Kottbusser Tor è una piazza di Kreuzberg.
Più che una piazza, in realtà, Kotti è un incrocio: sei strade si tuffano in un’enorme rotonda, gestita a fatica da semafori. Ad aumentare l’effetto di caos, si aggiunge il cavalcavia della linea U1, che taglia orizzontalmente, in modo brutale, questo spazio aperto.
Prendendo in giro la vecchia pubblicità di una caramella, Kottbusser Tor è “il caos con i palazzi intorno”: enormi edifici di otto piani e più la circondano. Lo sguardo non si perde in lontananza verso una maggiore tranquillità, non c’è una via di fuga prospettica: semplicemente, una volta entrati dentro Kotti, ci si rimane immersi.
Kotti è sempre stato un luogo turbolento, già a partire dagli anni ’70, quando Kreuzberg era un complicato quartiere di confine. Turbolento, scrivevo, per non dire problematico, che poi è il termine gentile per intendere malfamato. Spaccio di droga, borseggiatori, prostituzione, risse, scontri con la polizia e molto altro sono state il filo che ha condotto Kottbusser Tor attraverso i decenni, fino ai giorni nostri. Il tutto da aggiungere ad un’integrazione non sempre facile, persino nel quartiere più multikulti di Berlino. Alcuni numeri, tanto per farsi un’idea: 340 arresti per droga, 775 furti, 80 rapine e almeno 68 aggressioni solo nel 2015. Questi sono i dati forniti dalla polizia, che ha anche sottolineato come i numeri siano quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente, facendo diventare Kottbusser Tor il “luogo più pericoloso di Berlino”. Le cifre sono inequivocabili, i pareri molto chiari, il dubbio che mi è nato in testa è stato: nonostante tutto, dovrei davvero avere paura di passare di qua? Dovrei considerarlo come un luogo da evitare assolutamente? La maggior parte dei reati avviene, logicamente, di notte, quando è più facile nascondersi e riuscire a scappare nel dedalo dei passaggi racchiusi fra gli edifici.
Per la mia osservazione ho scelto un venerdì di Agosto. Non è stata una scelta casuale: le notti del fine settimana sono quelle in cui le persone escono, bevono e si spostano di più; Agosto è il mese dell’anno che vede una presenza maggiore di turisti in città. Un luogo come Kottbusser Tor è fortemente influenzato da tutte queste variabili e ho voluto “affrontarlo” al raggiungimento della sua massa critica. Non si è trattato di morbosità da crimine, ma semplicemente di una pura (e anche un po’ triste) valutazione statistica.
Sono arrivato verso le 22:30 con la U1. Ad aspettarmi la stessa stazione di sempre: sporca, caotica, ma anche vitale, allo stesso tempo. In realtà non ne ho mai avuto un’opinione diversa, Kotti non mi ha mai sorpreso. A parte una sera di Capodanno, quando un genio pensò bene di accendere un fuoco d’artificio sulla banchina della U8. Ma di questo non posso incolpare la stazione, ovviamente.
La mia prima ora e mezzo decido di trascorrerla appoggiato sulla balaustra accanto all’uscita della U-Bahn, proprio di fronte al supermercato Kaiser’s. Mi sono preparato la frase di circostanza: “sto aspettando un amico” (venerdì sera, col telefono in mano, davanti ad un punto di riferimento abbastanza evidente: una scusa plausibile). Per tutto il tempo in cui rimango fermo, devo rifiutare una piccola offerta a cinque senzatetto venuti, con molta cortesia, a distrarmi dalla mia osservazione. Col passare dei minuti la situazione sale leggermente “di livello”: tre ragazzi mi si avvicinano per offrirmi del fumo o della droga. Non lo considero un segno particolarmente grave di degrado o pericolosità: mi è successo in moltissime città del mondo, in Italia e anche qui a Berlino, in altri quartieri. In ogni caso decido gentilmente di declinare, ritenendo che la mia serata possa comunque essere abbastanza particolare, senza dover aggiungere alcun surplus.
