Edifici nuovi che crollano, insieme alle incertezze della società postmoderna
PARTE I
La muraglia che oscura il lato orientale di una metropoli soffocata da una perenne coltre plumbea, il clima di terrore che aleggia nell’ombra degli attentati della RAF, il senso di colpa di portata storica che attanaglia un’intera nazione massacrata dagli orrori di una guerra mai dimenticata. Le case occupate, l’aria di protesta, il degrado che investe i quartieri limitrofi al Muro, la sete di libertà e di creatività. Una creatività che non trova limiti di espressione nella Berlino Ovest degli anni ’80.
La società è atterrita, il mondo è in rivolta, i sogni di gloria ereditati dal boom economico si sono dissolti schiantandosi contro una realtà dura come il cemento armato e la voglia di urlare il proprio malcontento è così tangibile da sgretolare ogni concezione di armonia nell’arte e nella musica. Edifici nuovi che crollano in un goffo tentativo di ricostruire quello che è andato perduto durante un sabotaggio apocalittico all’umanità. Edifici nuovi che crollano. Einstürzende Neubauten.
Il clima avanguardista della capitale tedesca prodotto dal disagio generazionale postmoderno è palpabile e ipnotizza come un flauto magico i giovani creativi di tutto il mondo. Berlino brulica di immaginazione, fantasia, estro. È la terra promessa di tutti coloro che non vogliono lasciarsi soffocare da una quotidianità preconfezionata, di chi desidera scrivere un copione stravagante per la propria esistenza, di chi vuole sfuggire al servizio militare, di chi ama oltrepassare i limiti e non si ferma alle apparenze. Tutto è possibile su quest’isola felice.
Ed è proprio in un’isola devota al progresso ma isolata dalla glacialità del blocco sovietico che Blixa Bargeld e soci trovano terreno fertile per le loro composizioni unhörbar, stridenti, melanconiche e ossessive, che si discostano prepotentemente dai dettami di tradizione Pop e Rock per inoltrarsi in territori devoti all’anticonformismo duro e puro. A loro non interessano la New Wave, il Punk, le chitarre, i ritornelli e gli assoli. Loro sono attratti dalla dissonanza della No Wave statunitense, dalle violente sensazioni corporee provocate dai Throbbing Gristle, dai vocalizzi spietati di Diamanda Galas, dalle urla disperate di Nick Cave nei Birthday Party, dalla visionarietà dei Cabaret Voltaire, dalla sacralità di Nico, dal carisma di Lydia Lunch. Loro non vogliono essere apprezzati, vogliono solo disturbare.
Bisogna riconoscere che per disturbare ce la mettono proprio tutta: gli Einstürzende Neubauten dei primi anni ’80 non si riforniscono al negozio di strumenti musicali, ma perlustrano le discariche in cerca di lamiere, vecchie lavatrici, carrelli della spesa, rifiuti metallici, barili, condotti per l’aria condizionata e qualunque altro artefatto dismesso necessario a forgiare l’emblematico carattere post-industriale che da sempre li contraddistingue. Le costruzioni distopiche che prendono forma dall’assemblaggio di questi ritrovamenti non sono dimostrazioni di virtuosismo, bensì canalizzatori di rabbia, malcontento e ribellione, con cui si riallacciano al discorso lasciato in sospeso dagli espressionisti di inizio secolo.
Tutto nel concept dei Neubauten ruota intono a questa carica dissacrante, sovversiva e ossessiva, sconvolgente per la loro e la nostra epoca. A coronare il tutto, un logo inconfondibile che da oltre trent’anni si afferma come protagonista indiscusso della loro strategia di marketing. Il potente simbolo che li ha consacrati. Uno statement. Un’icona astratta che rappresenta gli archetipi dell’uomo e del sole in grado di richiamare a sé ogni attenzione, mesmerizzando con la sua magnificenza e al contempo intimidendo con il suo esoterismo primordiale. In maniera del tutto inaspettata, questa piccola immagine immensamente significativa riprodotta compulsivamente su tutto il merchandising permette loro sin da subito di differenziarsi dalle altre band con le quali condividono lo stesso approccio decostruttivista, i Geniale Dilletanten, movimento di cui vengono considerati i principali esponenti.
Questo nome (contenente un errore di battitura del tipografo dell’epoca) in realtà si riferisce ai partecipanti a un festival che si tiene nel 1981 al Tempodrom di Berlino, Die große Untergangsshow. A esibirsi sono gli Einstürzende Neubauten composti da Blixa Bargeld, F.M. Einheit e N.U. Unruh, il side-project Bargeld-Gut-Projekt, ma anche altri musicisti ormai annoverati nell’olimpo di un’epoca breve come un miraggio ed estraniante come una chimera: i DNA, i DAF (Deutsch-Amerikanische Freundschaft), Dr. Motte, i Sentimentale Jugend di Christiane F. e Alexander von Borsig. In seguito all’evento, l’appellativo Geniale Dilletanten diviene sinonimo di uno stile violento e innovativo, che si prefigge di rompere gli schemi senza mai accettare compromessi.
E il modo in cui lo fanno è anomalo, poliedrico, non segue regole prestabilite. La libertà di espressione, l’autonomia nell’organizzazione e l’approccio DIY sono gli unici elementi che accomunano band musicalmente così distanti come gli stessi Neubauten, i teatrali e multimediali Die Tödliche Doris, i surreali Der Plan, gli stravaganti e dissonanti Palais Schaumburg, le grintose Malaria!, i malinconici Ossis Ornament & Verbrechen e i DAF, con le loro ballabili istigazioni politiche. Senza ricorrere a motivetti catchy in inglese, i Geniale Dilletanten attuano una protesta carica di autenticità e violenza che li consacra nelle scene underground internazionali, andando così a sostituire la dimensione sognante ereditata dalla kosmische Musik e deviando l’obsoleto percorso di ispirazione psichedelica intrapreso dal Krautrock.
Ma per discostarsi dalle tradizioni c’è bisogno di abbandonare ogni tipo di script, di lasciarsi andare, di improvvisare. L’improvvisazione per gli Einstürzende Neubauten avviene già in fase di stesura dei testi, che sgorgano spontanei come flussi di coscienza per poi venire cesellati ad arte. È il caos a originare le strutture, un caos siderale generato dal caso. È infatti da “Dave” che Blixa e soci prendono ispirazione per i nuovi pezzi, un complesso sistema di carte che suggerisce loro parole, versi, cambi di nota o di armonia e modulazioni di tonalità. Con questo stesso principio si approcciano alle esibizioni live, spettacoli in cui è l’imprevedibilità a fare da protagonista, proprio come è debito aspettarsi quando si sostituiscono le impeccabili strutture del Rock con la casualità di lamiere, vibratori estrapolati dal contesto erotico o moltov. La provocazione intrinseca che mettono in atto consiste esattamente nel non soddisfare le aspettative che il pubblico nutre nei loro confronti, sollecitandone l’indignazione.
Gli show degli Einstürzende Neubauten degli anni ’80 sono esperienze traumaticamente immersive e prepotentemente sorprendenti, non solo per il pubblico, bensì anche per i “rumoristi” stessi, che tutt’ora ne portano addosso le cicatrici, e per le venue che li ospitano. I palchi su cui salgono non sempre escono indenni dalle loro performance e, in questo contesto, è impossibile non citare l’esecuzione di Dürstiges Tier all’Atonal Festival del 1982: mentre Blixa lamenta vocalizzi agonizzanti su un sottofondo di musica ripetitiva che strizza l’occhio alle celebrazioni pagane, N.U. Unruh prende in mano un trapano e fora letteralmente una parete dello storico SO36 di Kreuzberg, a pochi centimetri dai cavi elettrici. Ma non basta. Nel 1986, in occasione del concerto all’Institute of Contemporary Art di Londra, hanno invece la malsana idea di scavare un tunnel diretto a Buckingham Palace. Il piano non va a buon fine, tuttavia distruggono deliberatamente il pavimento del locale.
