Mio padre mi ha inviato un video riversato da VHS. È il giorno di Natale del 1989 e siamo a casa di mia nonna. Ci siamo noi, la mia famiglia e poi ci sono i parenti stretti. C’è anche qualcuno che ora è passato a miglior vita. Io ho sette anni, mio fratello cinque, mia cugina ne ha quattro.
Recitiamo delle poesie, in piedi sulle sedie. Poi mio fratello corre in braccio a mio padre, mia cugina gioca con il cane, mettendogli un biscotto sotto il naso per poi nasconderglielo quando tenta di afferrarlo.
Di undici persone sedute sul divano e sulle sedie intorno al grosso tavolo della sala da pranzo, tre sono bambini e otto adulti. la tovaglia è rossa con dei ricami bianchi. Fuori la neve cade. Tutte le finestre sono chiuse. Quattro di questi adulti stanno fumando, contemporaneamente.
Nel 1996 Jonathan Franzen pubblica sul The New Yorker un saggio intitolato ‘Sifting the Ashes’. Nonostante la sua supposta e passivo aggressiva tenacia nei confronti della dipendenza da nicotina, si definisce tifoso del tabacco e, ancor più, dell’industria del “Big Tobacco”, secondo lui uno strumento – consapevole, aggiungo io – del rancore popolare.
Mio padre ha fumato fino a qualche anno dopo quel Natale. Ha consumato due pacchetti di Merit da venti al giorno per metà della sua vita e raccontava, con un certo macabro orgoglio, che mio nonno era dedito alle Nazionali senza filtro. Poi un giorno ha preso i suoi due pacchetti, uno iniziato e l’altro ancora intonso, ha sfilato una sigaretta da quello aperto, l’ha accesa e l’ha fumata. Ha detto ‘questa è l’ultima’. E così è stato. Ha gettato le due confezioni e non ha mai più toccato una sigaretta.
Mia madre si nascondeva in bagno per non farsi scoprire da lui, da me e da mio fratello. Fumava la sua gioia senza godersela, seduta sul cesso. La spegneva nel bidet, l’avvolgeva nella carta igienica e la scaricava. Poi ha smesso anche lei.
C’è uno spot americano, datato 1955: un adulto di razza bianca con eloquenti atteggiamenti militari fuma la leggendaria Marlboro pacchetto flip flop, mentre traffica nel cofano della sua splendente auto. Franzen, basandosi su di uno studio del Premio Pulitzer per la saggistica Richard Kluger, definisce la potenza dell’azienda di tabacco Philip Morris come quel “genere di storia edificante ed ispiratrice che le scuole di business fanno leggere agli studenti: per portare al successo un’azienda americana, fate come la Philip Morris”. Chiaramente questo vale anche, con le dovute ‘sfumature continentali’, per il resto dell’Occidente.
Il 20 maggio 2016 sono entrate in vigore le norme della Direttiva 2014/40/UE relative alla vendita del tabacco. La normativa vieta, principalmente, la vendita dei pacchetti di sigarette da dieci e delle confezioni di tabacco sfuso con meno di 30 grammi di prodotto e l’introduzione sulle confezioni di sigarette, tabacco da arrotolare e tabacco per pipa ad acqua delle “avvertenze combinate” relative alla salute: testo, fotografia a colori e numero verde contro il fumo. Le avvertenze devono occupare il 65% del fronte e del retro delle confezioni e dell’eventuale imballaggio esterno. L’intento è quello di ridurre l’acquisto di tabacco e nicotina, spingendo i consumatori a smettere.
Il cowboy prestante dagli occhi di ghiaccio è stato sostituito, in ‘solo’ quasi mezzo secolo, da nitide fotografie di polmoni erosi dalla nicotina, operazioni a cuore aperto, tracheotomie, piedi in cancrena, giovani sul letto di morte, bare di bambini. Sangue. Morte. Tragedia. Molte di queste immagini sono intenzionalmente opprimenti e, altrettanto deliberatamente, mirano allo stomaco debole. Questa operazione rientra nel metodo “nudge”, altrimenti chiamato “spinte gentili”: non ti costringo a fare nulla, ma ti aiuto a capire. Ti influenzo. Fra cinquant’anni il fumo delle sigarette puzzerà di carne bruciata, di sala operatoria, di decomposizione.
Qualche settimana fa sedevo a bere della birra con un amico. Fumiamo e noto che la sua confezione di tabacco sfuso è quasi interamente coperta da nastro adesivo da imballaggio. Gli chiedo per quale motivo l’abbia fatto e mi risponde ‘per coprire le immagini’.
Ricordo di averlo visto spesso con un portatabacco di cuoio, fatto a mano. Gli suggerisco di utilizzarlo, in quel modo le immagini vengono nascoste. Mi risponde che non è quello il punto, è l’elemento che lo disturba, anche se invisibile. L’elemento quindi va eliminato.
Un’amica utilizza una vecchia confezione di tabacco come portatabacco, perché priva delle nuove “avvertenze combinate”. Ogni volta che acquista un nuovo pacco, lo travasa.
Nessuno dei due ne ha diminuito l’utilizzo.
Lontano dagli occhi lontano dal cuore.
Probabilmente la verità è una sola: l’essere umano è una testa di cazzo e la cosa che sa fare meglio – che poi è anche quella che l’ha sempre mantenuto in sella al mondo – è l’essere in grado di girare la ruota, che questa sia reale oppure apparente.
L’essere umano è maestro del circolo vizioso, delle abitudini, delle dipendenze che poi, se vogliamo, in qualche modo, sono la stessa cosa. Questo è emblematico e fa risultare molto semplice – o meglio, semplicistica – ogni versione di una storia finita male. Infatti è proprio tramite il circolo vizioso e le abitudini e le dipendenze che possiamo giustificarci.
Questo è ciò che vuole davvero l’essere umano: una giustificazione. Sempre, anche quando apre i palmi e li mette davanti a sé, dichiarando solennemente ‘non cerco giustificazioni’. È proprio lì che ne ha appena trovata una. Dietro quei palmi. E si chiude il cerchio, spalancatosi di nuovo con un prodotto che, da sempre, fa un fatturato che ha talmente tanti zeri in coda, da essere annoiati, e che si richiude e si riapre, ciclicamente, con una giustificazione nascosta da un adesivo da imballaggio.
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo, in cui vengono riportati dei dati sicuri rispetto al fatto che, dopo l’introduzione della Direttiva 2014/40/UE, la vendita di tabacco per pipa e sigarette è diminuito del 21,9% e del tabacco sfuso del 17,4%. Ho letto anche un articolo di Daniele Banfi, su IODonna, nel quale viene riconosciuto che l’introduzione di immagini crude sulle confezioni di tabacco e sigarette, funziona sicuramente. Dato di fatto appurato da diversi studi scientifici. Daniele Banfi è giornalista nel campo della salute, collaboratore della Fondazione Umberto Veronesi.
Io mi ricordo anche come l’introduzione delle sigarette elettroniche abbia abbassato, oltretutto in modo piuttosto incisivo, la vendita di prodotti contenenti nicotina. Ricordo bene che il sogno è durato poco, però.
Fumo da quando ho quattordici anni, prima che nascesse mio figlio ho pensato di smettere. Non l’ho fatto seriamente, probabilmente non l’ho nemmeno fatto intenzionalmente. L’ho immaginato, non l’ho nemmeno pensato. Forse l’ho solo sognato, un giorno che dormivo in piedi, guardando fuori dalla finestra e vedendoci il futuro.
Non è sbagliato che sui prodotti da tabacco contenenti nicotina ci siano immagini del tipo di cui sopra. È soltanto poco coerente, perché, per tornare a Franzen e a mio padre, l’uomo suppone di essere libero da una qualsiasi dipendenza e accetta la supposizione, non la certezza. Se veramente fosse libero non avrebbe da accettare nessun tipo di condizione inesistente. Dunque, nessuno può puntare il dito e urlare ‘togliete quello schifo’, perché sarebbe altrettanto poco coerente. È un gatto che si morde la coda, è il circolo vizioso. È la notte dei tempi.
È proprio di questo ambiente tentennante che si nutre il paternalismo di chi decide di doverti mettere in faccia quali sono gli effetti sinceri e le informazioni chiare di ciò a cui potremmo andare incontro. Fumando.
Un cecchino ti mette in faccia una pallottola, ma troppo tardi perché tu te ne accorga.
Mio padre mi telefona e mi chiede se ho visto il video del Natale ‘89. Io gli dico di sì e che adesso deve convertire anche quello della Cresima di mio fratello, in cui si vede la zia Nives che gattona sul pavimento mentre le zoommano il culo. Lui mi dice che ‘sì ok, però l’hai visto? Sai qual è la prima cosa che ho notato io?’
No papà, non lo so.
Che stavamo tutti fumando con le finestre chiuse e con voi bambini in braccio.
Ma ti pare possibile?
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Immagine copertina: © Stello Nascinbeni
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