La guida affidatami dall’Ufficio del Turismo di Dresda mi sta aspettando nella hall dello Star Inn Hotel. È una signora tedesca di mezza-età, parla un buon italiano ed è tutta un sorriso. Ha il compito di accompagnarmi in giro per la città e di rispondere alle mie domande. Mi affeziono a lei dopo nemmeno un quarto d’ora, per un semplice motivo: è goffa, maldestra, ma la passione che dimostra nel raccontarmi la storia di questo luogo si sprigiona come un’aurea energetica che mi abbraccia e coinvolge.
Le chiedo quanto, in percentuale, è stato abbattuto della città durante la Seconda Guerra Mondiale.
“Si parla sempre del 60%, che è comunque moltissimo, ma devi tenere conto che il centro storico di Dresda è stato raso al suolo quasi completamente.”
Partiamo da qui.
Nella notte del 13 febbraio 1945 la Royal Air Force britannica e la United States Army Air Force inviano sulla città, contemporaneamente, quasi un migliaio di aerei da guerra, scaricando 2.700 tonnellate di bombe esplosive e bombe incendiarie. A distanza di poche ore, l’Esercito Americano ordina a decine di aerei B-17 di sganciare altre 1.250 tonnellate di esplosivo su Dresda. I raid durano fino all’alba del 15 febbraio 1945, quando centinaia di bombardieri americani infieriscono per l’ultima volta sulla città ancora in fiamme.
Dresda non esiste più, migliaia di civili scompaiono letteralmente sotto il tappeto di macerie.
È tra gli avvenimenti più drammatici dell’intero conflitto.
La guerra era praticamente terminata già prima dell’attacco degli alleati.
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La guida indica la Frauenkirche, davanti a noi.
“Lo vedi che la chiesa è bicolore? Alcune pietre sono nere altre color sabbia. Le pietre nere sono state recuperate dalle macerie dei bombardamenti e sono state utilizzate per la ricostruzione.”
Mi spiega che molti degli altri complessi storici del centro sono stati riedificati sul proprio scheletro utilizzando materiali recuperati.
A vederla da fuori, passando, per esempio, lungo la ferrovia statale che la collega ad Amburgo, Dresda appare come una città di plastica.
Passeggiando nel suo stomaco, invece, diventa palese come sia un luogo irrimediabilmente ferito e perennemente in riparazione.
Le gru a torre e i cantieri s’incastrano fra i palazzi d’epoca e le macchine fotografiche dei turisti. La guida cerca un posto che mi permetta delle foto migliori.
“Andiamo sul Balcone d’Europa.” dice.
La Brühlsche Terrasse, è stata definita così da Goethe, vista la sua posizione a ridosso del fiume Elba.
La mia guida sorride imbarazzata quando comprendiamo che anche da qui, sul balcone, non è facile riuscire a tagliare fuori i segni della ricostruzione.
File di alberi decorano un panorama a metà fra il bucolico e l’industriale, l’Elba striscia lento al fianco della Terrasse perdendosi lontano, in Repubblica Ceca.
L’opera di ricostruzione di Dresda è iniziata immediatamente dopo la fine della guerra e in modo più massiccio con l’unificazione della Germania, ma ciò che la città era un tempo ora non è più. Alcune delle costruzioni distrutte sono state sostituite da edifici moderni.
La guida mi fa notare una serie di palazzi nei pressi della Frauenkirche. Mi dice che sono tutte costruzioni nuove, perché è stato impossibile rimettere in piedi ciò che c’era un tempo.
Il nostro giro per la città continua nei luoghi più battuti dal turismo, tra i quali, molto interessante è Il Corteo dei Principi, il dipinto su ceramica più grande del mondo, lungo centodue metri e alto nove. Per realizzarlo sono state utilizzate venticinquemila piastrelle di porcellana di Meißen sulle quali vengono ritratti trentacinque sovrani sassoni appartenenti alla dinastia Wettin. Tutti i sovrani sono a cavallo, mentre il corteo termina con i soldati e i popolani, a piedi.
La guida mi racconta la storia di Augusto II di Polonia, detto Il Forte, per molti considerato il “Re Sole” della Sassonia. Un tipo che si è goduto la vita, a quanto pare, amante dell’arte e delle donne ebbe moltissime amanti e ancor più figli.
