È quasi un rituale: arrivo a passo spedito da Kopenickerstrasse, salgo sulla Alexanderstrasse e raggiungo il ponte. Ormai sono due anni che abito ad un passo da questa stazione, i piedi vanno senza bisogno di pensare alle direzioni. Sul ponte solitamente mi piace stare sul lato destro, guardando la stazione, lasciandomi gelare la faccia dalle raffiche di vento. D’estate c’è anche un bar sul lungofiume che trasmette musica dance anni ’90 e va a mischiarsi al vento, d’inverno ci si accontenta dei suoni della città. È bello passarci al tramonto, o la sera. Durante il giorno è un luogo quasi anonimo, fatto soltanto di persone indaffarate che corrono verso la stazione, immerse nel grigio che viene spezzato dal piccolo edificio di mattoni rossi. Talvolta qualche coraggioso membro della comunità cinese, militante spirituale del Falun Dafa, protesta pacificamente davanti alla vicina ambasciata.
La sera è diverso, con i tramonti che si specchiano nel fiume Sprea, le luci che si riflettono, il vento gelato.
Un edificio lungo, mattoni rossi, grandi vetrate, incastonato tra due ponti. Jannowitzbrücke è una piccola stazione dalla forma singolare, l’unione di una fermata della S-Bahn, la linea U8 della metropolitana, un kebabbaro, uno snack bar: il tutto in bilico sul fiume. Esiste dal 1882, ma non si è mai veramente fermata, tra costanti lavori di ampliamento, bombardamenti, messa in sicurezza. La presenza della U-Bahn lascia perplessi, a pensarci: per entrarvi ci sono due passaggi che portano ai binari, interrati. Ad uno si accede da dentro la stazione, l’altro guarda invece il fiume. Piani sotterranei, esattamente dove passa lo Sprea. Una costruzione retaggio, scavi fatti durante la seconda guerra mondiale, ponti pre-esistenti, modifiche della città a causa della costruzione del Muro di Berlino.
Il giallo psichedelico che caratterizza la parete non lascia spazio a dubbi, crea un effetto accecante a qualsiasi ora del giorno e della notte, visto dal treno funziona da interruttore visivo: “ah sì, ci siamo, Jannowitzbrücke”. Ci sono stati dei tentativi quasi di smorzarlo, aggiungendo gigantesche fotografie d’epoca al di là dei binari, eppure niente, il giallo continua a vincere imperterrito.
Jannowitzbrücke ha un po’ quell’aria di luogo sospeso a metà, di confine. Durante il periodo del Muro nessun treno si fermava in questa stazione. Una stazione fantasma, così veniva definita. Solo dal periodo del “die Wende”, il passaggio della DDR al mondo economico occidentale, Jannowitzbrücke si riprende la sua vitalità, diventando uno di quei luoghi dai quali era possibile finalmente avere accesso “all’altra Germania”. Una specie di pianerottolo, un passaggio intermedio che ospita oggi un kebabbaro quasi sempre vuoto ed un baretto dove gli avventori si distinguono per i volti assonnati, era il punto di congiunzione, una piccola porta verso la libertà.
Ora la stazione resta sospesa tra Mitte, commerciale, caotica, e Kreuzberg, con i suoi club, le zone popolari a maggioranza turca, le vecchie aree industriali. Ogni sera Jannowitzbrücke offre il suo piccolo spettacolo di luci: svetta sul ponte con la sua vetrata luminosa, che a intervalli regolari viene attraversata dalle luci rosse e gialle dei treni della S-Bahn, mentre intorno, sul lato Sud, le luci flebili creano un contrasto intenso con lo scintillio delle acque dello Sprea.
