Non ricordo se fu il titolo a incuriosirmi. O se fu un atto riparatorio, perché non avevo mai sentito i nomi del regista, István Zsabó, e dell’attore protagonista, Klaus Maria Brandauer, pronunciati da qualcuno colto e cinefilo, mentre sudavo freddo fingendo di averne visto tutti i film. O forse fu perché quella sera i Villa Ada Posse non suonavano al Brancaleone e la Roma era già uscita dalle coppe. Quello che ricordo con certezza è che vidi Mephisto intorno alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, quando ero all’inizio dell’università, ai primi volumi della Recherche e in seconda serata su Rete 4 erano in programma i Bellissimi.
Il film mi piacque, soprattutto il rapporto tra il protagonista, Hendrik Höfgens, un attore che per arrivare al successo finisce in totale collusione con il potere nazista, e il Ministerpräsident, il gerarca che lo usa come un ornamento e una pedina per raggiungere i suoi scopi. E se giustamente l’opinione di uno che di cinema sa ben poco non fa testo, sarà più difficile dubitare di quella delle giurie che nel 1982 assegnarono a Mephisto l’Oscar per il miglior film straniero e il David di Donatello.
Dopo quella visione casuale, però, Mephisto finì in un angolino dimenticato della mia memoria e io proseguii dritto per la mia contorta strada. Nemmeno mi venne mai in mente di scaricarlo quando, a cavallo del millennio, era in auge il download selvaggio (e più o meno legale). Forse perché allora mi ritrovai a vedere film brutti per compiacere donne sbagliate.
Fu solo vent’anni dopo che i nostri percorsi tornarono a incrociarsi. E sempre per caso.
Per una ricerca personale sul quartiere berlinese di Schöneberg, il fulcro della vita intellettuale della città durante la sgargiante stagione di Weimar, lessi del Jockey Bar, un cabaret aperto nel 1929 a due passi da Nollendorfplatz. Il Jockey Bar era frequentato da Marlene Dietrich, Ernst Hemingway, Eric Kästner, Jean Cocteau, André Gide, dai fratelli Erika e Klaus Mann e da Gustaf Gründgens. Tutti nomi a me noti, a parte gli ultimi tre. Se Erika e Klaus sospettavo (a ragione, come verificai) fossero figli di Thomas Mann, Gustaf Gründgens, invece, non mi diceva proprio niente.
Scoprii che costui era stato un attore teatrale ed era stato sposato con Erika Mann tra il 1926 e 1929. Mi sembrò strano che frequentasse lo stesso locale con l’ex moglie e l’ex cognato (il divorzio era dato al 9 gennaio del’29), ma a questo punto non m’interessava più sapere se i tre avessero davvero frequentato il Jockey Bar, perché avevo trovato l’autore del romanzo da cui era stato tratto il film: Klaus Mann.
Succede con i libri come con le persone, come con l’arte e con la musica: gli incontri non sono programmabili. Quanto spesso infatti avvengono troppo presto o troppo tardi, e non rimane che il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere e non è stato?
Cosa succede quando invece un incontro avviene al momento giusto? Ti cambia la vita. Perché ti dà risposte a domande che non sapevi di esserti posto e ti mette davanti a interrogativi di cui non sapevi di dover cercare la risposta. E come fecero lo Jacopo Ortis a quindici anni, la Recherche a venti, I fratelli Karamazov a trenta, così fece Mephisto a quaranta, quando ormai potevo leggere in tedesco sia il romanzo, sia le analisi fiorite dopo la sua pubblicazione che, per quanto ne sappia, non sono disponibili in italiano.
Quel giorno, però, non trovai solo l’autore del romanzo, ma anche il modello del protagonista: Gustaf Gründgens. Ripercorriamo ora la sua vita, che è come raccontare la trama di Mephisto.
A differenza di Erika e Klaus, che nacquero tra gli agi della ricca borghesia e crebbero circondati da letterati e artisti, Gustaf proveniva da una famiglia di modesta estrazione. E a differenza di Erika e Klaus, cui fu risparmiata la coscrizione (a lei in quanto donna, a lui per ragioni anagrafiche) Gustaf invece fu chiamato alle armi nel 1917, ma riuscì a imboscarsi in un teatro militare. Salvandosi dalla trincea, Gustaf scoprì anche la sua vocazione: dopo la guerra studiò recitazione, fece la gavetta in vari teatri di provincia, finché non approdò alla Hamburger Kammerspiele, di cui divenne presto la stella e poi il direttore.
Conobbe Erika e Klaus nel settembre del 1925, per l’allestimento di Anja und Esther, il primo testo teatrale scritto da Klaus. Nel 1927 recitarono ancora insieme nella Revue zu Vieren, sempre di Klaus, ma a causa della cattiva accoglienza da parte della critica, Gustaf non partecipò alla tournée in Germania e Danimarca.
