La comunicazione è disturbata. È come se Federico parlasse con un tubo di gomma davanti alle labbra. La sensazione è quella.
“Insomma, fra qualche giorno venite a Berlino.”
“Sì, la conosciamo molto bene. Ci siamo stati diverse volte. Questo è il quarto concerto che facciamo lì da voi.”
“Lo sai che è sold out?”
“Certo.“
La prima volta che ho incrociato Federico Dragogna era seduto ad un tavolo di un’osteria milanese del quartiere Isola, insieme ai suoi compagni, Davide Autelitano e Michele Esposito. I Ministri. Era il 2009, l’anno del disco ‘Tempi Bui’ e della consacrazione della band anche fuori dalle mura milanesi. Ai tempi mi sembrarono tre altezzosi ragazzini a metà tra dei rocker e dei figli di papà. Il tipico prototipo di bauscia fuori dalle righe. Poi venne il giorno, giusto qualche settimana dopo la sera in cui, dall’alto del mio tavolo appartato, sentenziavo la loro ipotetica spocchia, in cui li vidi dal vivo, al Circolo Magnolia. Capii, vedendoli ed ascoltandoli sul palco, che c’era qualcosa che mi ero perso, oppure frainteso, di quel loro modo di essere.
Insomma, cosa vi aspettate da questa data?
Sappiamo bene come funzionano le date all’estero. Nel senso che, siccome un sacco di italiani sono andati altrove, poi ti ritrovi un sacco di italiani altrove. Che poi ci sta, fa parte del gioco. Credo sarà una data in cui ci sarà un po’ di gente che ne approfitta per farsi un week end a Berlino e un po’ di gente che è di stanza nella capitale. Spero che qualcuno di quelli che vivono lì si porti dietro degli amici tedeschi, perché la speranza di una band, in questi casi, è sempre quella di provare a comunicare, attraverso la musica, con un altro tipo di realtà con cui generalmente non sei in contatto.
Io mi ricordo che siete stati a registrare anche alla Funkhaus, un paio di anni fa.
Esatto, due anni fa. Siamo rimasti un mese e mezzo a Berlino e abbiamo registrato alla Funkhaus. Tra l’altro abitavamo in Schlesisches Tor, dove c’è il Bi Nuu, che è il locale dove suoneremo. Quel posto, nonostante non ci sia mai stato, mi ha sempre affascinato.
Insomma, secondo me suonare di sabato sera a Berlino, in quel posto, è bello. Perché lo vedo un po’ come il centro di qualcosa di grosso.
Sì, lo è decisamente. È una sorta di crocevia tra due quartieri molto importanti in città.
Senti, ormai è quasi un anno da quando è uscito ‘Fidati’. Mi ricordo che era aprile dell’anno scorso.
In questo periodo lo stavamo registrando.
Ecco. Cos’è cambiato da allora? Come lo vedete e con che orecchie lo ascoltate oggi?
È stato un disco importante per noi, perché in un momento biografico e anagrafico personale abbastanza importante, dato che ormai iniziamo ad avere dai 35 ai 37 anni e le nostre viste stanno cambiando, noi abbiamo fatto uscire un disco ovviamente diverso dagli altri e quindi con un’importanza forse maggiore. Noi siamo una band nell’accezione reale e, se vogliamo, romantica del termine: siamo cresciuti insieme, siamo amici strettissimi. Quindi il racconto stesso de I Ministri è il racconto di noi tre. La storia di tre persone e del paese che gli sta attorno. In questo senso era importante per noi fare un disco che dicesse come siamo in questo momento, anche a livello di linguaggio e tono. Volevamo riuscire a crescere come band. Far sì che la tua creatura band sia rispettosa di quello che sei e non una maschera. Soprattutto per me un anno fa la vita era molto buia e quindi erano bui quei pezzi. Poi, insieme al disco, mi è cambiata in qualche modo anche la vita. Si è sicuramente rischiarata per certe cose. Quindi ‘Fidatevi’ è la mia vita, nel vero senso della parola. Poi se devo dirtela dall’altro punto di vista, posso dirti che è stato un tour molto importante, perché fatto con una produzione più ampia, organizzato in posti più grossi, con un pubblico diverso. Soprattutto nella prima parte, quando abbiamo suonato nei club. C’era dietro un concetto diverso dai nostri concerti precedenti, non sfruttavano la stessa dinamica. In posti più piccoli, con un impatto più stretto con la gente, paradossalmente è meno importante che lo show funzioni anche ad ottanta metri di distanza. Mentre quando suoni in un posto dove hai una persona che ti sta seguendo da ottanta metri di distanza, devi pensare anche a lui. Questo devi imparare a farlo.
Allora mi viene da pensare che devono esserci moltissime differenze rispetto al vostro primo disco, ‘I soldi son finiti’.
Sì, sicuramente è cambiato il tono e il significato delle cose che facciamo, e la gente se n’è accorta, poi però paradossalmente in alcuni riferimenti musicali e modi di affrontare la questione canzone siamo stati molto più vicini adesso, rispetto ad altri episodi della nostra storia. Però ti direi sicuramente che in primis suoniamo meglio, ora possiamo permetterci di suonare pezzi molto tirati con un certo tipo di sustain fino alla fine, senza bisogno di editing. In questo anche l’esperienza berlinese ci ha aiutato molto a diventare una band in grado di suonare quasi in presa diretta. Mentre il primo disco era più lavorato, perché comunque gli studi in Italia rispetto al rock tendono ad editare parecchio i dischi. Dall’altra parte credo che abbiamo anche acquisito una capacità di fare canzoni in cui riusciamo a parlare anche degli altri e delle loro storie. Però i principi che muovono il nostro scrivere sono sempre gli stessi. Si è persa un po’ di ironia e faccia da culo che avevamo all’inizio, che era direttamente proporzionale all’urgenza che hai di farti notare.
Nell’ultimo disco abbiamo avuto la necessità di affrontare molto sul serio i temi di cui volevamo parlare. Anche perché, come ha detto il nostro amico Vasco Brondi, aka Le Luci della Centrale Elettrica, “l’ironia è diventata una piaga sociale” ed io sono decisamente d’accordo.
Voglio dire, la vita ti scurisce, se accetti il suo caos ti accorgi che le relazioni, per esempio, a venticinque anni, l’età che avevamo quando è uscito ‘I soldi son finiti’, ti pesa un po’ meno sull’animo. Le ferite sono meno profonde. Quindi penso che rispecchi, in questo senso, la nostra crescita. Io sono uno di quelli convinti che non esiste qualcuno che vorrebbe tornare ai venticinque anni. Se davvero tu lo preferiresti hai qualcosa che non va.
Che cosa vuoi dire con ‘la vita ti scurisce?
Per esempio, per me è stato quando ho smesso di essere figlio in ogni passaggio e ad ogni livello. Figlio proprio come condizione esistenziale. Quando ti accorgi che i tuoi genitori sono persone assolutamente mortali e che stanno invecchiando, che stanno proprio cambiando di posizione rispetto a te. Allora ti accorgi che la vita, in qualche modo, si atomizza. È come la nostra società, che funziona con il principio della famiglia,sostanzialmente – piccoli nuclei che interagiscono in uno spazio interno ed esterno. Ecco, c’è un momento, variabile, ma che io identifico intorno ai trent’anni, dove le persone iniziano a dividersi. I modi per incontrarsi sono di meno. È una condizione che ci lega tutti dall’incontrarci perché bisognosi di dover spendere, dal dover andare in qualche posto e acquistare certe cose. È così che incontri le persone ad un certo punto della tua vita. Non le incontri più al parchetto seduto sulla panchina, come fanno gli adolescenti di oggi. Perché non puoi spendere 9 euro ogni volta che vuoi incontrare un tuo amico in un locale.
Voi siete tutti e tre milanesi, vero?
Sì, ci siamo conosciuti al Liceo.
Ok. Nel vostro percorso di band in che modo l’avete vista cambiare Milano?
Guarda, noi ce la siamo beccata tutta nel suo cambiamento e penso che, diciamo tra il 2000 e il 2010, era una città abbastanza rovinosa da tutti i punti di vista. Era in mano a gente che progettava una sorta di Milano versione Varese, senza voler offendere Varese. Si respirava un modello di vita e di inclusione completamente diverso, di possibilità addirittura di fare musica. Era una città tragica. Anche soltanto andare a Torino sembrava di andare chissà dove. Poi è cambiata tantissimo. Diciamo che forse ha coinciso con il cambio tra la Moratti e Pisapia, ma non tanto per Pisapia in sé, ma perché una parte di Milano si era rotta i coglioni definitivamente. C’era un’energia speciale nel voler cambiare le cose. Pisapia, in fondo, ne fu un po’ travolto. Noi stessi partecipammo ad un movimento che poi fece un mega concerto in Stazione Centrale, eravamo dentro l’organizzazione. Si chiamava Milano Libera Tutti.
C’eravamo noi, i ragazzi del Circolo Magnolia, con cui spesso lavoravamo e collaboravamo e molti altri movimenti e realtà. Da allora Milano è cresciuta in un modo incredibile, ha acquisito freschezza e anche sotto l’aspetto dei valori e delle iniziative ha avuto una crescita assurda.
Il grande problema che si è portata dietro nella sua rinascita sono stati i prezzi che, ormai, stanno assumendo proporzioni irreali. Comunque, in questo momento storico italiano, essere a Milano, per certi discorsi e progetti, è un sollievo. Si sta bene. Potrebbe essere un laboratorio su cui lavorare per far ricrescere in un altro modo l’Italia intera.
Però, ripeto, occorre stare attenti al non farsi scappare di mano la situazione economica interna. So che anche a Berlino si sono alzati i prezzi degli affitti.
Sì, credo sia entrata anche lei nella bolla, però diciamo che si sta ancora bene, si riesce ancora a vivere tranquillità. Resta una città in cui puoi ancora arrabattarti senza grandi danni, mettiamola così.
Io ho sempre visto Berlino come la città in cui puoi uscire di casa, passeggiare e non fare nient’altro che quello. Milano non è quel tipo di posto.
Invece la Milano musicale com’è cambiata in questi anni?
Milano è diventata campo base di quasi la totalità della discografia italiana. È tutto qui, da X Factor alle etichette che ci si stanno trasferendo, compresi i musicisti. A volte è quasi difficile distinguere cosa c’è della scena milanese e cosa no, nel senso che di veramente milanese nuovo, ti potrei citare tutto il giro di Riva, Miss Keta, Generic Animal, ovvero il giro della Milano che io frequentavo quando producevo gli Iori’s Eyes, che erano ancora ragazzini in quella scena. Il fatto che ci sia una scena rock minima è direttamente proporzionale a quello che dicevamo prima rispetto all’aumento dei prezzi. Come fa una band a provare a Milano? È difficile che trovi anche solo il posto. Gli costerebbe troppo. Quindi oggi Milano è un posto per musica computer based, come approccio.
Ovviamente anche per noi come band, al di là di quello di cui vogliamo parlare, è complesso in questo momento parlare della nostra città ed essere, dall’altra parte, un gruppo rock con l’animo da chi va a rompere le palle all’ordine costituito. Perché questo è il problema generale d’oggi nell’essere contro. Cioè, come può oggi il rock disturbare quest’ordine costituito? La trap lo fa in qualche modo, ma è un modo completamente diverso da quello che facevano i Rage Against the Machine, con i quali noi siamo cresciuti. Ecco.
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