La ferocia con cui attuano la famigerata distruzione delle architetture di cui si fanno ambasciatori è insita nel loro stesso nome. Una stringa impronunciabile per chiunque non sia avvezzo alla lingua tedesca, che contribuisce inevitabilmente ad avvolgerli in un velo di misticismo. Un disarmonico agglomerato di consonanti che racchiude un significato altrettanto estraniante ma talmente paradigmatico da non lasciare dubbi sulle loro intenzioni. Gli edifici nuovi che crollano sono l’emblema di una società devota al consumo, alla ricerca spasmodica della novità pagata al caro prezzo di risultati usa e getta, a una disattenzione strutturale verso tutto ciò che avrebbe il potenziale di durare nel tempo.
Einstürzende Neubauten non ha un significato politico, bensì designa la necessità di mettere in dubbio il nuovo, che, sin dal momento della sua inaugurazione, è destinato anch’esso a sgretolandosi fino all’obsolescenza. Per fare spazio alla modernità bisogna distruggere ciò che è antico, abbattendo i monumenti e il radicamento al passato. E, per ironia della sorte, appena sei settimane in seguito al battesimo sulle scene degli Einstürzende Neubauten, il tetto della sala congressi della Haus der Kulturen der Welt, simbolo di alleanza con il popolo americano, crolla inesorabilmente, così come crolla inesorabilmente la piscina comunale del quartiere di Schöneberg pochi giorni dopo. Un tempismo tout court così schiacciante da trasformare l’insolito nome in un presagio che manifesta l’essenza di un’epoca della quale Bargeld e soci si fanno promotori, celebrandone la nemesi in via definitiva nel 2004 con il concerto al compianto Palast der Republik.
Sembra però che Blixa non si fermi a setacciare le varie implicazioni filosofiche quando gli viene chiesto di dare un nome alla band con cui avrebbe suonato alla discoteca Moon il 1 aprile 1980. Risponde invece in maniera puramente istintiva, ma con una lungimiranza agghiacciante. La formazione è ancora in fase sperimentale, e, oltre a lui, comprende Gudrun Gut e N.U. Unruh. Dalla serata al Moon scaturiscono i prototipi dei brani che poi costituiranno l’EP “Kalte Sterne”, come il singolo Für den Untergang, e il primo album vero e proprio, “Kollaps” (1981). Per la prima volta, i giovani ribelli di Schöneberg lasciano la sala prove per fagocitare il pubblico con la loro potenza tormentosa e martellante, e da qui non torneranno mai più indietro.
“Kollaps” è la sintesi perfetta, sebbene ancora acerba, del concetto originario degli Einstürzende Neubauten. Litanie infernali, orge di suoni massacranti, danze macabre, astrazione, alienazione dalla realtà e rifiuto delle armonie. Il risultato è qualcosa che tuttora viene ritenuto inascoltabile persino da chi sostiene di amare la musica “estrema”. Questo anticonformismo dilagante, supportato da onnipresenti martelli pneumatici e urla strazianti, è la pietra miliare che consacrerà il loro azzardato pionierismo. Al contrario della sperimentazione abbracciata dai leggendari Kraftwerk, i Neubauten non cavalcano l’onda di un’evoluzione prevedibile, quella della musica elettronica, ma si addentrano negli spinosi rovi di sonorità inquietanti e discriminate dai discografici perché feroci, disarmanti e debilitanti. “Kollaps“ è diverso. Fa paura.
Così come fanno paura “Zeichungungen des Patienten O.T.“ (1983), “Halber Mensch“ (1985) e “Fünf auf der nach oben offenen Richterskala“ (1987). In questo periodo si uniscono alla band il geniale percussionista F.M. Einheit, l’eclettico chitarrista Alexander Hacke, o von Borsig, e il visionario bassista Marc Chung. Anche la formazione è per loro qualcosa di variabile e funzionale: non c’è la volontà di averne una cristallizzata, bensì prevale il desiderio di lasciare aperte le porte del progetto a chiunque sia in grado di arricchirlo nel modo più adeguato in una data fase della propria vita. Ciò che ne consegue è un nucleo che continua a rimanere stabile a distanza di quasi mezzo secolo, composto da Blixa, N.U. Unruh e Alexander Hacke, attorno al quale si alterneranno negli anni (oltre ai membri già menzionati) Beate Bartel, Danielle De Picciotto, Ash Wednesday, nonché gli attuali Jochen Moser (chitarra) e Rudolf Moser (percussioni).