Negli anni successivi, tra un viaggio e l’altro intorno al mondo, Klaus assunse pubblicamente posizioni di assoluta contrapposizione al nazismo, che allora guadagnava sempre più consensi. Gustaf intanto lavorava come regista e attore teatrale e cinematografico. Si trasferì a Berlino e divenne famoso recitando in ruoli brillanti. La consacrazione arrivò nel 1932, con l’interpretazione di Mefistofele nel Faust di Goethe. In quei giorni si consumò anche la rottura definitiva con i fratelli Mann.
Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler divenne cancelliere. Il 27 febbraio il Reichstag bruciò in un incendio e il giorno dopo il presidente della repubblica Paul von Hindenburg consegnò al nuovo cancelliere i pieni poteri per la gestione dell’emergenza. Il 12 marzo Erika si rifugiò in Svizzera, Klaus la seguì il 13. Gustaf si trovava a Parigi per lavoro. Non era nazista. Negli anni amburghesi aveva addirittura mostrato simpatie per il comunismo. Sarebbe bastato rimanere a Parigi. Tornò a Berlino.
Recitando in una commedia con un’attrice mediocre conobbe il Ministerpräsident Hermann Göring. L’attrice mediocre era Emmy Sonnemann, fidanzata e futura moglie del Ministerpräsident. Göring offrì la sua protezione a Gustaf e Gustaf accettò. Entrò nel partito e nel 1934 fu nominato intendente del teatro di stato prussiano. Il Propagandaminister, Joseph Goebbels, irriducibile rivale di Göring, non la mandò giù e accusò pubblicamente Gustaf di essere omosessuale. L’accusa era vera (nel romanzo Hendrik Höfgens ha una relazione sadomaso con una ballerina nera), Gustaf presentò dunque le dimissioni, ma Göring le respinse.
Nella primavera del 1936 Gustaf emigrò per un giorno, ma quando Göring lo nominò al consiglio di stato prussiano, tornò indietro. D’estate sposò in un matrimonio di facciata Marianna Hoppe, con cui aveva recitato nel Faust. E in autunno uscì Mephisto.
Oltre che raccontare nel romanzo per filo e per segno la vita del suo ex amico, Klaus non si diede nemmeno troppa pena di cambiare i nomi dei personaggi: dietro la maschera di Hendrik Höfgens non era allora difficile scorgere Gustaf Gründgens e di sicuro non bisognava fare salti mortali per capire che con der Dicke (il ciccione) e der Ministerpräsident s’intendesse Göring, che con der Hinkende (lo zoppo) e der Propagandaminister s’intendesse Goebbels e che das Schnurrbärtchen (baffetto) fosse Hitler.
Prendo la mia copia di Mephisto e la sfoglio. È un’edizione tascabile del 1983 della casa editrice Aufbau, con sede a Berlino Est e Weimar. Prezzo di vendita 2,95 marchi tedesco-orientali. Sulla copertina è raffigurato un attore nel ruolo di Mefistofele seduto su una scalinata coperta da una bandiera nazista. Il testo del romanzo e il colophon sono divisi da una pagina su cui leggo: Alle Personen dieses Buches stellen Typen dar, nicht Porträts (tutti i personaggi di questo libro rappresentano tipi, non ritratti).
Perché Klaus aggiunse questa frase? Fu un sottile sarcasmo o un ingenuo tentativo di aggirare la censura nazista? Klaus era in esilio volontario e Mephisto fu pubblicato ad Amsterdam in duemila e cinquecento copie. Naturalmente il romanzo fu vietato in Germania.
Ma perché Klaus lo scrisse? Pensava di infliggere un colpo mortale al regime hitleriano?
E perché si accanì così tanto contro Gustaf? Perché il suo ex amico era salito sul carro del più forte?
Sospetto che i rancori personali fossero di gran lunga più intensi di quelli pubblici. Non credo che c’entrasse il breve matrimonio con Erika, che era lesbica, quanto il fatto che anche Klaus fosse omosessuale, anche se di una liaison con Gustaf non esistono prove.
Ma la domanda che più mi assilla è: aveva diritto Klaus di sputtanare così il suo ex amico?
Dopo la guerra, Klaus tornò alla carica e provò a pubblicare Mephisto in Germania, ma dagli editori ricevette solo rifiuti, perché Gustaf era considerato un artista di primo livello e una personalità pubblica.
Gustaf era finito in un carcere militare sovietico, ma era stato rilasciato su richiesta dell’attore stalinista Gustav von Wangenheim e nel 1946 aveva ripreso a recitare. Nel 1947 divenne direttore del teatro municipale di Düsseldorf, nel 1949 presidente dell’unione dei teatri tedeschi e nel 1953 ricevette l’onorificenza del großes Bundesverdienstkreuz mit Stern (la grande croce al merito con placca). Intanto Klaus era morto suicida nel 1949.
Il figlio del premio Nobel Thomas Mann, rampollo dell’élite culturale tedesca e autore affermato, non era riuscito a pubblicare un romanzo che comprometteva un suo ex amico, attore e regista teatrale di talento, ma figlio di nessuno e con un passato nazista.
È più forte di me. Non riesco a gridare allo scandalo. Non ce la faccio a mettermi dalla parte di uno che si erge contro il nazismo nelle pause tra un viaggio in America e uno in Giappone e che non si è mai dovuto preoccupare di guadagnarsi il pane quotidiano (anche se avere un padre come Thomas Mann non dev’essere stato facile). Lo so che Gustaf era un’opportunista (ma quanti hanno preso una tessera di partito per fare carriera?), lo so che non aveva scrupoli (che poi nemmeno è del tutto vero, perché a emigrare comunque ci aveva provato e aveva usato la sua influenza per proteggere alcuni ex colleghi comunisti finiti in prigione), ma era un uomo che si era fatto tutto da solo dal niente, senza i contatti con la gente giusta. E proprio quando aveva raggiunto il successo con l’interpretazione di Mefistofele, avrebbe dovuto lasciare tutto e ricominciare da zero? A trentaquattro anni? E dove? Se avesse seguito Klaus in America, dopo quanto tempo sarebbe stato in grado di recitare in inglese e che parti avrebbe ottenuto?
Dopo la morte del fratello, il testimone fu raccolto da Erika, ma nemmeno a lei andò bene. Nel 1952 stipulò con l’editore di Berlino Ovest Lothar Blanvalet un contratto per la pubblicazione di Mephisto. Quando lo venne a sapere, Gustaf fece preparare una diffida che dovette essere molto convincente, perché Blanvalet si tirò indietro. Erika cercò allora altri editori nella Repubblica federale, ma non riuscì a trovarne nemmeno uno. Gli unici che se la filarono furono quelli della DDR: ai comunisti non pareva vero di pubblicare un romanzo che denunciava la connivenza con i nazisti di uno degli artisti più importanti della Germania Ovest. Mephisto uscì a Berlino Est nel 1956 per i tipi della Aufbau in sessantamila copie e poi in Polonia e Ungheria nel 1957, in Iugoslavia nel 1958, in lettone nell’Unione sovietica nel 1961, in Cecoslovacchia nel 1962 e in russo nell’Unione sovietica nel 1971. In Italia fu pubblicato solo nel 1982 da una piccola casa editrice sull’onda del successo del film.
Gustaf morì a Manila nel 1963 per un’overdose di sonniferi. L’editore Bertholt Spangenberg della Nymphenburger di Monaco colse la palla al balzo e programmò la pubblicazione dell’opera omnia di Klaus, compreso Mephisto. E qui entra in gioco il regista teatrale Peter Gorski, amante di Gustaf, suo figlio adottivo e suo unico erede. Gorski, che voleva difendere a tutti i costi la memoria di Gustaf, mandò un avvocato da Spangenberg per diffidarlo dal pubblicare Mephisto. Ma Spangenberg era un osso duro, molto più duro di Blanvalet, e non si lasciò convincere. Si finì in tribunale. Non una, ma quattro volte e fu un quattro a zero secco per Gorski. Spangenberg giocava le sue carte migliori, invocava la libertà di stampa e sosteneva, con molta faccia tosta, che Mephisto non fosse un romanzo a chiave, ma i giudici ogni volta gli rispondevano picche, perché la dignità di una persona era da tutelarsi anche dopo la sua morte. Finché, nel 1971, una corte di Karlsruhe emise una sentenza che proibiva sine die la pubblicazione del romanzo.
Ma può una sentenza fermare il rullo compressore della Storia?
Nel 1979 fu messa in scena a Parigi una riduzione teatrale di Mephisto. Nel 1980 un altro adattamento fu rappresentato ai festival teatrali di Berlino Ovest e Monaco, il cui copione (guarda caso pubblicato dall’indomabile Spangenberg) andò a ruba e a dicembre la casa editrice Rowohlt, in barba alla sentenza di Karlsruhe, fece uscire in trentamila copie il romanzo (con un’ampia introduzione proprio di Spangenberg). Mephisto vendette trecentomila copie in tre mesi. L’anno dopo, e qui chiudiamo il cerchio, il film di István Szabó con Klaus Maria Brandauer nel ruolo di Hendrik Höfgens fu presentato al festival di Cannes.
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