioso. E anche vizioso. Ah, quanto gli piace confondere le idee, maliziosamente giocare a far metafore!
Oh mio bell’uccello sul mio davanzale stai,
hai beccato la mia uva, dei semini in becco hai.
Se li concedi a me, non cederai al rimorso:
che di Passerina io ti fo assaggiare un grande sorso!
Ah, l’italiano! È una carezza sul collo prima di diventar mazzata, ché se lo semplifichi è troppo poco, se lo impomati ben benino diventa pomposo e inizi a scomporti sulla sedia facendo circonduzioni col collo per cercare di continuare a leggere quella tortura che, uh che strazio!
Ma prima o poi arriverà al punto? Per non, parlare della: punteggiatura tutta. sballata. Ah, che dolore al petto! Nonononono, caro lettore, bisogna trovare un compromesso, ché l’italiano se non è perfetto, poco ci manca. E il compromesso è il patto d’amore che si stipula tra l’animale uomo e il suo verso.
Quindi ho steso, composto, stilato, mi sono presa la libertà di compilare, ho deciso presuntuosamente di redigere, per il caro lettore, un manifesto sulla superiorità di quella razza di linguistica italiana, di modo da rinfrescarne la bellezza della sua di lei propria fortunosa sorte scritta e orale.
Sulla superiorità di quella razza di linguistica italiana #1: la lingua italiana a volte ridonda di erre e questo è bello foneticamente. Punto. Fine. A me basta. Perché l’italiano è una lingua cruda!
Crrrrruda.
E mi dispiace per chi ha la erre moscia e si perde tutte le smorfie che la bocca può fare nello scandire le parole quando accosta g, c, b, d, t alla erre. Erre. Erre. Rrrrr. Rinoceronte ricoverato per rantolii rari che con rammarico ricrea arrugginiti rastrelli rigati. È importante che abbia un senso? No, viva Iddio! No! No! NO.
Sulla superiorità di quella razza di linguistica italiana #2: siamo ricchi. Ricchi che moriremo senza mai sapere il significato di tutti i lemmi che esistono nel nostro vocabolario; cioè non conosceremo mai tutte le cosiddette, così nominate, in tal maniera battezzate, parole desuete. Come uzzolo. Uzzolo, tipo: “Ma che bella giornata, ho proprio uzzolo di passeggiare per le verdi campagne toscane”. “To’, c’è una rosticceria dall’altro lato della strada. Oh, che uzzolo di pollo arrosto!”. Oppure: “Ma con quanta facondia favelli del vocabolo uzzolo. A me sembra pleonastico, inane e financo pletorico strofinar così a fondo i panni in Arno”. “Oh icché tu dici? Solo m’aggrada ripescar di tanto in tanto qualche locuzione a volte obsoleta. Oh perché te tu, stolida creatura, non ti rinnovi mai? Che misoneista!”
Sulla superiorità di quella razza di linguistica italiana #3: le cadenze dialettali e i testi delle canzoni.
Citazione: Vorrei entrare dentro i fili di una radio e volare sopra i tetti delle città. Incontraaaaaaare le espressioni dialettali, mescolarmi con l’odore dei caffè.
Le Rondini, Lucio Dalla
Comma 1: le cadenze dialettali.
L’italiano c’ha i dialetti e quinni è duttile. Ma nun lo vedi quant’è duttile? A cì, ma te lo sto a dì! L’italiano è duttile! Se po’ fa’ de tutto: lo pji, lo sbomballi, lo schioppi, lo sconocchi, poi lo riciancichi, lo manni giù a garganella e quello che è, se riciccia. Che c’è? Ah t’arimbarza? Ah sì? E sti gran ca…!
Comma 2: i testi delle canzoni.
Ma perdincibacco, hai mai provato, tu lettore, l’eccitazione di percepire il contenuto esatto d’ogni singola parola perché appartiene alla tua madrelingua? E hai mai provato, con tale consapevolezza, ad ascoltare il coro de L’infanzia di Maria di De André sdraiato su un pavimento di legno con uno stereo potentissimo attaccato all’orecchio e un volume da brivido che sbarbichi il soffitto per donarti coscienza dell’esistenza delle stelle?
Beh, guarda, caro lettore, fallo e poi mi dici:
Sulla superiorità di quella razza di linguistica italiana #4: i proverbi. La lingua italiana è un’ancora di salvezza. Se t’aggrappi alle parole in qualche modo te la cavi ogni volta. Per questo la legge è sempre interpretabile! Ma i proverbi, quelli non lasciano tanto scampo a congetture, i proverbi sono – bam! – lo spigolo del mobile per il mignolo. Eppure, se li pratichi, quanto sale in zucca guadagnato!
Sulla superiorità di quella razza di linguistica italiana #5: l’autoironia.
Ti chiederai, lettore, ma superiorità di che? C’è da esser razzisti rispetto a cosa? Con che avversario ha da competere la lingua italiana? Con nessun rivale caro lettore, ché ogni lingua regge il confronto solo con se stessa. Il resto è un dilemma estetico al pari del paragone tra le arti: diciamo, a ognuno la sua.
Ma, sai che c’è? Che secondo me sbeffeggiarsi un po’ alla lingua italiana ci proprio piace.
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