La metafora che associa internet a una finestra sul mondo non è mai stata tanto calzante quanto in questo periodo storico. Dalla scorsa primavera, la condizione per antonomasia dei freelance in pigiama con lo sguardo perso nel laptop viene condivisa da moltissime altre categorie di lavoratori, espandendosi ben oltre la sfera professionale. Se prima dell’avvento della pandemia si tendeva a compensare il tempo passato su internet con attività che presupponevano un qualsivoglia contatto con l’esterno, ora sono ben poche le occasioni di socializzazione “analogiche” a cui potersi aggrappare.
Con le norme di distanziamento sociale, il mondo digitale ha prepotentemente inglobato ogni anfratto della nostra esistenza: lavoro, palestra, seminari e workshop, scuola dell’obbligo e università, consulenze mediche e psicologiche, appuntamenti romantici, spesa al supermercato, aperitivi, serate con gli amici, concerti e DJ set. Questi ambiti vanno a sommarsi alle altre abitudini virtuali già consolidate: e-commerce compulsivo, streaming selvaggio di contenuti audio e video, uso incontrollato dei social.
La mia routine quotidiana in veste di traduttrice freelance, da marzo a questa parte, consiste nell’aprire gli occhi e controllare in dormiveglia le notifiche sullo smartphone, scendere dal letto ed entrare in contatto con il mondo, allenarmi seguendo uno dei vari canali YouTube dedicati al workout, sedermi davanti al PC per portare a termine gli incarichi della giornata e, infine, abbandonarmi al dolce tepore indotto da Netflix. A scansionare il tutto sono altri impegni random, che spaziano dai tutorial di disegno e cucina, alle sedute con la terapeuta, fino alle varie chat e videochiamate, e che si svolgono davanti a un monitor. E sono più che certa di non essere l’unica a vivere in questa bolla, a giudicare dalla quantità di servizi online nuovi di zecca pubblicizzati in ogni dove, nonché dai numeri da capogiro che testimoniano una vertiginosa crescita di questo trend.
Ci è stato insegnato che necessità fa virtù. Per ridurre al minimo gli incontri tra esseri umani, i dispositivi elettronici e i servizi ad essi associati si sono affermati come assoluti protagonisti della nostra era. Un nome su tutti, Zoom. Questa “nuova” parola designa una piattaforma di teleconferenze già attiva dal 2011, che tra febbraio e aprile 2020 ha però visto aumentare i suoi ricavi del 169%, similmente ai suoi concorrenti Microsoft Teams e Google Meet, che nel primo semestre del 2020 registravano rispettivamente il 775% in più e 3 milioni di nuovi utenti ogni giorno. A essi si sommano i fenomeni Houseparty e TikTok, nonché uno sconvolgente aumento dell’utilizzo di Twitter, Instagram, Facebook et similia. Accanto al massiccio accanimento verso videochiamate, dirette in streaming e social media si staglia quello di applicazioni per la gestione dei gruppi di lavoro, come Trello, oppure di piattaforme per la fruizione di corsi MOOC (Massive Online Open Courses), come Coursera.
Se il Covid-19 ci avesse sorpresi cinquanta anni fa, avremmo dovuto riprogettare ex novo le nostre modalità di comunicazione e scambio. Oggi però siamo supportati da un World Wide Web ampiamente sviluppato e in grado di sopperire alla maggior parte delle nostre necessità e mancanze. Questa fittissima rete di informazioni ci permette di ricreare una dimensione simile a quella a cui eravamo abituati (seppur molto blackmirroriana), senza obbligarci a riscrivere completamente le nostre abitudini. Per chi già operava online, per esempio in settori legati allo streaming e all’e-commerce, si è trattato di un processo lineare e redditizio, mentre, per il resto dalla popolazione in età lavorativa, lo smart working è giunto come un fulmine a ciel sereno. Tuttavia, nonostante l’effetto fuorviante per la quotidianità, la tecnologia è corsa in soccorso delle aziende, permettendo loro di plasmare un’esperienza quanto più possibile agevole e user-friendly. Tutti gli altri si sono trovati ad affrontare un’enorme sfida, poiché la presenza fisica costituiva una conditio sine-qua-non per l’erogazione perpetua di determinati servizi, basti pensare a palestre e scuole.
Questo ultimo punto rappresenta tuttora un tema caldo, considerando che trovare una formula sostenibile al contempo per genitori, ragazzi e insegnanti non è stato affatto semplice, e che la minaccia di un ritorno alla didattica a distanza è ancora in agguato. Durante le varie quarantene, gli insegnanti si sono armati di lavagna e Google Classroom, spesso condividendo in maniera forzatamente neorealista la propria sfera privata con alunni distratti dall’altra parte dello schermo, rendendo animali domestici e bambini complementi d’arredo di un’aula improvvisata. L’e-learning, un tempo maggiormente legato a percorsi universitari o di formazione continua, per via della condizione straordinaria, è stato adottato anche dalla scuola dell’obbligo. Tale piattaformizzazione dell’istruzione ben si sposa con il concetto di learnification, termine coniato dal filosofo Gert Bista per definire uno scivolamento dell’educazione, finora improntata sull’insegnamento, verso l’apprendimento. Già alcuni anni fa Coursera aveva fatto da apripista ai corsi on demand, permettendo a un pubblico di massa di partecipare a lezioni tenute da illustri professori in università di tutto il mondo. I contenuti di Coursera sono per lo più gratuiti e vengono offerti in pacchetti scorporabili in singoli moduli, ciascuno dei quali corredato da esercizi e prova finale. Questi vengono proposti agli utenti in base alle scelte effettuate in precedenza, similmente a quanto accade con le inserzioni di Facebook o con i suggerimenti di Amazon.
L’industria del wellness e del workout ha reagito in modo analogo alle rigide direttive dei governi, vedendosi costretta a reinventarsi. Sale riservate ai corsi, piscine, saune, docce, spogliatoi e attrezzi sarebbero infatti potenziali veicoli di trasmissione del virus, nel caso fosse annidato tra gli avventori. Sebbene fino a pochi giorni fa nella maggior parte dei Paesi le strutture sportive fossero nuovamente aperte al pubblico, il boom dell’allenamento casalingo sembra essersi ormai profondamente radicato. Su YouTube sono fioriti canali dedicati allo sport, mentre App Store e Google Play pullulano di programmi di fitness, yoga e meditazione. Alcune case produttrici di accessori ginnici hanno addirittura lanciato le proprie piattaforme online, tra cui Cisalfa Sport e TechnoGym. Anche app come Urban Sports Club e FitPrime, che con un’unica sottoscrizione mensile consentono di accedere a molteplici palestre affiliate, mettono ora a disposizione lezioni online per sopperire all’incombente perdita di abbonati. A crescere a dismisura sono anche le vendite di pesi, cyclette, vogatori e abbigliamento tecnico, ovvero tutto il necessario per equipaggiare una home gym che si rispetti.
A doversi adattare al nuovo sistema è stata anche la categoria dei medici. I tete-à-tete con i pazienti sono stati drasticamente ridotti per fare spazio ai colloqui a distanza e alla “telemedicina” che, nonostante non rappresenti un’innovazione, come la maggior parte dei casi qui menzionati, è stata radicalmente rivalutata. Quindi via libera a chiamate su Skype, WhatsApp, Zoom e altri spazi virtuali appositamente adibiti, come l’italiano MedicItalia, l’inglese AccuRx, o i tedeschi Teleclinic e DocMorris. Tali tecnologie abbattono le barriere geografiche e, perché no, anche architettoniche, al fine di fornire un servizio specialistico nel pieno rispetto delle norme anti-Covid, consentendo persino di ottenere ricette in formato digitale da presentare direttamente in farmacia. In modo simile si è mosso anche l’ordine degli psicoterapeuti e degli psicologi, in passato restio a cedere ai consulti telematici, ma ora costretto ad adattarsi alle contingenze.
Il nuovo assetto ha avuto il potere di sdoganare persino la spesa online. In effetti, ad eccezione di chi ne aveva realmente bisogno o dei pigri dell’ultima ora, una gran parte di noi non aveva forse mai provato l’ebbrezza di farsi recapitare a casa beni di prima necessità. Invece l’effetto sorpresa non ha tardato a manifestarsi: le catene di supermercati che non lo avevano ancora fatto hanno dovuto attrezzarsi in fretta e furia con app e consegne a domicilio. Nei mesi dei vari lockdown, i clienti, chi per paura del virus, chi per evitare le code al supermercato o chi semplicemente per cavalcare l’onda, hanno accolto questa novità con un entusiasmo tale da intasare le liste d’attesa per settimane. Parallelamente si sono affermate aziende che fanno pervenire in poche ore ogni tipo di bevanda davanti al proprio uscio, tra cui le tedesche Durstexpress e Flaschenpost.
Tuttavia, non è stata solo la sfera dei beni e servizi a risentire dei disagi pandemici, bensì anche il macrocosmo delle relazioni interpersonali e degli appuntamenti galanti. Indubbiamente i single ne sono rimasti intaccati vista l’impossibilità di fare nuove conoscenze in maniera spontanea e riversandosi quindi in massa sulle app di dating. Non che Tinder non fosse già abbastanza di moda, ma il numero dei suoi iscritti a fine marzo aveva toccato picchi fino a quel momento inediti, forse anche grazie alla nuova funzionalità che consente di localizzare persino chi si trova fuori dal proprio raggio d’azione. Lo stesso discorso vale per OkCupid, Parship, Meetic o Bumble. Quest’ultima, nata da una costola di Tinder e che ha come “valore aggiunto” il lasciare alla donna il vantaggio della prima mossa, già a fine marzo aveva già assistito a un incremento dell’84% di chiamate e chat. E, dove c’è odore di affari, Zuckerberg accorre: a settembre il magnate dei social ha infatti lanciato Facebook Dating, una sezione del celebre social network dedicata agli incontri online. Sebbene darsi appuntamento con dei semi-sconosciuti al momento non sia del tutto indicato, flirtare virtualmente non è mai stato oggetto di divieto, senza contare che gli amori clandestini hanno sempre costituito succulento materiale letterario.
Presupponendo il carattere non permanente della condizione attuale, resta comunque da chiedersi se, dopo avere investito così tanto in termini sia economici sia di sviluppo e adattamento, l’intera comunità sia davvero pronta a tornare sui suoi passi per affrontare il fatidico ritorno alla normalità. Sicuramente la virtualizzazione delle azioni quotidiane racchiude un notevole potenziale di liberalizzazione di ogni ambito della nostra vita. Con un paio di accorgimenti in più, infatti, questa travolgente ondata digitale potrebbe contribuire a rendere la società un posto leggermente migliore. Per far sì che questo avvenga, però, sarebbe necessario stabilire degli standard qualitativi ben definiti, nonché istituire pacchetti risparmio, incentivi sull’acquisto di dispositivi elettronici e piani tariffari agevolati per le connessioni a banda larga. A beneficiarne sarebbero soprattutto le classi meno abbienti, attualmente marginalizzate. Con delle linee guida ben definite nel campo dell’istruzione sarebbe possibile prevenire un’ipotetica perdita di istituzionalizzazione e di conseguenza alleviare le disuguaglianze sociali causate da un’estrema frammentazione dei contenuti educativi.
Oltre a ciò, con una regolamentazione sui consumi online si potrebbero proteggere gli utenti dalle frustrazioni derivate da un’eccessiva quantità di informazioni, termini di utilizzo poco chiari e, soprattutto, scam, hacking e cyber crime in generale. Altre gravi minacce innescate da questo massiccio uso di internet sono rappresentate dalle grandi ondate di disinformazione e dall’esposizione dei minori a contenuti sensibili. Livellando questi gap si potrebbero gettare delle solide fondamenta per un nuovo sistema più funzionale, in grado di mettere in risalto anche piccoli esercenti locali o di garantire l’accesso a corsi di formazione di varia entità anche a chi finora aveva scarse possibilità.
Eppure un tale cambio di paradigma incrementerebbe il potere delle grandi multinazionali di e-commerce, che, per velocizzare le consegne, potrebbero inglobare nel loro stesso sistema migliaia di attività di tutto il pianeta adibendole a “negozi fantasma”. Inoltre, è stato dimostrato che l’isolamento e il distanziamento sociale supportato da questa dimensione virtuale abbia influito negativamente sulla psiche della popolazione globale, causando gravi breakdown o attacchi d’ansia, potenziati dalla paura di un incombente contagio o dall’horror vacui rispetto al futuro più prossimo. Last but not least, gran parte di questi servizi che ci spalancano le porte dell’infinito a costi irrisori, come per esempio Coursera, Google e Facebook, in realtà un costo ce lo hanno. I nostri dati.
Non si sa per certo se tutto rimarrà così, ma ci sono buone probabilità che ciò accada, almeno in parte. Per esempio, il gigante Twitter ha già dichiarato di voler proseguire con la formula dello smart working, e saranno in molti a seguire le sue orme. D’altro canto, la condizione dettata dalla pandemia non ha fatto altro che accelerare dei processi già avviati, accorpando addirittura settori ritenuti “immuni” da questa evoluzione. Ma ora è presto per parlare di futuro, poiché il Covid-19 è un tema ancora totalmente attuale. Siamo già stati travolti da una seconda ondata che ci ha spalancato le porte del lungo inverno a venire, durante il quale queste transazioni socio-culturali avranno modo di cristallizzarsi.
L’immagine di copertina è di Engin Akyurt ©
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