Il fondamentale, fenomenale e altrettanto brutale F.M. Einheit esce con rancore dal gruppo con “Ende Neu” (1996), un album dai tratti melensi, melodici, oscuri ma speranzosi, aperti a un futuro che in principio era stato escluso a priori. Il percussionista vede traditi i suoi ideali e non si riconosce nel disco, a tal punto di rifiutarsi persino di ascoltarlo. “Ende Neu” rappresenta per i Neubauten l’inizio di una seconda fase avviata in maniera ibrida con il commerciale ma brillante “Haus der Lüge” (1989) e proseguita con “Tabula Rasa” (1993), lavoro che mette a nudo la loro vera natura. “Haus der Lüge”, un successo industriale edito durante un’annata oltremodo simbolica, apre ai Neubauten le porte del grande pubblico grazie all’accostamento di elementi rumoristici a strutture più digeribili, proprie del Post Punk.
Quella del settore orientale di Berlino è un’apertura che descrive l’epilogo di un’epoca, non solo per la città, ma anche per la band. È il momento di prendere le distanze dal dilettantismo per innalzarsi su un piano più aristocratico, senza però voltare le spalle all’eterna esplorazione dell’ignoto. I tempi delle sperimentazioni pionieristiche all’osservatorio americano abbandonato di Teufelsberg e dei field recordings alla Wasserturm di Gleisdreieck sono finiti. Schöneberg che, insieme a Kreuzberg, ha visto nascere le sottoculture berlinesi, si avvia verso una riqualificazione che odora di gentrificazione. L’SO36 di Oranienstraße continua a esistere, ma il leggendario Eisengrau di Goltzstraße gestito da Bettina Köster e Gudrun Gut e l’ex Risiko (poi Ex’n’Pop), in cui Blixa lavorava come barista, non ci sono più. Quello che accade quegli anni, non accadrà mai più.
Berlino sta cambiando, e con lei la musica degli Einstürzende Neubauten. Anzi, sono proprio loro a comporre la colonna sonora del documentario dedicato alla sua ricostruzione, Berlin Babylon (2001) di Hubertus Siegert, con i brani tratti dal riflessivo “Silence is Sexy” (2000), album che apre formalmente la loro terza fase. Quella più matura. Quella che trova il suo apice con il concettuale “Lament” (2014), un manifesto di grandiosità e rivoluzione con cui celebrano sfarzosamente il centenario della Prima Guerra Mondiale. La barbarie ascetica delle performance intrise di fachirismo è stata sublimata, modellata attorno all’habitat e alle architetture moderne, alla nuova speculazione edilizia, ma non per questo i Neubauten smettono di suscitare quell’impatto poeticamente inaspettato persino in chi attende il ritorno all’esistenzialismo di Kalte Sterne.
“Wir konnten… Aber“
(Da: Epilog, album “Haus der Lüge”)
PARTE II
1) Haus der Lüge – Da: “Haus der Lüge”, Thirsty Ear Records, 1989
“Erstes Geschoss:
Hier leben die Blinden
Die glauben was sie sehen
Und die Tauben
Die glauben was sie hören“
Il caldo è torrido. Deve essere fine giugno. Risalgo dai profondi abissi della stazione Termini in cui è celata la linea A della metropolitana ed emergo in superficie. Il sole mi acceca, il sudore si incolla alla pelle, l’hangover non mi lascia scampo. Ieri sono stata a ballare allo storico Black Out di via Saturnia 18, ancora non so che si sta per avvicinare il momento della sua chiusura definitiva. Sto scoprendo una propensione per la lingua tedesca, per la musica cantata in tedesco. Mi piacciono i suoni duri, pesanti. Cerco il frastuono.
Anzi, è il frastuono che cerca me. Ho chiesto in giro come si chiama quella band così cool che sento spesso passare dai DJ ai party, così solenne e incazzata, ma al contempo così elitaria e incatalogabile. Non fanno Metal, non fanno Post Punk, non fanno New Wave. Io ancora ne capisco ben poco, ma quel poco mi basta per capire dove voglio arrivare. È proprio quella focosa freddezza avvolta da focosa visceralità e l’impossibilità nel trovare un’etichetta calzante a calamitarmi verso di loro.
Mi hanno detto che si chiamano Einstürzende Neubauten, che quel brano che mi capita frequentemente di ballare si intitola Haus der Lüge e che è tratto dall’omonimo album. Non ho ancora internet a casa, ma sono riuscita a risparmiare qualche euro per comprare il CD. Cammino verso via Nazionale ed entro da Melbookstore, l’enorme libreria romana che vanta anche un discreto reparto musicale. Mi compiaccio dell’edizione in digipack e dell’inquietante copertina realizzata da Fritz Brinkmann raffigurante un cavallo rosso su sfondo nero che urina con veemenza. Il suo occhio è la testa del misterioso logo.
Pago e lascio il negozio. Inserisco il CD nel player portatile Panasonic, infilo le cuffiette nelle orecchie e salgo sul bus per piazza San Silvestro. Skippo subito alla traccia 4 e mi addentro nella casa delle bugie. Vengo presa per mano dalla voce dilaniante di Blixa Bargeld e la esploro piano per piano, avanzando in un sistema di gironi danteschi. Qui, però, non è la volontà di Dio a trionfare.
“Gott hat sich erschossen
Ein Dachgeschoss wird ausgebaut”.
2) Die Befindlichkeit des Landes – Da: “Silence is Sexy“, Mute Records, 2000
“Alles nur künftige Ruinen/ Material für die nächste Schicht“
Non so per quale motivo, o forse in realtà lo so bene, ma la città di Berlino sa evocare negli artisti che la abitano una certa necessità di celebrarne l’introspezione a cui induce. La sua atmosfera e il suo cielo sono iconici e diffondono uno stato di trance in grado di scatenare dei profondi dialoghi con se stessi e con la propria anima. Credo che Wim Wenders potrebbe capirmi.
Malinconia, melanconia. A cosa è dovuto questo ancestrale senso di estraneazione così ineludibile? È stata forse la sua atmosfera a influenzarne la storia? È stata la storia a influenzarne l’architettura? O è stata l’architettura a ispirarsi alla sua atmosfera? Nessuno può prescindere dallo stato d’animo in cui catapulta questo luogo così misterioso, che è stato teatro di tanti orrori ma che ora si ripropone in una versione colorata e danzante per distrarre dall’irraggiungibilità dell’anelata perfezione.
Die Befindlichkeit des Landes svela la profezia, il segreto che si cela dietro queste impenetrabili cicatrici: “Die neuen Tempel haben schon Risse/ Künftige Ruinen“. I monumenti, i palazzi, gli edifici sono rovine già nel momento stesso in cui vengono progettati e realizzati. Sono le future rovine. Di rovine parla il brano, di rovine parla il nome della band e di rovine coperte da fiumi di cemento e oblio parla Berlin Babylon, il documentario che non poteva essere aperto da altre note se non quelle di Die Befindlichkeit des Landes.
3) Was ist ist – Da: “Ende Neu”, Mute Records, 1996
“Nur was nicht ist ist möglich”
Le strutture da distruggere, ricostruire e poi ridistruggere non sono solo quelle in cemento armato, ma anche quelle mentali, le leggi della fisica e della filosofia. Solo l’impossibile è possibile. Un testo che più che da versi sembra composto da domande di un questionario da compilare secondo le proprie convinzioni più bizzarre. Delle convinzioni a cui non vengono posti limiti per affermarsi. Una contraddizione in termini.
“Zwei Dinge sind unendlich/ Die Dummheit und das All“, tutto il resto ha un termine prestabilito dal ciclo della vita. E allora perché non sconvolgerlo con la poesia dell’impossibilità? Perché non chiamare in causa la forza di gravità per annullarla e darci la possibilità di spiegare le ali come uccelli? Perché non ricreare una Torre di Babele e cambiare il destino dell’umanità? Perché non rievocare il supercontinente Pangea per spostarsi via terra dal Sudafrica al Canada?
Un coro di voci tuonanti ci invita a prendere in considerazione ogni possibilità, anche quelle che riteniamo inconcepibili. Ad abbracciare degli accostamenti davanti ai quali, in un mondo lineare, storceremmo il naso. A vivere momenti che nella realtà non avremmo mai modo di vivere davvero. Ci ricorda che i blocchi creativi possono essere superati con l’uso spropositato della fantasia, a cui non bisogna porre freni. Ciò che esiste possiamo visualizzarlo e dobbiamo accettarlo adattandovicisi, ma ciò che è impossibile dobbiamo immaginarlo e plasmarlo nella maniera più consona alle nostre preferenze. Solo così possiamo dare vita a un mondo che appartiene solo a noi stessi.
4) Kalte Sterne – Da: “Kalte Sterne” (EP), ZickZack Records, 1981
“Wir sind alle nur Löcher
Dieser Welt
Wie alle Sterne
Dieser Welt
Aber nach uns, nach uns
Kommt nichts mehr“
Il panorama musicale nel blocco occidentale dei primi anni ’80 si tinge di nero. I Joy Division inondano l’Europa con una ventata d’aria struggente e l’intero pianeta si prepara a celebrare l’infausto destino di Ian Curtis per i prossimi quarant’anni. A cavalcare l’onda sono in tanti, dai Bauhaus ai Sisters of Mercy, dai Siouxsie and the Banshees ai The Cure, fino a un’orda di band sconosciute ai più che si fanno pioniere di un mondo fino ad allora inesplorato: quello interiore. Non è più il Punk con le sue tematiche a sfondo politico e sociale a fare da protagonista, ma prevalgono le sensazioni di precarietà e il male di vivere, espressi mediante strazianti nenie e deprimenti ballate.
Dall’altro lato trionfano le frizzanti melodie della New Wave, che integrano con maestria la malinconia e la spensieratezza di un decennio che si rivelerà esplosivo. E poi c’è chi prende le distanze da tutto ciò. In Inghilterra, i Throbbing Gristle di Genesis P. Orridge si rifiutano di abbracciare un senso estetico all’apparenza macabro ma ancora segretamente ancorato ai pattern di tradizione Rock. Loro vogliono di più. Vogliono sconvolgere. Vogliono fare male. Vogliono stare male. Per davvero.
E gli Einstürzende Neubauten non sono l’eredità dei Joy Division. Sicuramente non lo sono neanche dei Throbbing Gristle, perché il loro modo di intendere la musica e il rumore prescinde anche da quelli di cui sono considerati gli epigoni teutonici, ma forse si tratta dell’unico progetto a cui possono essere accostati, per lo meno da un punto di vista concettuale.
La comparsa sulle scene di Blixa & Co. è unica e irripetibile, un buco gravitazionale. La loro temperatura è fredda come quella di una stella che si sta spegnendo, apprestandosi a trasformarsi in un buco nero che risucchia per trasportare in una dimensione parallela da cui non si fa ritorno. E quello che può essere considerato un manifesto di intenti parla chiaro: “Nach uns kommt nichts mehr“. No, proprio niente. Il vuoto cosmico. Kalte Sterne è un proclama di unicità, una promessa che continuano a mantenere.
5) Perpetuum Mobile– Da: “Perpetuum Mobile”, Mute Records, 2004 (FOTO BIGLIETTO)
“Rolltreppe
Zug
Flugzeug
Bus
Escalator
Moving walkway”
Il 5 marzo 2004 a Roma esisteva ancora lo Spazio Boario, un tendone da circo installato all’interno del CSOA Villaggio Globale. In quel periodo l’offerta di musica live era florida e splendente, peccato che a causa della mia giovane età mi fossi solo da poco affacciata a tutto ciò che veniva snobbato da MTV. Tuttavia sono riuscita a non perdermi alcuni grandi band (che reputo tuttora fondamentali per la mia formazione). A volte suonavano gratuitamente o a prezzi davvero stracciati nelle piazze, ormai sbarazzate da qualunque happening culturale che potrebbe destabilizzare il turista medio a caccia di meraviglie rinascimentali, reperti Romani e dipinti del Caravaggio disseminati nelle varie chiese capitoline.
L’ultima volta che ho visto gli Einstürzende Neubauten dal vivo è stato nel 2014, al Tempodrom di Berlino, in occasione del tour di “Lament”. Il costo del biglietto si aggirava intorno ai 60 euro. Esattamente dieci volte di più rispetto a dieci anni prima, in quel confusionario tendone. Eravamo tanti, forse troppi. Ma tale esuberanza numerica era del tutto giustificata dall’immensità dell’evento e dal suo carattere proletario. Gli Einstürzende Neubauten a 6 euro? Sono tuttora convinta che si sia trattato di un errore di battitura o di una leggerezza da parte degli organizzatori, che forse non avevano idea della grandiosità che avrebbero accolto su quel palco.
Un palco che sembrava quasi improvvisato, anche se sicuramente non lo era. O non del tutto. L’improvvisazione però c’è stata, quella delle lamiere, dei componenti delle lavatrici, delle liriche recitate in uno straziante spoken word, dell’atmosfera surreale generata dal pubblico variegato, composto da un alternarsi di fan sfegatati e passanti. Un’atmosfera confusa che ancora mi accompagna in ogni viaggio, mentre mi sposto istericamente da un mezzo di trasporto all’altro per raggiungere la meta.
PARTE III
Blixa Bargeld, l’istrionico profeta
Blixa Bargeld, al secolo Christian Emmerich, nasce nel 1959 sotto il segno del capricorno. Un segno zodiacale che incarna con maestosità in ogni caratteristica: mosso dall’energia di Saturno, carismatico, dotato di lingua tagliente, devoto al suo lavoro, sfrenatamente ambizioso. Un uomo con lo sguardo volto all’eternità e fedele ai suoi principi, spinto da una marcata tendenza al volere oltrepassare i limiti. O meglio, più che una tendenza, oserei definirla necessità. Un impulso interiore inarrestabile che continua a manifestarsi in forma di provocazione radicale, la quale funzione ultima resta esclusivamente quella di oltrepassare i limiti.
Blixa è da sempre consapevole di non volere essere considerato esponente o membro di movimenti come la Neue Deutsche Welle, né dei loro revival. La forza con cui esprime e trasmette l’unicità che lo caratterizza è così penetrante da innalzare intorno al suo personaggio un’aurea solida, intoccabile e al tempo stesso palpabile. Non dà mai ai suoi spettatori quello che si aspettano, bensì ciò che lui stesso considera giusto, anche se oggettivamente anomalo o discutibile: ecco il segreto della sua invincibilità.
Nato e cresciuto nel quartiere di Schöneberg, a Berlino Ovest, il giovane Christian scopre il mondo in compagnia di Andrew Chudy, in futuro N.U. Unruh, e di Gudrun Gut, fondatrice delle Malaria!, dai quali si svilupperà il primo nucleo degli Einstürzende Neubauten. Il rifiuto nutrito da Blixa verso i bancomat e le carte di credito gli conferisce il soprannome Bargeld, ovvero “contanti”. Un nuovo alter ego, un nuovo io. Christian Emmerich non esiste più, ora c’è solo Blixa Bargeld. Questo nuovo personaggio si cimenta in un lavoro di stampo letterario con il quale si ripropone di non nascondersi dietro a testi patinati e accattivanti, bensì di servirsi di parole nella sua lingua madre per sprigionare il proprio vero io.
E lo fa con delle tecniche di composizione che uniscono casualità e sistematicità, senza mai lasciarsi influenzare da nessuno. Non assume manager e sembra che nella band ruoti tutto intorno a lui, anche se in maniera contraddittoriamente democratica. Nonostante il carattere fortemente esigente e l’ego spiccato, che non tardano mai a manifestarsi, Blixa sembra riuscire egregiamente a portare avanti delle collaborazioni strutturate e durature in cui lui non è né il protagonista, né il dittatore, come quella con i Bad Seeds di Nick Cave, o l’esperienza con Theo Teardo avviata in epoca più recente.
Sebbene sia ancora in vita, Blixa Bargeld è una leggenda alla pari di Jim Morrison o Ian Curtis, e sebbene non abbia mai tentato di suicidarsi, il suo genio può essere equiparato a quello di Dave Gahan. Perché la rivoluzione di cui si autoproclama leader non lo vuole vedere scomparire, bensì continuare a rinascere dalle sue ceneri. La vitalità che lo anima è in perenne contrasto con lo spirito neo-esistenzialista che impersona, ma è proprio la potenza scaturita dai contrasti a permettergli di scalare le vette dell’assurdo.
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