Come racconta in un suo video Ze Frank – comico e performer americano, milioni di anni fa il progenitore del pangolino, discutendo con l’evoluzione del suo futuro, doveva avere un piano ben preciso in testa:
“Voglio essere un drago! Voglio essere spaventevole e avere terribili squame”
“Ma certo! Nessun problema per quelle” deve aver risposto l’evoluzione.
“Potrò anche sputare fuoco?”
E l’evoluzione: “Beh no, il fuoco no. Ma avrai delle ghiandole che secerneranno un odore pestilenziale, e saranno posizionate proprio vicino al tuo ano.”
“Mi stai dicendo… che potrò produrre un odore terribile da un punto che si trova nei pressi del mio sedere…? Umm, suona ridondante… Ma dimmi, avrò denti giganti tipo squalo?”
“Beh no, i denti proprio no, però avrai una lingua lunga quanto tutto il tuo corpo…”
“Ehm, ok… Sarò gigante e farò paura, giusto?”
“Oh, ma certo, specialmente alle formiche!” Ha risposto l’evoluzione.
Ed è così che dopo milioni di anni, il pangolino non è diventato propriamente un drago, ma un mammifero davvero peculiare, l’unico al mondo squamato e senza denti, con una lingua lunghissima, appiccicosa, estremamente pieghevole e molto utile per scovare insetti, anche microscopici, nelle loro tane profonde, all’interno di tronchi e di rami. Anche noti come formichieri squamosi, i pangolini sono gli unici esseri viventi della famiglia dei Folidoti, i cui parenti più stretti sono, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, gli organismi dell’ordine dei Carnivori, come cani, gatti e orsi. Le scaglie che ricoprono il loro corpo sono composte interamente da cheratina, come i nostri capelli e le nostre unghie, e formano sul pangolino una corazza a piastre, che lascia scoperti il muso, il ventre e la parte interna delle zampe. Sono animali timidi e notturni, con vista e udito deboli, ma dotati di un ottimo senso dell’olfatto; hanno una coda lunga, che è prensile in alcune delle otto specie di pangolini esistenti sulla Terra, quattro di cui vivono in Africa e quattro in Asia. Territoriali e sedentari, la loro grandezza può variare da 30 a 100 cm. Hanno una dieta a base di insetti, possono vivere fino a tredici anni e maturano sessualmente all’età di due.
Il pangolino è oggi anche un mammifero in via d’estinzione. La IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione Naturale, lo posiziona nella sua lista rossa come “endangered”, in pericolo, e nonostante sia una specie protetta anche internazionalmente dal 2017, continua a essere tra le più illegalmente trafficate al mondo: catturare i pangolini è molto facile poiché, quando si sentono minacciati, si arrotolano su loro stessi, formando della palle squamate. I bracconieri allora li avvicinano senza pericolo e li chiudono i sacchi di plastica, facendoli morire per soffocamento. Si pensa che dal 2000 ad oggi siano stati smerciati in maniera illecita più di 900.000 pangolini in tutto il mondo, in una catena di traffico illegale che vale milioni di dollari tra Africa e Asia, dove scaglie di pangolino acquistate per una cifra intorno ai 5 dollari da bracconieri locali, possono essere rivendute anche per 1000 dollari in Cina.
Negli ultimi anni sono stati diversi i casi di enormi quantità di pangolini (e di scaglie) scoperti dalle polizie di frontiera: tra questi, vale la pena annoverare le 5 tonnellate di pangolini congelati sequestrate in Indonesia nel maggio del 2015; ancora in Indonesia, i 650 pangolini del 2016, pronti per essere espatriati; le 30 tonnellate di pangolini sequestrati a Saba, in Malesia, l’11 febbraio 2019; le 14 tonnellate di scaglie di pangolino, provenienti da circa 36.000 animali, sequestrate a Singapore nell’aprile dello stesso anno; infine, più recentemente, le 6 tonnellate di scaglie di pangolino africano, scoperte dagli agenti della dogana in Malesia, nascoste in 63 sacchi di anacardi e ritrovate il 7 aprile del 2020. Probabilmente si tratta solo la punta dell’iceberg, perché è assai facile che molti carichi di animali arrivino a destinazione senza essere bloccati alle frontiere: le autorità credono che su dieci pangolini smerciati illegalmente, nove passino inosservati.
I pangolini sono trafficati per due ragioni principali. Per la loro carne, che è considerata una prelibatezza soprattutto in Cina e in Vietnam, e per le loro scaglie, utilizzate nella medicina tradizionale cinese per curare varie patologie: cancro, impotenza, difficoltà di lattazione, infiammazioni. Non esistono delle prove scientifiche a supporto dei loro presunti benefici. Secondo il Dott. Lao Lixing, ex direttore della scuola di Medicina Cinese dell’Università di Hong Kong, nessuna ricerca scientifica è in grado di provare le proprietà curative delle scaglie di pangolino. Ciononostante, la Cina è globalmente il paese con il più esteso commercio illegale di scaglie di questo mammifero, e la popolazione locale di pangolini è precipitata del 90% dal 1964 al 2004. La caccia e il contrabbando di pangolini avvengono anche in molti altri paesi del sud est asiatico, tra cui Indonesia, India, Nepal, Hong Kong e Vietnam, oltre che negli stati africani di Nigeria e Camerun.
Negli ultimi mesi il pangolino è stato investito da un fascio di notorietà inatteso. Si sospetta infatti che proprio una delle specie di Manis asiatica sia parte in causa della zoonosi che ha fatto esplodere la pandemia di Covid-19. Dopo aver testato più di 1000 esemplari di specie selvatiche, gli scienziati della South China Agricultural University hanno trovato che il genoma del virus del pangolino sia al 99% identico a quello dei pazienti affetti da Covid-19. Ma a quanto pare, non è abbastanza per rendere più severe internazionalmente le misure di conservazione di specie selvatiche che, peraltro, possono recare danni gravissimi alla stessa specie umana, proprio come nel caso della pandemia di Sars-CoV-2.
Nonostante la comunità scientifica internazionale sia d’accordo nel sostenere che il virus che ha causato la pandemia odierna sia impossibile da ricreare in laboratorio e che sia arrivato all’uomo attraverso un processo di zoonosi, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, continua ad affermare, persino contro la sua stessa intelligence, di avere delle prove che si tratti invece di un virus prodotto in un laboratorio cinese. Sostenendo che il Covid-19 sia il prodotto di un’arma biologica, si esclude sia stato causato da una continua erosione e distruzione di ecosistemi, il cui risultato più pesante è il contatto che tante specie selvatiche hanno sviluppato con bestiame, animali domestici ed esseri umani. Conseguentemente, si abbassa la guardia sulle necessarie politiche di prevenzione per proteggere e ricostruire quegli ecosistemi, danneggiati e in pericolo. Le zoonosi, inoltre, avvengono anche quando diverse specie selvatiche, come pipistrelli, pangolini, uccelli, roditori, volpi volanti e civette sono trafficate illegalmente, anche a livello internazionale. I divieti e le sanzioni devono quindi essere duri e vanno fatti rispettare: il traffico di specie selvatiche non è un problema solo cinese, ma di tutta la comunità globale, anche degli Stati Uniti, per anni tra i paesi leader nella conservazione delle specie e degli ecosistemi, ma che sotto la presidenza Trump hanno indebolendo le leggi che proteggono le specie in pericolo di estinzione, parte dell’Endangered Species Act, diminuendo ogni anno il numero di specie da proteggere aggiunte a questa lista. L’amministrazione Trump, inoltre, proposto di tagliare più di 300 milioni di dollari da programmi che promuovono la protezione e la conservazione di habitat ecosistemici e che combattono il traffico di animali selvatici in Asia, in Africa e in altre parti del mondo.
Eppure, il Coronavirus che causa l’infezione Covid-19 è stato trovato simile al 96% nei pipistrelli. Secondo diversi studiosi, tra cui i ricercatori dell’Istituto Pasteur di Parigi, fondazione francese non profit dedicata allo studio della biologia, dei microorganismi, delle malattie e dei vaccini, nella trasmissione tra il pipistrello e l’uomo ci deve essere stato un animale intermedio: la stessa cosa era successa allo scoppio dell’epidemia di SARS, nei primi anni 2000. All’epoca l’anello mancante della zoonosi era stata dichiarata essere la civetta, la cui carne viene consumata in Asia ed è considerata una prelibatezza; allo scoppio della pandemia di Covid-19 si pensa invece, anche se non ci sono ancora conferme univoche in merito, che il collegamento tra i pipistrelli e gli umani potrebbe essere il pangolino.
Di recente, inoltre, si è scoperto che i pangolini non dispongono di un sistema di difesa contro le infezioni virali, ma le tollerano senza venirne affetti. Questi mammiferi hanno attraversato milioni di anni di evoluzione senza essere muniti di difese immunitarie simili a quelle di altre specie, e alcuni scienziati credono che studiare il loro meccanismo protettivo potrebbe aiutare a escogitare nuove strategie per combattere l’infezione da Covid-19. Da un lato quest’informazione costituisce un’ulteriore speranza nella possibilità di debellare il virus dal pianeta, ma è giusto continuare a prevaricare i diritti di vita e sopravvivenza di tutte le specie di esseri viventi del pianeta, fatta eccezione che quelli inalienabili di un certo tipo di homo sapiens?
Estinguendosi, il pangolino porterà con sé l’enorme ricchezza del suo patrimonio genetico, che si è adattato in millenni di evoluzione e non solo, la sua scomparsa creerà un ulteriore squilibrio negli ecosistemi in cui vive. Come per tutte le specie, quando uno degli esemplari che è parte di un determinato ecosistema scompare, l’intero habitat ne viene radicalmente sconvolto. Si era pensato che l’esplosione della pandemia avrebbe potuto migliorare le condizioni di varie specie selvatiche, fra cui il mitico drago sdentato, il pangolino. Probabilmente, neanche la pandemia globale da Sars-CoV-2 riuscirà invece a salvarlo. Nonostante le evidenze scientifiche, che hanno provato come la maggior parte delle pandemie moderne siano avvenute per zoonosi causate da traffico illecito di specie e da un uso distruttivo e irresponsabile di territori e risorse.
Si dovrebbero proteggere ecosistemi e specie selvatiche anche – e non solo – a scopo preventivo, ma purtroppo no si sta andando, globalmente, in questa direzione.
Virginia Patrone è urbanista e scrittrice, radio speaker, illustratrice, pensatrice libera e libertaria. Scrive e disegna per capire il mondo. È nata a La Spezia (1985) ed è cresciuta a Genova. Ha studiato e vissuto in molti paesi diversi e ora vive in uno sperduto villaggio in Anatolia. Quando l’idea di essere remota la spaventa pensa a Tilda Swinton: la lontananza è oggi uno status mentis. Se andasse a Hogwarts la sua casa sarebbe Rowanclaw. Se fosse un elettrodomestico, forse sarebbe una lavapiatti, invenzione di una donna.
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