Caro papà,
lo so che è il destino della maggior parte dei figli sopravvivere ai propri genitori, ma mi aspettavo di avere più tempo con te.
Speravo che mi avresti insegnato ad essere una persona vera, che sappia bastare a se stessa. Consapevole e sicura di sé.
Mi hai dotata di tutto il necessario: una voce sensuale, un’intelligenza pungente e una delicatezza gentile fanno parte di me, grazie a te. Ma non mi hai fatto perfetta, sono debole, proprio come lo eri tu.
Queste cose le so perché me le hai dette tu, non le ho scoperte da sola.
Mi hai lasciato incompleta. Sono fallata e prigioniera delle parole con le quali mi hai incatenata al tuo reame.
Il velo con cui mi ha coperto gli occhi non è servito ad evitarmi lo strazio. Non ha schermato gli sguardi altrui avidi di conferme, non ha impedito alla sofferenza di attraversare la trama larga del tulle. Ha fatto sì, piuttosto, che l’incertezza paralizzasse i muscoli, che anche quella minima forza che mi sarebbe bastata per sollevare il drappo venisse meno.
Come il moncherino di una coda di lucertola, giro impazzita su me stessa cercando di capire a cosa fossi attaccata, da dove vengo. È solo questione di tempo prima che mi accorga di essere un arto reciso, un lembo di carne senza più linfa vitale, un’anonima protesi di qualcosa che non esiste più.
Mi hai resa musa di un genio impazzito, mi ero illusa che fosse il tuo modo di dimostrami affetto, che in realtà fossi tu Lui, in Persona. Pensavo che prima o poi ti saresti rivelato e che così facendo avresti svelato anche me, avresti, infine, permesso alla mia pelle di accaldarsi all’incrociare di sguardi curiosi. Speravo di potermi finalmente vedere riflessa nelle cornee lucide di emozione di chi mi stava di fronte. Mi sarebbe bastato anche poter provare quello sgomento aggressivo di un cane che si vede allo specchio per la prima volta. Ma non mi hai concesso neanche questo. Perché mi hai voluta tenere nascosta? Forse mi volevi proteggere: impedire al mondo di scoprire le mie fattezze mi avrebbe salvato dalla sua crudeltà, dal suo essere rapace e volere sfigurare le cose fragili. Avevi torto, non hai messo in conto che il pericolo maggiore per me potessi essere proprio io. Non sapere non rende più forti, divora da dentro. Milioni di tarli che piluccano una coscienza volubile. Il vuoto creato dai morsi di questi laboriosi parassiti rende l’eco delle tante domande irrisolte sempre più lugubre. Rende l’eco un ego troppo tetro.
Hai sbagliato, ma non te ne faccio una colpa. Ti rimprovero invece di avermi lasciata qui, intermittente tra le troppe pagine, senza avermi dato una seconda opportunità. Le mie membra di carta, il mio sangue d’inchiostro mi avranno pure impedito di venire in tuo soccorso, ma non essere così ingenuo da credere che il mio cuore non abbia patito con te. Sfregiata e parziale, sono rimasta nell’atrocità del dubbio, nella mostruosa impotenza, senza riuscire più ad agire. Ti capisco papà, lo so perché l’hai fatto, sapevi che se me l’avessi permesso, io avrei trovato il coraggio di alzare questa cortina salvifica e mostrarti tutto il nulla di cui sono fatta. Avresti visto il nero fitto che mi compone smettendo di essere colore e diventando sensazione. Avresti riconosciuto in me tutte le tue paure, confluite dalle tue dita tremanti e ora organi miei, che pulsano sempre più lenti. Lo sai tu e lo so io, in me avresti rivisto il consueto tormento, l’antico terrore del fallimento. Avresti incontrato di nuovo quella tua vecchia amica: l’angustia, che ti bloccava alle caviglie. Se mi avessi chiamata, la leggerezza necessaria per lasciarmi ti sarebbe di nuovo mancata, perché io, come incudine, affondo nell’abisso in cui l’acqua è già ferma.
Ti comprendo e non ti accuso per aver travasato dentro di me tutto il peso denso che ti rendeva statico, che schiacciava le tue ossa e le faceva friabili, che comprimeva il tuo respiro e ti trasformava la vita in asma. Ma io non sono riuscita a dimostrarti tutta la mia devozione, non ho potuto trattenerti mentre mi abbandonavi; per cui papà, benché io come cielo viva affascinante ed imperscrutabile nell’immaginario di molti, per merito tuo, non ti perdonerò mai di avermi sottratto la possibilità di farci vedere quel che valgo, non ti perdonerò di avermi impedito di scrivere una degna conclusione per noi.
Per sempre tua,
Joelle van Dyne
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