Nel suo tanto discusso e condiviso intervento sul Financial Times, Mario Draghi spiega che serve più debito pubblico e scrive <<The loss of income is not the “fault” of any of those who suffer from it>>. Fare debito non è oggi “colpa”. Di fronte alla crisi del Covid-19 fare debito serve per salvare vite umane e intere economie nazionali. A livello europeo, quindi, anche forme di approccio concretamente solidali al debito non sono da gestire con la categoria della “colpa”. Tocca però convincere una parte di élite dirigente di lingua tedesca che “Schuld, Schulden” (debito, debiti) non significhino la stessa cosa di “Schuld” (colpa). Il fatto che siano praticamente la stessa parola complica un bel po’ le cose.
Anche per questo l’Eurogruppo e il Consiglio Europeo sono stati negli ultimi giorni bloccati nella tradizionale spaccatura tra nord(+est) creditore e sud(+ovest) debitore. Germania, Olanda, Finlandia, Austria e altri da una parte. Italia, Spagna, Francia, Grecia e altri dall’altra. “Non è colpa nostra se il Covid-19 ci costringe a fare nuovo debito” dicono dall’Italia, “ma è colpa vostra esservi fatti sorprendere dal Covid-19 con così tanto debito sulle spalle”, rispondono con gelo dal Nord Europa. Da un punto di vista di realpolitik e interesse nazionale ognuno ha le sue ragioni per sostenere la propria posizione, le proprie tattiche e le proprie strategiche ipocrisie. Il problema, questa volta, è che se gli interessi nazionali non troveranno un accordo salterà l’Unione Europea. Opportunità vista come un danno potenzialmente ben maggiore per ciascuno di quei singoli interessi nazionali. O, almeno, vista a questo modo fino a oggi. La crisi del Covid-19 e i suoi drammatici costi umani e sociali, infatti, potrebbero portarsi via anche il dogma condiviso della convenienza strategica dell’Unione.
Da un punto di vista pratico, qualcosa dovrà succedere, a breve. Le istituzioni europee, le leadership europee e soprattutto i governi dei singoli stati nazionali dovranno trovare una soluzione: ci vogliono risorse comuni per i paesi più in crisi. Risorse che servono subito, così come servono protezioni per non far cadere gli stati più in crisi nelle ragnatele degli attacchi speculativi finanziari. La situazione è talmente accesa che porterà inevitabilmente a evoluzioni di un qualche segno. Nessuno dei due fronti interni all’UE potrà permettersi di cedere completamente. Se non ci saranno gli euro(corona)bond, non potrà esserci nemmeno un MES con troika allegata. O, meglio, potrà esserci, ma in quel caso non ci sarà appunto più nessun motivo per paesi come l’Italia di restare nell’UE. Ce ne saranno invece diversi, di motivi, per provare a posizionarsi nelle metamorfosi geopolitiche in corso. A quel punto sarà un liberi tutti definitivo, con conseguenze molteplici per ogni paese europeo, anche quelli che si immaginavano tatticamente in cabina di comando. Una rottura di questo tipo dell’Unione dimostrerebbe molto velocemente che i primati economici non sono tutto nelle alleanze e che i layers d’importanza geopolitica sono molteplici e ambigui.
Nei contrasti tra paesi formalmente debitori e paesi creditori dell’UE, molto semplicemente, i secondi non si fidano dei primi e pretendono garanzie, se non addirittura pegni controfirmati. Il problema è che i paesi creditori stanno esprimendo la propria posizione mentre in quelli debitori i morti da Covid-19 continuano a crescere e le terapie intensive degli ospedali sono al collasso. Conti alla mano e accettata la logica capitalistica, i paesi creditori potrebbero avere pure tutte le ragioni del mondo. Ma la razionalità tecnocratica è solo una fra le razionalità disponibili e la Storia è piena di momenti in cui avere ragione non basta. Un’emergenza sanitaria con costi umani così alti è proprio uno di quei momenti.
L’evoluzione del drammatico scenario politico europeo sarà ovviamente anche legata a doppio filo all’evolversi della diffusione pratica del virus Covid-19 in Europa. Una diffusione che per ora è stata eterogenea, ma che potrà avere ulteriori effetti nelle prossime settimane e nei prossimi mesi (così come dimostrano l’attuale disomogeneità di statistiche, differenza di curve temporali, paradossi di dati). Bisognerebbe conoscere la mappatura del virus fra 2 settimane o 2 mesi, per potersi orientare meglio tra le disperate tattiche nazionali in gioco, per poter capire quanto l’emergenza possa dare o meno maggiore consapevolezza della necessità di un approccio transnazionale.
Se nell’Unione Europea verrà intanto trovata una soluzione, l’opzione più probabile è che i paesi UE si accordino infine su un uso del MES con condizionalità specifiche che riconoscano l’eccezionalità della crisi ai paesi in difficoltà. Si tratta di una soluzione che potrebbe essere accettata tatticamente da molti, ma che resterebbe molto fragile e spinosa. Per i paesi creditori potrebbe diventare troppo poco conveniente, soprattutto in una fase in cui loro stessi dovranno occuparsi di sostenere la propria economia reale. Per i paesi debitori potrebbe rivelarsi un dono avvelenato che verrebbe molto velocemente rifiutato da una cittadinanza esausta nella lotta contro il Covid-19. Possibilità alternativa è che invece i governi europei decidano di creare strumenti, organi e figure di gestione straordinari e temporanei ad hoc per l’emergenza, in modo da poter bypassare la modifica delle formule canoniche UE.
Lo scenario e gli scenari qui descritti sono in continua mutazione accelerata. Quanto scritto potrà essere molto velocemente fuori tempo. Si stanno decidendo in poche settimane dinamiche in corso da decenni. La sola cosa certa è che non ci sarà molto spazio per le dissimulazioni e per soluzioni di facciata. Qualche anno fa era ancora possibile parlare a vanvera di solidarietà europea e ignorare contemporaneamente la disoccupazione giovanile nel sud d’Europa o le periferie dimenticate ai margini delle zone di benessere. Oggi è impossibile parlare a vanvera di solidarietà europea, perché il palaghiaccio di Madrid è pieno di bare e l’Esercito italiano deve trasportare su camion militari i troppi feretri fuori dalla città di Bergamo. Al lutto i popoli rispondono di solito con il coraggio e con l’odio.
Dove non ci sarà coraggio, resterà solo l’odio.
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