Questa è l’era dell’Esistente. Di un esistente sovraccarico in cui c’è spazio solo per ciò che è reale (o considerato tale). Dove questo stesso reale si manifesta attraverso la sovrabbondanza di sé, senza concedersi tregua e respiro in quel frangente definito fantastico. Eppure, il convivere con l’estenuante esibizione del reale e dei suoi prodotti pare conduca ad un disorientamento che produce confusione e impossibilità di distinzione fra ciò che è realmente effettivo e ciò che, invece, è soltanto una rappresentazione di esso.
Indispensabile, quindi, è imparare a distinguere fra la veridicità e i suoi riflessi.
Il Simulacro: le radici dell’iperrealtà
L’eccesso di reale è stato definito iperreale, concetto che, come rimanda la parola stessa, contiene un reale estremizzato che viene riletto attraverso logiche contemporanee nuove, in cui però i connotati autentici si perdono in favore di una ricostruzione che chiama in causa il consumismo, le nuove tecnologie, i mass media e i suoi apparati e che – inevitabilmente – lo trasformano.
Prima, però, di entrare nel mondo dell’Iperrealtà e smarrirci nel labirinto delle sue costruzioni, è necessario introdurre un altro concetto chiave da cui esso deriva: l’idea di simulacro.
La parola Simulacro, come rimanda l’etimo stesso, ha origine da simulacrum, composto rispettivamente dal suffisso, simula (rappresentare), e da crum, indicante il mezzo, lo strumento attraverso cui avviene la raffigurazione.
Come scrive Gianfranco Bettetini in La simulazione visiva: “l’idea di simulacro è legata al verbo simulare, che fa convivere in esso i verbi imitare e rappresentare, ma anche i sostantivi di menzogna, inganno e finzione. Non esiste infatti simulazione neutra e qualsiasi atto di duplicazione implica la consapevolezza di essere all’interno di un meccanismo di manipolazione.”
Si deduce che il Simulacro rappresenta forme, identità e sembianze che si sono svestite dalle proprie connotazioni naturali per assumere, tramite un processo di deformazione, aspetti altri e diversi, che all’osservatore appaiono come autentici. Tema che apre scenari in quella parte del mondo filosofico da sempre attenta al rapporto tra naturale/artificiale, tra mondo vero/mondo in sé. E senza dubbio è stato Nietzsche tra i maggiori sostenitori di una concezione di mondo vero che sfuma in favore dell’illusione, dell’inganno, della favola, e in cui a consolidarsi è la coscienza dell’apparenza rispetto a ciò che effettivamente è.
Secondo Nietzsche l’essere si autodefinisce in base al suo rapporto con un mondo altro, apparente e fittizio, espropriandosi dell’elemento naturale per affrancarsi a principi illusori; principi che, come sottolineato all’interno di La volontà di potenza, trovano unica realizzazione nei nostri pregiudizi, nelle nostre logiche e ricostruzioni. Idea di un mondo auto-rappresentato che verrà fortemente ripreso anche dal pensiero filosofico di Heidegger e Deleuze. Filosofi che assisterono al tripudio di una civiltà sempre più riprodotta, soprattutto grazie alle tecnologie, divenendo culla in cui le immagini si duplicano, si sovrappongono e si stratificano, all’insegna di un reale che attraverso esse viene reinterpretato per fare spazio a qualcosa che sembra vero, ma che in verità non è altro che una copia.
Perché, come scriveva Deleuze: “Noi non crediamo più in questo mondo”.
Ma il padre naturale, se così possiamo definirlo, delle teorie inerenti il simulacro è stato sicuramente Jean Baudrillard, che in quasi tutta la sua fitta produzione teorica riprende, affina e spiega il concetto. Per il filosofo francese il termine simulacro è intimamente connesso alla parola spéculer, che identifica un essere che ha abbandonato il proprio statuto oggettivo, approdando a un senso rovesciato in cui simbolico e simulazione giocano un ruolo da protagonisti.
L’originale e la copia si invertono, divenendo indistinguibili e allo stesso tempo autonomi. Domandarsi che cos’è il reale, per Baudrillard, è un interrogativo privo di risposta, in quanto l’apparente, ciò che è riflesso, si trova ad un piano di esistenza in cui è assente il prototipo originale, condizione che conduce ad un disorientamento che porta sempre più lontano dall’autenticità.
I contesti in cui nascono i simulacri
L’affermazione del modello simulacrale da cui si svilupperà il fenomeno dell’iperrealtà si radica in special modo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, periodo che vede aumentare esponenzialmente il ruolo dell’informatica e dei mass media. Il proliferare logorroico e automatizzato di immagini che, già nell’istante stesso in cui nascono, vengono risucchiate in un processo di consacrazione e idolatria perché definite testimonianza del reale, causeranno un cortocircuito tra ciò che è effettivamente esistente e ciò che non lo è.