Alle mie spalle c’è uno späti, poco più a destra delle bancarelle di alcuni turchi che vendono frutta e verdura. Nonostante l’ora, la gente che fa acquisti non manca
A mezzanotte mi sposto: è una decisione abbastanza forzata, visto che non ne posso più di star fermo e che sto intralciando gli impiegati del Kaiser’s: spostano i rifiuti prima di chiudere il supermercato. Faccio pochi metri, mi siedo sui gradini ai piedi dell’enorme palazzo che sovrasta la Adalbertstraβe: alle mie spalle c’è uno späti, poco più a destra delle bancarelle di alcuni turchi che vendono frutta e verdura. Nonostante l’ora, la gente che fa acquisti non manca. Mi riferisco sia alla bancarella che ai ragazzi che sostano proprio lì davanti: sono spacciatori, non bisogna essere esperti per capirlo. I “clienti” gli si avvicinano, parlano brevemente e poi gli passano qualcosa in mano, facendo finta di salutarli. Il “venditore” sparisce per qualche minuto nei passaggi posteriori fra gli edifici e torna correndo. Di nuovo un saluto stringendosi la mano e la merce è consegnata. Questa è la routine che si ripete per tutto il tempo che osservo. Ogni tanto distolgo lo sguardo e torno alla lettura di un libro, ma ogni volta che rialzo la testa gli affari dei ragazzi sembrano andare molto bene. Breve inciso: fino all’ 1 di notte non ho visto traccia di polizia da nessuna parte. Ho sentito molte sirene, ma erano tutte ambulanze o volanti che sfrecciavano a grande velocità sulla vicina Skalitzer Strasse, verso altre urgenze.
Sono quasi le 2 quando succede qualcosa che rompe la normale routine. Davanti all’uscita centrale della stazione U-Bahn, proprio in mezzo alla rotonda, scoppia una rissa a colpi di bottiglie. Me ne accorgo perché le urla dei coinvolti (almeno 7 persone) arrivano a molti metri di distanza: evidentemente qualcuno ha già avvisato la polizia, visto che dopo nemmeno due minuti arriva una volante. Alla vista deglli agenti in divisa gli animi si calmano immediatamente e i Beamter non hanno bisogno di fare alcuno sforzo per risolvere la situazione. Per puro caso riesco a capire anche come sia iniziata la rissa: un ragazzo seduto accanto a me, arrivato da poco, racconta agli amici che lo aspettavano cosa è successo. Due gruppi di americani particolarmente su di giri si sono messi a discutere e hanno deciso di utilizzare le bottiglie in maniera alternativa, piuttosto che riavere i soldi del Pfand (il vuoto a rendere).
Passare sotto all’edificio che sovrasta la Adalbertstraβe è come superare un confine invisibile: la sensazione di insicurezza di Kottbusser Tor sembra allontanarsi per lasciare spazio al caos che regna nella zona di Oranienstraβe. C’è odore di dolci (i baklava, immancabili nelle vetrine della zona), di carne alla griglia e, soprattutto, di gentrificazione. Nella mezz’ora che trascorro gironzolando senza una meta precisa quasi non sento parlare tedesco. I padroni del buio di Kreuzberg sono i turisti, soprattutto d’estate: vengono a mangiare di notte nel quartiere “alternativo” e poi a fare serata in uno dei locali, rigorosamente “alternativi”, della zona. Non sanno che SO36 è cambiato, e già da parecchio tempo. Molti degli abitanti “storici” sono scappati, spaventati dall’aumento degli affitti e dal cambiamento radicale del loro quartiere. Non ha nemmeno senso chiedersi se il casino in strada disturbi il sonno degli abitanti. Se hai deciso di abitare qui, la confusione fa parte dei costi d’affitto, come il riscaldamento.
Mi intristisco. Pensavo di rilassarmi un po’ passando dall’altra parte della barricata, ma preferisco tornare verso la cruda realtà di Kotti. Decido di rientrare, passando per la Dresdener Strasse e di buttarmi poi negli stretti passaggi tra gli edifici che si affacciano sulla piazza. Molti locali sono aperti, perlopiù bar, späti, e Döner imbiss, l’illuminazione è molto scarsa ed è gentilmente offerta dalle vetrine accese. La mia testa lo ammette: è la prima volta dell’inizio della nottata in cui ho un po’ di timore ad andare in giro. Non si tratta della percezione di un pericolo reale, ma di sensazioni. Un paio di ragazzi sbucano da dietro gli angoli degli edifici correndo. Nella quasi oscurità, uno di loro mi urta. Rischio di cadere schiena a terra in una pozza di quello che credo sia piscio (l’odore non lascia spazio a libere interpretazioni): il torto ce l’ha lui, ma l’insulto me lo prendo io ed è pure in una lingua che non conosco. Ed è frustrante non poter rispondere a tono quando si avrebbe ragione. Un paio di persone mi osservano, non riesco bene a capire se il loro sguardo significhi “Ma guarda sto cretino” oppure “ma guarda sto cretino. Che è venuto a fare?”. La differenza è minima, lo ammetto. Qua non mi sento decisamente benvenuto. Poco più avanti, lo spazio aperto di Kotti è una vista abbastanza rassicurante.