Come stazione in sé non è per nulla intrigante. Jannowitzbrücke non lascia scampo all’olfatto. Ancora prima di entrarvi, si riesce a sentire un odore acido e prepotente di piscio, che va a mischiarsi ai periodici umori del fiume, oltre alle inconfondibile ventate di kebab da asporto. Arrivando dalla Holzmarktstrasse, si viene poi accolti da un cantiere, con polveri e ancora nuovi odori. Prima, dove c’è adesso il cantiere, si trovava un Lidl enorme, cui si accedeva praticamente da dentro la stazione.
Non è certo questa la stazione più affascinante di Berlino. Ci sono una serie di punti bui e un corridoio lunghissimo che d’inverno, oltre a rappresentare una vera e propria salvezza dal freddo, raccoglie personalità bizzarre. La scalinata verso la U-Bahn non è un luogo profumato, né particolarmente accogliente, d’altronde, Jannowitzbrücke ha un’aria squallida: è solo una stazione di confine di una grande città. Non affaccia su una piazza, non ha un’architettura spettacolare, non gode del riverbero emotivo degli odori del mondo.
È un piccolo punto di scambio, dove la vita notturna può transitare indisturbata, non importa verso che club, non importa se vestita trash o elegante.
Di tutta la stazione, la zona migliore è quella sopraelevata, dove passa la S-Bahn.
Per arrivarci si può utilizzare una delle scale mobili più lente di Berlino, o passare da un immenso sottoscala illuminato da luce aranciata, in qualsiasi stagione, in qualsiasi giorno dell’anno. E’ in alto che transita la “vera vita” della stazione. Le due grandi vetrate, durante l’autunno e l’estate, regalano riflessi di luce e viste quasi poetiche, cinematic if you like. C’è una sensazione di ambiente familiare, di colpo potresti essere ad Alexanderplatz, in una Friedrichstrasse in miniatura, ad Eberswalder Strasse, ma meno chic, e tutto grazie a queste imponenti vetrate.
Domenica mattina, invece, è il momento in cui la stazione si esprime. Niente impiegati che di corsa raggiungono gli uffici con vista sui binari, questa è la giornata di chi ritorna dai club, o di chi ci sta andando. È come se ognuno fosse lì, ma con un velo che rende invisibili, indossato da chiunque: io ti vedo, ma tu non mi vedi veramente.
Un distinto signore in cappello, impermeabile, baffetti ordinati e tacchi di pelle aspetta in un angolo, guardando assonnato verso Alexanderplatz. Vicino a me, su una panchina, due ragazzini incollati al telefono si sorreggono, testa contro testa: la notte è finita ma hanno tutta l’aria di non volersi fermare nemmeno un secondo.
La stazione è silenziosa, nessuno chiacchiera. Si sentono i fruscii che i treni creano con il vento quando sfrecciano via dalla stazione. C’è anche un gruppetto di ragazze, due che sorreggono una terza, visibilmente provata dalla serata. Vestito nero corto di pelle, stivaletti, giacca leggera. I capelli lunghissimi ondeggiano col suo corpo instabile. Starà morendo di freddo, ma probabilmente nemmeno se ne accorge: beata lei, penso. La vera attrazione di stamattina non è costituita dai soliti individui con i completi di pelle o devastati dalla birra. No. È una signora sulla settantina, piccola, rotonda, con dei lunghissimi capelli grigi. Ogni tanto mi guarda, io, la mia tazza di caffè e la macchina fotografica, un po’ come fossimo complici. Complici che si soffermano sulla vita degli altri, che la guardano scorrere e cercano di aggrapparsi a piccoli dettagli. La signora passeggia su e giù per i binari, ogni tanto si ferma e fissa vagamente il vuoto. Poi torna, si siede a turno sulle varie panchine. Non parla con nessuno. Sembra che stia aspettando lo scorrere degli habitué dei club, che si distendono in bellissime pellicce colorate, sguardi trasognati e accessori di pelle. Magari è un rituale, eppure, in due anni qui, è la prima volta che mi accorgo della sua presenza. Somiglia un po’ allo spirito della stazione, che vaga nei dintorni, pronta a sbirciare la vita notturna degli altri.
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin