Mercato Albinelli
L’anima di Modena, tra fruttivendoli caciaroni, cordiali salumieri e le iconiche Rezdore che tirano la pasta dei tortellini: se mai dovessi abitare a Modena, almeno una volta a settimana andrei al mercato coperto Albinelli. Ci sono sessantadue tra botteghe e banchi secondo il sito web del mercato dove, in una prosa molto cronaca anni ‘50, si legge di un «affaccendarsi di venditori, accalcarsi di acquirenti, vagare di sfaccendati». Che poi fai davvero fatica a non passare da sfaccendato ad acquirente, tanto ti invogliano i prodotti esposti ovunque all’interno dell’architettura storica.
Oltre alla frutta, agli affettati e ai tortellini, mi piace la colonna sonora che fa da sottofondo alle spese del sabato mattina: la cantilena del dialetto modenese, unica lingua ufficiale del Mercato Albinelli. Un idioma un po’ lagnoso, ma affascinante.
Piazza Grande e il Festival della Filosofia
Se il mercato Albinelli è l’anima di Modena, la piazza Grande ne è cuore e cervello, soprattutto nei giorni del Festival della filosofia quando, sotto gli occhi della Bonissima, si possono ascoltare pensatori, storici e scienziati dei nostri tempi dibattere dei massimi sistemi. Sono giorni, quelli del festival (a settembre), in cui Modena diventa place to be, con tantissima gente per le strade, i locali aperti fino a tardi, spettacoli, mostre, conferenze. A volte sembra che ai partecipanti non interessi un tubo di andar filosofeggiando, eppure lo fanno lo stesso, per sentirsi parte della vita modenese, in quel periodo di splendore.
Non ho ancora capito, sinceramente, se la Ghirlandina sia in effetti storta o se si tratti di un effetto ottico. Se guardi la torre e il duomo di lato, dalla piazza, sembra che la prima penda verso sinistra, e che il secondo si butti in fuori, verso destra. E allora non capisci se siano storti entrambi, nessuno dei due o soltanto uno (ma quale, in quel caso?). Ad ogni modo, sono bellissimi.
Invidio molto ai modenesi l’usanza di trovarsi nella notte di Natale in piazza Grande.
A quanto mi raccontano, attorno all’1 di notte la piazza brulica di gente che si scambia gli auguri. Alcuni sono appena stati alla cerimonia in duomo (non vorrei essere blasfemo, ma sospetto che per il sangue di Cristo si usi il Lambrusco), altri hanno continuato il cenone con la messa alcolica.
Tortelloni, tortellini
Mi prendo la licenza di abbandonare i luoghi fisici per volare oltre, in uno state of mind fatto di farina, uova e un pizzico di sale, ripieno a scelta di ricotta e spinaci oppure carne, condito con burro e salvia, brodo o panna. Non voglio tornare ai tempi della secchia rapita e riaccendere la diatriba Modena-Bologna su chi ha inventato il tortellino, preferisco democristianizzarmi e sposare la leggenda che piazza il primo tortellino a Castelfranco Emilia, in mezzo tra Bologna e Modena (anche se in provincia di Modena…).
La storia vuole che nel XIII secolo arriva alla locanda Corona una giovane marchesina, su una carrozza tirata da quattro cavalli. La sua bellezza colpisce immediatamente il locandiere il quale, conscio che in una leggenda del Milleduecento non esiste il reato di stalking, resta a spiarla dal buco della serratura. Sbirciando dalla porta le sinuose forme della marchesina, il nostro buon locandiere rimane estasiato dalla forma del suo ombelico (ognuno ha i suoi gusti). Per questo la sera, al momento di preparare la cena, decide di riprodurre quella sagoma con la pasta appena tirata, riempiendola di carne, per renderla appetibile agli avventori. Qualcuno addirittura si spinge a dire che la marchesina fosse niente di meno che la dea Venere in persona, a spasso per la nebbia di Castelfranco in un tranquillo pomeriggio del tredicesimo secolo.
Di certo c’è che resto ogni volta attonito da quanto sia incredibilmente diverso, e buono, il tortello artigianale rispetto a quello industriale. Da quando bazzico Modena boicotto anche il mitico Giovanni Rana. I tortelloni burro e salvia (i miei preferiti) che mangi in una qualsiasi trattoria modenese sono davvero di un altro mondo, e anche se accusato di essere banale, io li riprendo sempre. Ma non è solo tortellini la gastronomia modenese. È gnocco e tigelle con sopra quello che ti piace e che mangi solo nei dintorni. È ragù, il cui profumo emana la domenica mattina dalla gran parte delle case. E’ il pranzo dalla nonna Grazia (quella materna di Camilla, la mia ragazza), una vera tradizione: rosette, cannelloni, ragù, arrosto, Alle 15 torniamo a casa, e i nonni vanno a vedere il Modena.
La Pomposa
Esistono due tipi di persone: chi ama le città illuminate dalle luci calde, e chi ha il cuore gelido come le luci fredde e bianche. Nel centro di Modena la sera le luci giallo scure sbattono sulle colonne dei portici e proiettano bellissime ombre geometriche. La piazza della Pomposa scotta di luce color fuoco, come le gole dei giovani che vi si ritrovano qui per bere. Oggi lo vedo come un posto affollato e in per prendersi un cocktail (preparatevi a spendere almeno 10 euro a Modena) tra i portici e la chiesa di Santa Maria della Pomposa, dietro casa dell’intellettuale Ludovico Muratori.
Una volta dovevi andarci per forza, parlare con tutti, spesso di nulla, e dimostrare di conoscere il maggior numero di persone possibile, per non sentirti escluso. Un termometro che misura quanto sei popolare: che fatica la vita da adolescente.
Gli alternativi invece frequentano altri luoghi. Come i chioschi sui viali, i baretti aperti d’estate nello spazio alberato tra le due strade che circondano Modena, oppure le Passioni, teatro e bar dentro un capannone di cemento, arredato in maniera stravagante e molto attivo tra spettacoli e musica dal vivo.
Gorzano
Come tutti i benestanti modenesi, i nonni della mia ragazza, i Leonardi, hanno una tenuta in campagna, dedicata agli ozi primaverili ed estivi. La magione, con giardino, orto, campo da tennis e acetaia, si trova a Gorzano, a meno di 20 chilometri da Modena e attaccata a Maranello.
Gorzano per me vuol dire sognare la vita di campagna, anche se so che non la reggerei; vuol dire Marcovaldo, il cane stupendo dei mezzadri della casa di Camilla sopra la collinetta, che andiamo a trovare ogni tanto a caso, anche se i padroni non ci conoscono quasi per nulla e noi non conosciamo bene loro (e nemmeno il cane, tra l’altro, che infatti non credo si chiami Marcovaldo, ma a me piace pensare così). Vuol dire famiglia e il nonno di Camilla che per la festa di compleanno della nipote mi disegnava una mappa con il percorso da fare per arrivare da Modena a Gorzano, da consegnare a tutti gli amici: «All’albero giri a destra e sei arrivato».
PalaPanini
Il tempio. Per un pallavolista come me, andare a vedere il volley al PalaPanini è davvero il massimo. Sono andato la prima volta un 26 dicembre, per una partita di SuperLega, e mi sentivo molto yankee al palazzetto nei giorni di Natale. A parte lo spettacolo offerto dal pubblico dei Canarini e dai giocatori in campo, tra i migliori d’Europa e del mondo, a Modena davvero si respira la storia del club più titolato d’Italia. Sembra una stronzata, ma al mio primo ingresso nel palazzo mi sono emozionato, come la prima volta che mio padre mi ha portato a San Siro.
A Modena la pallavolo è davvero lo sport cittadino. Il giorno dopo la partita tutti conoscono il risultato. «Più che chierichetti, l’aspirazione di noi, da piccoli, era essere tra i bambini a bordo campo» mi ha detto una volta Camilla. Nello specifico lei non sognava di fare la raccattapalle, ma di pulire il parquet ai time-out con gli enormi scopettoni. Certo, c’è sempre il calcio. Ma i gialloblu modenesi contano una lunga sfilza di fallimenti e una sfortunata serie di vicende che con il pallone c’entrano davvero poco. Eppure, nel 2018-19 la squadra, in serie D, ha fatto oltre 5mila abbonamenti. Io sono andato allo stadio, il Braglia, per tre volte. Fra queste, ricordo 40 euro di biglietto spesi per vedere il Milan pareggiare 0-0 con il Carpi, avvolti nella nebbia. Non ci sono più tornato da quella volta.
Tennis Modena
Una volta, mentre giocavo, alla radio del club suonava una musica degli anni ’50: il Tennis Modena sembra un luogo fuori dal tempo. Gli alberi ondeggiano al vento e proteggono i campi dal resto della città, signore e signori si agitano e dibattono in modenese stretto fra le partite a tennis e quelle di burraco, mentre la polvere di terra rossa si solleva, ma senza disturbare chi, in estate, si rilassa a bordo piscina.
È un altro posto a metà tra il fighino e il popolare. Puoi trovarci il signore che bestemmia perché la palla è uscita di un centimetro e la moglie di Bottura che ti consiglia una pasticceria nel Big Sur in California.
Alberghini
La Mecca degli schimicatori. Un panificio aperto la notte, unto al punto giusto, che sforna dolce e salato, per tutti i gusti. Di ritorno da una serata, un amico di Modena mi ha illustrato quella da lui definita Alberghini experience. Il pacchetto completo non consiste solo nell’andare al forno di notte e comprarsi qualcosa: bisogna sedersi sulle rastrelliere del vicino supermercato tutti insieme, anzi meglio se qualcuno in piedi e qualcun altro seduto, per improvvisare un salottino. E prima di andar via si fuma una paglia. Nulla di straordinario o di irripetibile, eppure fa casa.
È una delle tante, piccole usanze conviviali da me scoperte a Modena, che a volte mi appare come una Bologna più elegante e chic, eppure con un sottofondo popolare, inclusivo. Uno spirito che mi ha sempre fatto sentire a casa, a Modena, anche se casa mia non è mai stata.
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin