Quando ero piccola, il Giorno dei Morti, mia nonna mi vestiva per bene e mi portava a visitare le tombe dei parenti al cimitero. Diceva che quello era il primo giorno di freddo e che era il momento di tirare fuori il cappotto dall’armadio. La festa dei morti della Chiesa Cattolica viene celebrata il 2 novembre di ogni anno, mentre la Totensonntag, la giornata dedicata ai morti che viene festeggiata nella città di Berlino, varia data di anno in anno. La festa protestante viene infatti celebrata l’ultima domenica prima della prima giornata di Avvento. Quest’anno è stata domenica 20 novembre.
Durante la Totensonntag, il crematorio di Berlino, nel quartiere di Baumschulenweg, zona Treptow-Köpenick, apre le porte ai visitatori per l’intera giornata con visite, discussioni e presentazioni a tema. Sorge a ridosso del cimitero, sulla Kiefholzstrasse 221, ed è, insieme a quello di Ruhleben, il crematorio principale della città.
La struttura è stata costruita tra il 1911 e il 1913, ma dell’edificio originale non è rimasto nulla ed è stato completamente ricostruito nel 1999, in stile più attuale e più moderno, dagli architetti Axel Schultes e Charlotte Frank. Anche se, si dice, la porta principale sia rimasta sempre la stessa in tutti questi anni. L’edificio in cemento e grandi vetrate trasparenti, sobrio, statico e simmetrico, lascia spazio a dettagli di color grigio turchese. Un colore che abbraccia la struttura e la decora. Sono turchesi le panche, turchesi le maniglie delle porte scorrevoli, turchesi i brise-soleil alle finestre. È turchese il telefono a gettoni nei bagni delle donne.
È mattina e la struttura ha aperto da poco, in una giornata che ha i colori dell’autunno e il profumo dell’inverno. Ci sono già molti visitatori che si affacciano curiosi nell’imponente atrio interno. Ventinove colonne di cemento si scagliano contro il soffitto, infrangendosi in piccole finestrelle tonde che lasciano filtrare i raggi del sole. Si crea un gioco di luci e ombre che cambia di continuo con il passare del tempo. Al centro della sala una pozza d’acqua, circondata da piccole candele accese. Perfettamente sopra il suo centro, appesa ad un filo trasparente, una piccola forma ovale bianca e immobile, che sembra restare sospesa sopra l’acqua.
Nell’angolo a sinistra dell’atrio, sono state posizionate delle panche in legno e da uno schermo vengono proiettati video documentari che raccontano la storia del crematorio. Si dice che, quando il campo di concentramento di Sachsenhausen venne costruito, nel 1938 all’inizio del periodo nazista, la struttura non disponesse di un proprio forno crematorio. Gli ebrei venivano dunque portati a Berlino con treni speciali e bruciati nei forni crematori di Baumschulenweg. Le immagini raccontano il susseguirsi degli eventi che hanno coinvolto la capitale tedesca, come il muro che per molti anni l’ha divisa. Durante quel periodo le vittime della germania della DDR, ovvero chi cercava di oltrepassare il muro per scappare ad ovest, venivano bruciate in gran segreto a Baumschulenweg.
Nell’angolo opposto, a destra dell’atrio, c’è una piccola zona relax con delle poltrone a sacco poggiate a terra, che permettono ai visitatori di mettersi comodi e di ascoltare in tutta tranquillità i file contenuti nell’audioguida. Un ragazzo è completamente sdraiato sulla poltrona, cuffie in testa e in mano un libro.
L’atrio si apre in una saletta, spaziosa ma raccolta, le panche turchesi riempiono il grigio del cemento. Un grande pianoforte nero, perfettamente al centro della navata, aspetta di essere suonato. È la sala commemorativa principale, che presenta circa duecentocinquanta posti a sedere. Una signora smuove la terra dal vaso di una pianta, probabilmente per vedere se questa sia vera o meno, sporcando il pavimento, proprio accanto al pianoforte.
Chissà la morte chi ha riunito in questa sala e con chi ci si ritrova distesi lì dentro, nelle ultime ore in cui il nostro corpo esiste.
Ritorno nell’atrio; due gemelline vestite di rosa stanno giocando a nascondino tra le colonne, poco distanti da due persone in giacca e cravatta che espongono le urne funerarie della loro ditta, listino prezzi alla mano. Una bambina si infila, ridendo, in una saletta che è stata addobbata come esemplificativo di una cerimonia funebre. È una sala intima, con cinquanta posti a sedere. La posizione della bara è centrale, contornata da candele, teli colorati e petali di rosa. Per chi fosse interessato, i costi delle cerimonie vengono minuziosamente riportati nei depliant informativi distribuiti all’entrata, accanto ai questionari anonimi sul grado di soddisfazione della giornata trascorsa. Per una cerimonia funebre completa di organo e musica della durata di sessanta minuti, il costo è circa di 99 euro. Mentre chi scegliesse un addio più intimo per il proprio caro, senza cerimonie commemorative nè addobbi, il costo è di 35 euro per quindici minuti.
Uscita dalla saletta la mia attenzione viene richiamata da una scarna esposizione di libri.
La biblioteca di Treptower-Köpenick li ha messi a disposizione del crematorio per la giornata delle porte aperte. Una selezione dal titolo “Morire, la morte e il lutto: raccontati attraverso i libri”. Ci sono diversi volumi per bambini, per lo più illustrati, in cui la morte viene spiegata attraverso favolette. Sfoglio “Wenn Oma plötzlich fehlt” (Se la nonna improvvisamente viene a mancare) di Manfred Mai e “Was ist das?fragt der Frosch” di Max Velthuijs. Le illustrazioni raccontano la storia del Signor. Rana che trovando un uccellino morto si domanda cosa farne e cosa significhi la morte.
Alzo gli occhi dalla mia lettura quando mi accorgo di un ragazzo con il trolley che percorre l’atrio. Il rumore delle ruote di plastica, più adatto ad una sala d’aspetto dell’aeroporto che a un luogo come questo, non crea però disarmonia.
La distanza tra la morte e la vita non è assoluta.
Dalle undici del mattino in poi è possibile prendere parte ad un tour guidato, circa una trentina di minuti, che mostra il funzionamento del crematorio. Non più di venti persone alla volta. Perciò occorre assicurarsi un numeretto ed aspettare. La guida è un signore di mezz’età, con un accento berlinese marcato e che, nel crematorio, lavora quasi da tutta la vita. Una volta scese le scalette a chiocciola che conducono al piano inferiore, l’odore si fa più acre. Ricorda il profumo di chiuso che hanno le case di villeggiatura, quando vengono riaperte i primi giorni d’estate, dopo essere rimaste chiuse per tutto l’inverno.
C’è odore di silenzio.
Ci ritroviamo in una saletta dove, ci spiega la guida, le bare, una volta entrare, vengono trasportate e appoggiate su una lettiga. Attraverso un sistema di controllo, le informazioni riguardanti la salma, vengono inserite nel computer e salvate nella memoria. Ad ogni salma viene attribuito un numero personale stampato su un codice a barre, la cui lettura consentirà di accedere alle informazioni salvate nel computer. Oltre che sul codice a barre, il numero identificativo viene inciso su una pietra rotonda, resistente al fuoco. Una pietra che accompagnerà il corpo durante tutte le procedure di cremazione e che sarà poi sigillata all’interno dell’urna cineraria. Attraverso il numero riportato sulla pietra si potrà risalire, anche dopo decenni, alle generalità della salma e sarà inoltre sempre possibile risalire al crematorio dove è avvenuta la cremazione. Una pietra che racchiude una vita.
Procediamo lungo il corridoio e, con una breve sosta, la nostra guida ci mostra velocemente una camera dalla quale bare di ogni forma e dimensione ci osservano, l’una sopra l’altra, verso il soffitto. Il crematorio, dotato di tre forni per la cremazione, ha una capacità lavorativa di circa 10.000 cremazioni all’anno. Ma, durante la giornata delle porte aperte, le salme dovranno aspettare il giorno successivo per essere bruciate. La guida ci spiega che di posto ce n’è a sufficienza: la cella frigorifera dove vengono riposte vanta 628 posti.
Anche se le bare verranno bruciate anch’esse insieme al corpo, insieme a quelle di legno semplice ce ne sono alcune molto elaborate e ricche di particolari. Ne scorgo una laccata di bianco, con dei fiori rossi disegnati. Chissà la morte chi ha riunito in questa sala e con chi ci si ritrova distesi lì dentro, nelle ultime ore in cui il nostro corpo esiste.
Ci viene spiegato che un medico legale è responsabile per la verifica dei corpi, la quale viene effettuata prima dell’incenerimento. Qualora le cause della morte descritte nel certificato di morte non concordassero con l’aspetto del corpo, la salma verrà tenuta in osservazione per qualche giorno in una piccola cella adiacente, con ventiquattro posti ma, ci conferma la guida, questo non succede quasi mai. Si prosegue verso i forni. Tre. Quindi, teoricamente, si potrebbero cremare tre persone alla volta. Le temperature vengono costantemente monitorate e in qualsiasi momento del processo la bara viene ininterrottamente seguita attraverso lo schermo di un grande computer. Quando la salma entra nel forno principale, la temperatura si aggira attorno ai 650 gradi e procederà poi il suo viaggio al piano inferiore, una volta che le temperature e i fuochi avranno dissolto tutto. In quattro ore al massimo, non resterà che la cenere, da consegnare alle famiglie.
Una signora dai capelli bianchi sottili, legati insieme in una coda bassa, chiede se anche i vestiti vengano bruciati insieme al corpo e se ci sia, quindi, un materiale preferibile. La guida le consiglia il cotone, un ottimo materiale per la combustione. Ridendo, ricorda a tutti di non dimenticare orologi e oggetti di valore nelle bare: una volta entrate nel forno non si possono più recuperare. Una ragazza si preoccupa per l’ambiente e domanda se il processo di cremazione, con i suoi fumi, non produca un inquinamento eccessivo. La guida le risponde sorridente, il suo il viso stride con il silenzio di quei corridoi. Mi domando come sia davvero lavorare lì e se lui sorrida ogni giorno.
Una volta terminato il giro, ci ritroviamo nell’atrio principale, dove si è radunata una piccola folla. Entro breve, infatti, comincerà un nuovo tour. Esco all’aria aperta, frizzante. Mi lascio alle spalle la struttura di cemento, le sue porte grigio turchese. Il silenzio dei suoi morti e le chiacchiere animate della guida. Due anziani camminano piano. Si fermano spesso. Lei sorregge lui, un bastone li sorregge entrambi. Non hanno fretta. Avvolti nei loro cappotti camminano lenti nell’aria fredda, come è fredda nel giorno dei morti.
REDAZIONE
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