La pattuglia della polizia che era intervenuta per la rissa degli americani è rimasta, probabilmente per controllare la situazione. Mi soffermo qualche minuto a osservare i poliziotti per capire se effettivamente siano gli stessi, ma non è un’idea geniale: uno dei due comincia a guardarmi di rimando, forse cercando di capire cosa stia guardando insistentemente. Potrei spiegargli che sono miope e che con gli occhiali, di sera, in un ambiente scarsamente illuminato, ci metterei dieci minuti anche a riconoscere il viso di mio padre; decido comunque di tenermi le giustificazioni per me e di evitare qualsiasi conversazione. Mi allontano a passo lento e disinvolto, pensando a quanto sia assurdo come i film influenzino il comportamento delle persone in situazioni come questa. Evito di fischiettare solo per non rendermi ancora più ridicolo.
Due uomini sono seduti ad un tavolino e fumano senza parlarsi. Io osservo loro, loro osservano me e poi tutti insieme, quasi fossimo d’accordo, ci mettiamo a guardare la gente per strada
Sono quasi le 5, non manca molto all’alba. Prima che la mia esperienza finisca mi sposto a vedere cosa succede dall’altro lato di Kottbusser Tor, sulla Kottbusser Strasse. Questa parte della piazza sembra meno movimentata: alcune persone camminano di fretta attraversando la strada per poi raggiungere l’ingresso della U-Bahn, la maggior parte però va nella direzione opposta, verso il Kottbusser Brücke e poi ancora oltre, verso Neukölln. I negozi aperti sono pochi, giusto un paio di bar ed una sala scommesse. Davanti ad essa, due uomini sono seduti ad un tavolino e fumano senza parlarsi. Io osservo loro, loro osservano me e poi, tutti insieme, quasi fossimo d’accordo, ci mettiamo a guardare la gente per strada. Arrivo fino al Landwehrkanal: di giorno le sue sponde sono piene di persone che frequentano i molti locali che vi si affacciano, che portano a passeggio il cane o che vanno a trascorrere qualche ora al mercatino di Maybachufer. È mattina presto e tutto è molto diverso: le rive sono buie, la vitalità è lontana ancora qualche ora, in giro quasi nessuno. Gli unici presenti sono alcuni ragazzi che bevono birra sulla spalletta del canale, coi piedi a penzoloni nel vuoto. Uno di loro urla “Mi butto!”. Gli altri lo prendono per uno scherzo e non intervengono. Il ragazzo alla fine non si butta, sembra solo molto deluso per il mancato effetto della battuta.
Albeggia, decido che può bastare. Mi incammino verso la stazione della metro e faccio in tempo a vedere alcune persone che escono di casa, probabilmente dirette al lavoro: al semaforo si fermano accanto a quelli che vanno a letto: i visi sono sfatti allo stesso modo, la mancanza di sonno è democratica e segna chiunque, indistintamente. Una volta in cima al cavalcavia della metro osservo il resto di Kotti dalle grandi vetrate: c’è meno movimento rispetto a qualche ora fa, anche gli spacciatori si sono arresi ed hanno probabilmente deciso di fare Feierabend (di staccare, come diremmo in Italia).
Alla fine dei conti, alla luce dell’alba, a me Kotti ha fatto tristezza. Un posto vivo di giorno e triste e spaventato, più che spaventoso, di notte. Un’occasione sociale sprecata, un non-luogo divenuto l’ennesima tappa di chi cerca la “botta” in una città che di colpi ne ha già presi parecchi, ed anche molto più forti.
Ci vorrà qualche ora prima che la multiculturalità quotidiana di Kottbusser Tor riprenda il sopravvento. Le bancarelle torneranno a vendere frutta e verdura, il tabaccaio riaprirà, al Kaiser’s cominceranno ad arrivare le consegne del giorno e la piazza riprenderà a muoversi. Lo so per certo, anche se non sarò lì ad osservare. Questa è Kotti, un posto da amare e da odiare, a momenti alterni, ma senza grandi speranze di mutamenti.
Non che gliene freghi granché, tanto non cambierebbe comunque.
REDAZIONE
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