La sostituzione del principio di realtà con quello di simulazione però, sebbene trovi nell’era digitalizzata la sua radice più profonda, ha, tuttavia, anche origine nel processo di riproduzione massificata enunciato da Walter Benjamin e nel pensiero situazionista di Debord, che nella formazione di una Société du spectacle individuava una civiltà che, svestitasi dal proprio volto, indossava maschere, trovando nel gioco della recita la sua forma di espressione più vicina. Non a caso, uno dei luoghi più indicativi dell’iperrealtà sono i parchi a tema, luoghi in cui gli individui si spogliano del proprio ruolo sociale per varcare spazi in cui qualsiasi forma reale viene annullata.
Un altro punto chiave per comprendere la funzione dalla simulazione nella formazione dell’iperrealtà è individuabile in quello che Mario Perniola, nel saggio La Società dei simulacri, definì “decadimento dell’epoca umanista”. A consolidarsi è una società depotenziata nella propria carica immaginativa, in favore di un surplus di informazioni e codici, in cui ad emergere è una razionalità indebolita, per non dire corrotta, che attraverso procedimenti ineffettuali riproduce copie di copie ad una velocità incontrollabile.
Per Perniola, dunque, come già appurato da Baudrillard, la distinzione tra realtà e copia e tra il modello e il suo riflesso non può verificarsi nella contemporaneità, e se avviene è soltanto, anch’essa, un’illusione.
L’Iperrealtà
L’iperrealtà si instaura quando avviene un sovvertimento dei segni intenti a rappresentare in una forma ultra-simbolica il reale, ma che con esso ha perso ogni contatto. Se non c’è realtà, verrebbe spontaneo pensare, allora l’universo iperrealista fa, forse, riferimento alla facoltà dell’immaginario, alla fantasia, che attraverso la dialettica della creazione e del disfacimento inventa le proprie raffigurazioni. E invece, sebbene l’iperrealtà si distacchi, pur simulandolo, dal reale, al contempo evita fortemente la sfera dell’immaginario, che in tale società iper-informatizzata non trova il giusto spazio per emergere.
La dimensione in cui siamo immersi è perciò un segno di una realtà che ha rinunciato ai suoi referenti, ora sostituiti con i simulacri, che non vengono però interpretati come tali, ossia come copie, ma scambiati per veri. Se, dunque, con la teoria dei simulacri si operava ad un livello astratto (contestualizzabile nel mondo delle idee verrebbe da dire), con l’iperrealtà queste teorie (i simulacri) prendono vita, si concretizzano, fondendosi con la nostra quotidianità.
Come se, di colpo, la realtà si fosse estinta e di fronte a noi rimanessero i suoi timidi resti che, progressivamente, si fondono con i loro sostituti fino a confondersi in essi. E su questa via il nostro destino sembra essere contrassegnato dall’indistinguibile.
Il sentire escluso. Come il consumismo determina l’iperrealtà
In Simulacri e impostura Baudrillard spiega che uno tra i fattori che genera l’iperrealtà è il consumismo. Piaga del nostro secolo, il consumismo si è eretto a punto cardine della nostra società, un’esistenza e un mondo privo di produzione e consumi di beni appare infatti – ad oggi – un miraggio utopico. Il crescente valore ideale riposto nelle cose materiali e nel denaro domina i rapporti sociali, instaurando comportamenti e ideologie che mutano gli assetti collettivi, rilegando la coscienza a staccarsi dal proprio sentire intimo, per assimilarsi e adattarsi al sentire massificato.
Il consumismo a causa della notevole importanza che conferisce al possesso e alla costante esibizione di se stessi e del proprio status, secondo Baudrillard, contribuisce alla formazione dell’iperrealtà, in quanto induce a preferire un’esistenza basata sull’apparenza, piuttosto che su di un sentire sincero. Apparenza che, come è chiaro, non fa altro che basarsi su forme e modelli riprodotti, e quindi, di conseguenza, simulacrali. L’iperrealtà, perciò, persuade la coscienza a staccarsi da qualsiasi carica emotiva, optando per simulazioni artificiali e duplicazioni infinite di apparenze fondamentalmente scariche di senso. Il trinomio: produzione, possesso, consumo, non a caso dirama le sue radici all’interno di una realtà che con la realtà stessa ha perso qualsiasi tipo di rapporto, perché succube della manipolazione inferta dalle dinamiche dell’iperrealtà, in cui sono proprio i suoi artefatti a predominare.
Se ne deduce che la gratificazione o la felicità non riescono a realizzarsi, se non attraverso l’espressione di simulacri effimeri, piuttosto che attraverso l’interazione con la realtà.