Il barocco Zwinger è tra i monumenti più importanti della città e di tutta la Sassonia, costruito proprio per volere di Augusto il Forte. Quando entriamo nella corte interna del castello concentrico, mi trovo davanti ad una magnificenza rara, non a caso l’intero complesso è stato patrimonio dell’umanità, prima di essere depennata dalla lista dell’UNESCO a causa della costruzione del Waldschlösschenbrücke, un punto voluto dall’amministrazione cittadina nel 2005.
In effetti, il caso di Dresda è il secondo nella storia, insieme all’Arabian Oryx Sanctuary, in Oman.
Anche in questo caso lo Zwinger è interamente ricostruito a seguito dei bombardamenti dell’Olocausto di Dresda.
Penso alle foto che ho visto sul web, la maggior parte ritraggono le macerie della Frauenkirche. Chiudo gli occhi un momento, riprendo quelle immagini nella memoria e le metto davanti quando riapro le palpebre. È una sorta di esercizio dinamico in cui cerco di sovrapporre la distruzione alla ricostruzione.
***
Al mattino del secondo giorno della mia permanenza a Dresda mi sposto fuori città, a Meißen, dove dedico parte del mio tempo a visitare la manifattura di porcellane della città. Una vetrina all’entrata del “museo” espone alcuni pezzi in vendita; un elefante in porcellana di non più di 150 grammi ha un costo di svariate centinaia di euro.
Mi consigliano di partecipare al workshop di costruzione delle ceramiche fatte a mano. Io chiedo ad una ragazza alla cassa se realmente è tutto fatto a mano, lei mi guarda come se l’avessi offesa e in effetti è proprio così, tanto che quasi mi obbliga a partecipare al workshop.
Insieme ad una decina di altri visitatori entriamo in una prima stanza, ove viene proiettato un video esplicativo sulla storia della manifattura e delle porcellane di Meißen. Finito il video i visitatori si alzano ed entrano in un’altra porta laterale. Io li seguo.
All’interno un artigiano ci aspetta. Una voce diffusa spiega i primi processi di lavorazione, mentre l’artigiano mostra ciò che la voce ci dice. dopo cinque minuti la lezione è terminata, ma non il workshop. Un’altra porta che come tante pecore attraversiamo.
All’interno una ragazza mostra come modellare i pezzi grossolani di ceramica prima della lavorazione di fino. Cinque minuti dopo apriamo un’altra porta, entriamo in un’altra stanza: una ragazza colora il modello. Cinque minuti e un’altra stanza ancora, un artigiano di mezza età ci mostra come terminare il prodotto rivestendolo di una speciale cera liscia.
Un’ultima porta e siamo nuovamente negli spazi comuni della manifattura.
Tutto fatto a mano.
Alle prime ore del pomeriggio prendo un bus che mi porta a Moritzburg, mi aspetta la visita del famoso Castello di Moritzburg, tra i più imponenti castelli barocchi d’Europa, anch’esso realizzato su commissione di Augusto il Forte.
Il Castello è situato su un isolotto, per accedervi devo percorrere un viale di cinque chilometri.
Sono le quattro del pomeriggio e nei miei programmi c’è di spostarmi ancora più in là, tornando verso Dresda, ma passando da Radebeul, per visitare lo Schloss Wackerbarth, azienda vinicola tedesca ai piedi di una collina colma di vigne.
Per arrivare prendo l’impronunciabile Lößnitzgrundbahn, un treno a vapore che da molti anni percorrere la linea ferroviaria Radebeurg-Radebeul.
Nella piccola stazione siamo in molti, per lo più turisti, ma incontro a sorpresa anche la mia guida che, con un sorriso mi viene incontro e mi abbraccia. Al collo porta un pass uguale a quello che indossano molte altre persone accanto a lei. Le chiedo di cosa si tratta e mi spiega che sta partecipando ad una visita turistica per guide turistiche. Bizzaro, penso.
Il treno arriva sbuffando fumo nero. Saliamo e sedendomi sulle panche di legno mi torna alla mente la scena iniziale del capolavoro di Jim Jarmush, Dead Man, in cui un giovanissimo Johnny Depp in bianco e nero desaturato inizia la sua disavventura. Mi guardo intorno mentre il treno dondola e s’immerge nella foresta.
Mi sposto quasi immediatamente nell’unica carrozza scoperta, abbandonando l’idea di stare in solitaria, lontano dai turisti, a favore di una vista su ciò che abbiamo intorno ben più importante.
Passo mezz’ora a guardarmi intorno, tra il verde fitto e ponti sospesi sull’Elba, senza pensare a nulla, se non al fatto che, in fondo, quello che sto vivendo è uno dei pochi momenti in cui il mio cervello sta lavorando a velocità ridotta. E va bene così.
Una volta arrivato allo Schloss Wackerbarth sono stanco dalla giornata e vorrei sedermi, magari semplicemente fumare una sigaretta pensando al fatto che lo sto facendo, ma un ragazzo in giacca e cravatta mi si para davanti. Pronuncia il mio nome e il mio cognome, sicuro di sé. Dico solo Sì e lui risponde che mi stava aspettando.
Tutto molto semplice: la mia visita è stata prenotata e con essa anche una degustazione e una cena offerta nel ristorante dell’azienda vinicola.
Mi accompagna nella parte vecchia, non più in funzione e poi in quella nuova, mostrandomi i macchinari per la confezione e le botti di acciaio. Di nuovo all’aperto, osservando la vigna davanti a sé, come un impero conquistato, il ragazzo pontifica riguardo l’importanza di quel luogo e di quelle vigne.
Gli domando da quanto tempo lavora allo Schloss Wackerbarth. Mi risponde dal 2004. I suoi occhi persi in un semidelirio mi dicono che non sono stati anni semplici per lui, giovane rampante troppo a contatto con il vino.
La degustazione si protrae per un’altra mezz’ora. Io non sono un sommelier, non sono nemmeno un grande bevitore di vino. Non sono capace di fare tutti quei gesti rituali prima di portare il bicchiere alla bocca. Mi limito a non svuotare il bicchiere dell’assaggio, me lo ha spiegato qualcuno. Alla fine ho sei bicchieri semivuoti davanti a me, lui li prende e li rovescia in un lavandino. Mentre continua a parlarmi assaggia dell’altro vino, versandolo da una bottiglia già aperta. Inarca la testa verso l’alto, socchiude gli occhi, si china verso il lavandino e rigetta l’intera sorsata.
Mi guarda e mi dice “Bene, l’accompagno al suo tavolo, avrà fame.”
***
Torno a Dresda che è sera, entro nella mia camera, guardo fuori dalla finestra che si affaccia sull’Altmark. Spengo la luce, riapro la porta ed esco.
Fuori, davanti all’hotel, provo la stessa sensazione che ho provato tutte le volte che sono stato in una città sconosciuta e ho dormito in una camera sconosciuta. È una sensazione che non ha nome e non ha forma, ma che è composta da malinconia. Forse quei momenti esistono per ricordarti dei luoghi che hai abbandonato. Poi mi rilasso e mi siedo su un muretto, poco più avanti.
Una coppia di biker che, in silenzio, mangia degli hamburger acquistati presso il McDonald’s poco distante. Nessuno dei due parla per diversi minuti. Poi si alzano e si allontano. Non riesco a scorgere dove potrebbero essere parcheggiate le loro motociclette.
C’è un’enorme fontana, una sorta di vasca con l’acqua che rasenta il limite senza defluire mai, sembra uno specchio molle. Mi rilasso osservando un bambino che conduce un modellino minuscolo di Ferrari lungo il bordo. Produce un suono dolce, un brrrrrrrrum brummmm di gote che si gonfiano e labbra che si serrano. A volte la sua mano si tuffa sotto il pelo dell’acqua, insieme alla Ferrari, e il suono cambia, diventa sommesso. Liquido, per l’appunto.
Allargo il mio orizzonte visivo al cielo, si sta chiudendo di nuvole che domani diventeranno minacciose, mentre io sarò in treno, di ritorno a Berlino.
Porto le braccia dietro la schiena, apro i palmi appoggiandoli al fresco del muretto sul quale sono seduto. Mi accomodo.
Immagino che Dresda sia la mia città natale. Non ci riesco, ma provo a pensare a come potrei stare vivendo qui, in questo momento della mia vita.
Dresda, che quando la osservi da fuori è un gioiello, però quando ci entri dentro le senti sulla pelle le piaghe che l’hanno divorata in una lunga terribile notte ed un definitivamente arreso giorno. Dove tutto si è spento e frantumato e svanito. Mi ricorda Berlino, in qualche modo, ma più fragile. Meno esperta.
Dresda è questa cosa, un invalido fiero che non accetta di farsi aiutare, che se deve e può camminare lo fa con le sue gambe e che se ti avvicini ti dice che va tutto bene. E va tutto bene.
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Foto di Copertina: cantieri intorno alla carcassa della Frauenkirche – CC WikiCommons 1994
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