La simulazione dell’Arte
All’interno di questo meccanismo corrotto appare evidente che lo spazio dedicato al pensiero e alla creazione vengono di fatto mutilati. Se sono i prodotti e i beni di consumo ad essere eretti a totem sociali, anche il settore dell’arte per poter continuare ad esistere dovrà “adattarsi” a tale filosofia, trasformandosi da impulso/esigenza interiore a bene profittatile in grado di seguire l’andamento economico e le mode del tessuto sociale in cui è inserito. È lo stesso Baudrillard infatti a parlare di sparizione dell’arte: in un mondo invaso e governato dal potere delle merci e dalla loro sovrapproduzione e facile riproducibilità (anche qui, come si not,a ritorna il pensiero benjaminiano), non può esserci posto per un’arte considerata libera e autonoma.
L’oggetto d’arte, perduta la propria aurea, diviene incomprensibile nel suo valore artistico ed estetico, e viene paragonato, nonché subordinato, agli altri beni di consumo che fondano il loro potere in un plusvalore conferitagli dalle logiche del mercato. Ciò che resta è l’esibizione bulimica di cose e prodotti, in cui emerge un’alienazione radicata che inevitabilmente conduce alla simulazione dell’arte e risulta così essere sparita. L’intreccio tra consumismo e iperrealtà gioca quindi un ruolo determinante per aumentare la forza simbolica dei prodotti, tramutando le creazioni artistiche in meri oggetti vendibili o in feticci da esibire, mentre gli artisti vengono equiparati a “manager” che, alla ricerca di successo e notorietà, devono vendersi al miglior offerente.
Hyper-spazi
Ora, l’iperreale e il consumismo, oltre che diminuire il potere dell’arte, trasformandola in un’estensione dei precetti simulacrali, hanno avuto la capacità di erigere veri e propri regni emblema di una collettività che non sa più distinguere tra modelli reali e simulati, ritrovandosi – pertanto – ad essere succube di questi ultimi. Sto parlando degli Hyper-spazi (ipermercati, centri commerciali, superstrade) considerati da Jean Baudrillard luoghi soffocati in una saturazione estrema e in un riempimento trasbordante che le porterà a smarrire le loro funzionalità, i loro scopi e valori d’uso.
Iper-spazi nati per soddisfare esigenze fittizie, indotte da un sistema che si basa sulla provocata seduzione di bisogni apparentemente reali, ma perlopiù inesistenti, e che nella loro progressiva implosione verranno condotti inesorabilmente al collasso.
Eppure, sebbene l’iperreale si presenti a noi manifestandosi nella sua sovrabbondanza irrazionale, cadiamo lo stesso vittime dei canti delle sue sirene perché, proprio come ricordava lo stesso Baudrillard, negli spazi dell’iperreale non si tratta più di riferirsi alla duplicazione, alla parodia o all’imitazione del reale, quanto più a una sostituzione dei segni del reale per la creazione di un altro reale, che appare però più coinvolgente. Paesaggi fittizi, come ad esempio i dispersivi centri commerciali (non a caso denominati hypermarkets in inglese), rappresentano il risultato di un insieme di extra-segni che, pur nella loro diversità (e apparente contraddizione) convivono. I muri da loro eretti escluderanno la realtà, mentre si faranno infrangere da un’iperreale pronto a consacrarsi.
Un passaggio fondamentale inerente la riflessione sugli iperspazi ci viene soprattutto offerta dal contributo di un altro pensatore, Umberto Eco. Nel saggio Nel cuore dell‘Impero: Viaggio nell’iperrealtà datato 1975, il filosofo individua nella costruzione di regni simbolo dell’iperreale non tanto universi paragonabili al reale, quanto più l’esigenza di superare il reale stesso, cercando di formare mondi notevolmente più attraenti, speciali e che invitino il visitatore a perdersi tra le sue meraviglie. E quale, se non Disneyland, può essere considerato come il luogo perfetto che incarna tutte le caratteristiche dell’iperrealtà? Eco, prendendo come esempio il famoso parco a tema, asserisce che esso crea una realtà più forte della realtà stessa, il cui potere sta nello stimolare la fantasia dei suoi ospiti, che tra un’attrazione e un’altra si trovano a “vivere” in super ambienti da sogno decisamente più accattivanti e affascinanti della realtà.
Ambientazioni che, pur inducendo nel visitatore un senso di straniamento, lo invitano in maniera subdola a trasformarsi da osservatore partecipante a consumatore attivo: i luoghi iperreali sono, di per sé, spazi in cui il capitalismo si esprime in tutta la sua forza. Eco ci ricorda che gli ambienti iperrealistici nascono in funzione del consumismo, camuffandosi però come luoghi di diletto (si pensi anche a Las Vegas per esempio), celando così la loro vera natura, che non è altro, ancora una volta, che l’ennesimo prodotto capitalista inteso a stimolare falsi bisogni, proprio come false appaiono le sue magnificenti costruzioni.
Hyper Tecno Reality: il ruolo dei media nella costruzione dell’iperrealtà
I mezzi comunicativi contemporanei trovano nel suffisso hyper il germe che sconfinerà all’interno dei loro prodotti, e ciò non può che chiamare alla memoria quello che la coppia di studiosi Jay David Bolter e Richard Grusin negli anni ‘90 definirono“la doppia logica della rimediazione”, rintracciando negli ambienti mediali sia l’attitudine verso l’immediatezza e la trasparenza, sia la spinta che stimola l’iperreale in direzione dell’iper-mediazione e dell’opacità.
L’avanzare tecnologico ha portato a numerosi micro-evoluzioni nel nostro sistema di esistenza, favorendo una diversa classificazione dei valori, che appaiono inglobati in mistificazioni capitalistiche. Attraverso i mass media chi detiene il potere e il controllo dei network e delle piattaforme ha da sempre l’opportunità, nonché l’onere, di comunicare la realtà. Nonostante ciò, la realtà espressa tramite i mezzi comunicativi non è mai una realtà pura, limpida, quanto più una “realtà” depotenziata.
I media inviano simulacri, che altro non sono che l’ennesima opera iperrealistica in cui la parola realtà assume il ruolo di una comparsa svuotata di significato. La forza delle iperrealtà mediali, proprio come quelle generate dal consumismo, sta nel produrre contenuti e modelli che ci appaiono veri, presentandoli come tali. Il sociologo Massimo Ragnedda in Dall’iperrealtà alla costruzione della realtà: lo scenario offerto dai new media, fa un’ulteriore riflessione, asserendo che i new media non si limitano a “persuaderci”, quanto ad agire nella sfera della convinzione, basandosi sul postulato che se un evento, un fatto o un personaggio non appaiono “sullo schermo”, significa che non esistono. Al contrario, l’apparizione mediaitca costituisce la prova incontrovertibile che essi sono “reali”, e tale traccia visibile non può essere in alcun modo confutata. I media ci insegnano che a divenire essenziali nella nostra epoca sono i volti, le immagini, perché le cose non esistono attraverso la loro nominazione, ma tramite le tracce segniche che lasciano.
Philippe Queau in La rivoluzione del virtuale, studiando le trasformazioni che sono avvenute in campo digitale, spiega come nel web tutti coloro che hanno accesso al mezzo possono diventare costruttori di realtà, ma come soltanto alcuni riescono a renderle credibili. Internet, che straborda di interpretazioni di realtà, permette al navigante, a differenza delle tv, di scegliere autonomamente il proprio percorso, decidendo di spontanea volontà a quale “costruzione” iperrealistica avvicinarsi e a quale decidere di credere. Da qui, sempre Queau, rileva un altro problema: l’importanza non tanto di interrogarsi sulla realtà di un’immagine, ma di capire se si hanno gli strumenti intellettuali e tecnici per decifrarla e comprenderla.
Anche Albert Borgmann, in Holding onto Reality. The Nature of Information at the Turn of the Millennium, attraverso l’elaborazione del suo paradigma del dispositivo, attua una posizione di resistenza nei confronti delle tecnologie, che secondo lui causerebbero l’invalidazione dell’essere umano e della componente naturale. Le relazioni e le dinamiche che si innervano nell’universo digitale promuovono l’artificio, facendoci sprofondare in un loop senza fine, in cui ritorniamo ad essere vittime e a credere in qualcosa di inesistente, in un mondo filtrato che, una volta spento, svanisce.
Restiamo così come Alice nel paese delle meraviglie, nel dubbio di avere visto e vissuto per davvero.
Silvia Cegalin nasce nel Giugno del 1985 nel nord Italia. La noia e la ripetitività della piccola città in cui vive la costringono a un continuo lavoro d’immaginazione che la porta, già all’età di sei anni, a scrivere per evadere. Evasione dalla realtà che si estenderà anche alle forme del teatro e della performance art, discipline in cui si è laureata a Bologna. Ancora in cerca di un suo posto nel mondo, Silvia è dal 2014 una scrittrice freelance e i suoi articoli sono apparsi principalmente in Alfabeta2, Menelique, Philosophy kitchen e Kabul magazine. Tra le sue pubblicazioni creative da ricordare vi sono: il racconto “ge-Word-en” (rivista Rapsodia, 2015) e “Mater(ial)” sul magazine californiano Rabid Oak- Issue 16/Otttobre 2019.
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