Illustrazioni di Virginia Patrone*
In un’estasi che interpella le stelle, l’uomo si riscopre e attraverso il suo sguardo trasognato realizza il mondo. Ciò che fino ad ora appariva incommensurabile diventa materia malleabile in cui capacità umane, prima addormentate, si risvegliano, irradiando con la loro potenza l’universo e le sue costruzioni, tanto da rendere l’essere umano tessitore di una Terra che nelle sue trasformazioni naturali segue una volontà antropica.
Questa l’idea di uomo supremo ed energico generata dalla mente di Nikolaj Fëdorov, bibliotecario e scrittore russo nato nel 1829 e morto nel 1903, autore del volume-manifesto La filosofia dell’opera comune e padre fondatore del cosmismo, dottrina in cui l’essere umano non viene mai fotografato nei suoi passi incerti o negli inciampi quotidiani, ma vestito di una pelle illuminata e illuminante, creatrice di dinamiche universali che lo determinano come essere assoluto.
«In futuro si presenteranno come possibili anche quelli che oggi appaiono i sogni più fantastici: l’uomo aspira ad uscire dai confini del proprio pianeta e ad entrare nello spazio cosmico, e con tutta probabilità riuscirà a farlo».
Anche attraverso questa immagine poetica tratta da Pensieri filosofici di un naturalista di Vladimir Vernadskij, tra gli esponenti più importanti del cosmismo, emerge la propensione rivoluzionaria di questo movimento che, situandosi al di là del classici parametri filosofici, fa della previsione e della spinta verso il futuro il suo principio centrale, opponendosi anche all’evidenza di fatti definibili da sempre incontrovertibili.
Un superamento dai limiti umani che in un abbraccio con il cosmo fa trovare il senso dell’esistenza: è il postulato che fa da base teorica al cosmismo, una tra le correnti russe più influenti del XX secolo.
Filosofia eccentrica per eccellenza, la dottrina cosmista ha accolto al suo interno molti scienziati, filosofi e artisti, come ad esempio Solov’ёv, Bulgakov, Florenskij, Ciolkovskij e Vernadskij, riuscendo a costruire un punto di incontro tra le tradizioni religiose ortodosse e il pensiero tecnologico occidentale, unione che racchiuse anche intermittenze dialoganti con l’ordine dei rosacrociani e il mondo occulto. Mescolanza tra più credenze che influenzarono il terreno culturale di quel periodo, manifestatosi inoltre nell’altra grande rivoluzione che prese il nome di bolscevismo.
Un movimento, quindi, dalla natura eterogenea, che nella confluenza tra sfera spirituale e materica si concretizza, creando visioni e prospettive che prima di allora erano sembrate inconcepibili.
Proprio questa tendenza alla “dualità” farà perdere la stima di cui nei primi anni rivoluzionari il cosmismo godeva nel mondo istituzionale, perché con l’instaurazione del regime sovietico stalinista le derive mistiche verranno giudicate reazionarie e in opposizione all’affermazione dei principi utilitaristici. Fëdorov si ritroverà così ad essere sempre più isolato e bisognerà attendere gli anni ’70 e la Perestrojka di metà degli anni ’80 perché il cosmismo ritorni ad essere presente nei dibattiti pubblici e a far riscoprire i suoi mondi spaziali sommersi, grazie soprattutto al contributo delle divulgazioni di studiosi come Svetlana Semёnova e George Young.
Essere al centro nell’essere Antropos
È da una dimensione antropica che si sviluppa il cosmismo: simbolo di potenza e immagine di un Prometeo che è riuscito a vendicarsi degli dei, l’uomo comparirà al centro dell’universo e con la sua figura dominerà il mondo.
Ciò che risalta di peculiare nei tratti fondamentali del cosmismo è infatti una rivalutazione in positivo dell’essere umano, esaltazione talmente profonda che in lui si individua la capacità di dominare le forze cosmiche, di correggere l’ineluttabilità della morte, e basare una convivenza con i propri simili su di una reciprocità fraterna che escluda qualsiasi pulsione.
Il cosmismo, aspirando alla costruzione di un universo in cui è l’essere umano a gestire i rapporti fra le varie forze, cerca, a suo modo, di rispondere in maniera diversa ai grandi temi dell’umanità, temi che comprendono la relazione dell’essere umano con il cosmo, con i suoi simili e con la morte.
Interstellar. L’uomo e il Cosmo
«La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere nella culla per sempre»
Konstantin Ciolkovskij, L’esplorazione dello spazio cosmico per mezzo di motori a reazione.
Le frasi di Ciolkovskij delineano perfettamente l’orientamento ultra-spaziale, simbolo della filosofia cosmista: perché se nell’essere umano si rintraccia il fulcro da cui parte e si decide tutto, è intuibile che anche l’universo sarà un elemento a intera disposizione dell’individuo.
Per i cosmisti difatti i confini cosmici non esistono e l’essere umano, costruiti i mezzi di trasporto adeguati, come ad esempio delle navicelle spaziali, sarebbe in grado di uscire dal pianeta Terra per conquistare il sistema solare. Un’idea di colonizzazione che risalta l’esigenza degli individui di spezzare le “catene”che li tengono legati alla dimensione terrestre, per immergersi nell’esplorazione di luoghi extraterrestri indispensabili per poter garantire l’esistenza umana una volta che il pianeta terra si sarà spento.
Il desiderio di abitare altre galassie non risiede soltanto in una mera urgenza di sopravvivere ad un’era post-terrestre, ma serve soprattutto per riflettere sullo status della propria civiltà. Attraverso un’analisi critica che ridiscuta i valori sociali fino a quel momento ritenuti inopinabili, i cosmisti cercano di individuare modelli alternativi di esistenza, in modo da erigere principi morali diversi, che aiutino la specie umana a progredire e a migliorarsi, ambendo così a un completamento mentale e interiore definitivo.
Di conseguenza il topos di viaggio con la filosofia cosmista tende a non realizzarsi più in una narrazione che ha sede in un locus terreno, ma che, al contrario, avviene in zone interplanetarie, delineando sempre maggiormente l’idea di un uomo che agisce dimostrando capacità di espansione e una forza di volontà, anche mentale, nel valicare i limiti fisici.
Idee che trovano origine soprattutto nella teoria cosmonautica di Ciolkovskij, altro importantissimo esponente del cosmismo, che ribadiva quanto fosse importante per l’umano esercitarsi a immaginarsi oltre gli spazi predefiniti, perché non esisteva base scientifica che prima non fosse stata originata dalla mente. Ed è proprio su questa forte carica utopica che la dottrina cosmista si fonda, cercando di trasformare quel “non ancora esistente” in realtà, in una creazione che tramuti il mondo delle idee in mondo concreto, individuando nel prodotto artificiale un riflesso della mente.
Sempre sulla scia di questi viaggi super-spaziali si situa anche il romanzo La stella rossa (1908), opera di Aleksandr Bogdanov in cui si narra di un viaggio interstellare alla conquista di Marte compiuto dal bolscevico Leonid in compagnia del marziano Menni.
Un racconto che, trasponendo la filosofia marxista in chiave fantascientifica, descrive quali sarebbero le condizioni ideali per edificare una società paritaria, facendo emergere la convinzione che per creare una collettività che viva in maniera armoniosa bisognerebbe abolire tutti i parametri dell’esistenza capitalistica, in favore di una struttura statalistica priva di sfruttamento e ingiustizie.
Elemento che ci conferma, ancora una volta, quanto la propulsione dei cosmisti ad evadere dal pianeta Terra celi non solo l’intento di affermare un approccio ottimistico e fiducioso nei confronti della scienza, (caratteristica in voga pure nell’URSS di quegli anni), ma anche di avviare una discussione profonda sulla società e sui metodi di convivenza fra gli esseri umani, in modo da auspicare che, quando fosse stato possibile oltrepassare la sfera terrestre e la sua influenza energetica negativa, si potesse trovare in un altro sistema solare un autentico respiro di libertà.
La relazione con il cosmo, che conferma la supremazia dell’individuo e dei suoi mezzi tecnici, trova corrispondenza anche nel rapporto con gli elementi naturali. La Natura è infatti considerata dai cosmisti come l’incipit tramite cui si può realizzare l’idea di opera comune tanto cara a Fëdorov, perché, pur vedendo in essa una minaccia, l’umano può, mediante le sue forze, riuscire a domare le avversità atmosferiche, meteorologiche e terrestri, portando così armonia ed equilibrio dove prima vigeva il caos.
Umano de-siderare
La parola desiderio significa letteralmente “mancanza di stelle”, in quanto la preposizione de che precede sidus, stella, appunto, in latino, e serve per indicarne proprio la mancanza. Il desiderare qualcosa nasce perciò da una percezione di assenza, che fa scaturire la volontà di proiettarsi al di là di quello che si ha per raggiungere la meta mancante: nel caso della parola desiderio, si tratta delle stelle.
Il termine desiderio appare perciò intrinseco alla filosofia cosmista, in quanto in essa si auspica un’esplorazione e una conquista dello spazio. Si tratta però di un caso destinato a divenire ambivalente e contraddittorio, nel cosmismo infatti sarebbe più corretto parlare di de-siderio, perché nella prospettiva futura cosmista l’uomo non potrà più vivere senza le stelle, e quel de quindi acquista quindi una valenza transitoria.
Il rapporto con i cieli farà da fulcro per iniziare a costruire l’idea di un essere umano rigenerato e che trova compimento di sé solamente dopo un processo di liberazione dalle imposizioni terrestri. Se secondo Fëdorov, come abbiamo già visto, gli umani sono in grado di opporsi alle forze naturali, devono di conseguenza anche essere capaci di dominare le proprie pulsioni e i bisogni materiali, aspirando a quell’idea che nel saggio Supramoralismo, contenuto all’interno de La filosofia dell’opera comune, viene definita come castità positiva.
Gli uomini e le donne devono elevarsi al di sopra degli istinti primordiali e del desiderio meramente fisico, per abbracciare un sentimento in cui gli altri sono considerati come fratelli e sorelle, compiendo un’amorevolezza che si spinge oltre la mera necessità e che evita le pulsioni distruttrici.
Ora, se inserite in un contesto contemporaneo, queste idee potrebbero far sorridere e sembrare in un certo senso bizzarre. Ma se pensiamo al substrato sociale in cui nacquero, ovvero un URSS totalmente proiettata alla definizione del soggetto lavoratore, in cui si veniva valutati unicamente nella propria funzione produttrice, il pensiero cosmista, che promuoveva invece un incontro armonioso e fraterno degli individui, in cui si ripudiava qualsiasi dinamica di sfruttamento, assume, ieri come oggi, un valore nobile.
Il principio della castità non è peraltro fine a se stesso, ma si riflette anche in un altro concetto chiave, ossia quello dell’abolizione della riproduzione. Con la cessazione del meccanismo riproduttivo, l’uomo cosmista mantiene in sé le proprie energie, che risulteranno essere necessarie per realizzare la patrificazione, una religione scientifica che incarna una nozione di vita che non muove più dai padri verso i figli, ma dai figli verso i padri, cercando in questa restituzione generosa di riportare in vita gli antenati defunti.
La negazione della morte diventerà, insieme a quelli già espressi, uno dei punti cardine della filosofia cosmica.
Contra Memento Mori: Immortalismo e Resurrezione.
«I successi più alti della scienza renderanno capace questa di far risorgere i corpi decomposti degli uomini?» si chiede Zhachev, uno dei personaggi del romanzo Kotlovan (Lo Sterro) di Andrej Platonov, scritto nel 1930. Un romanzo che si apre con l’immagine di un operaio seduto nel proprio posto di lavoro intento a interrogarsi sul significato della vita, rappresentazione di una classe lavoratrice che vuole cambiare le proprie condizioni, in un coinvolgimento che interpella potenzialità umane ancora inespresse.
Il libro, oltre che contenere un’illuminante, sebbene distopica, descrizione della società russa di quel tempo, fa comparire tematiche cosmiste centrali, come la sconfitta della morte e la resurrezione.
Nel testo Platonov inserisce anche una scena in cui Zhachev annuncia che un giorno il marxismo e i progressi scientifici saranno in grado di resuscitare Lenin, riconfermando un’idea di morte che deve essere ad ogni costo eliminata.
Ma perché i cosmisti vogliono eludere il tanto famigerato memento mori?
Per i cosmisti la morte è la causa diretta di un predominio naturale che l’uomo deve domare e sovvertire in proprio favore. È infatti la sua impotenza a renderlo vittima di questo ingiusto destino, che non gli permette di evolvere, e poter così compiere la grande opera comune idealizzata da Fëdorov. Se però il cosmo cerca, ad esempio tramite le catastrofi naturali, di bloccare l’essere umano nel suo percorso evolutivo, è semplicemente per uno scopo punitivo, come condanna; ecco dunque che, come già ripetuto all’inizio, per contrastare una natura maligna l’umano deve farsi portatore di moralità.
Grazie alla conoscenza e ad una coscienza razionale non obnubilata dai peccati, e quindi anche in base ai precetti menzionati in precedenza, gli individui possono abolire la morte, e tramite questo atto che chiama all’appello la scienza, la tecnologia e la mistica, può avvenire la libertà assoluta dell’uomo, una libertà tesa a liberarlo dalle costrizioni fisiche.
Ora, questo connubio tra principi scientifici ed esoterici non deve sorprendere perché, come spiega in A Russian Orthodox Source of Soviet Scientific-Technological Prometheanism, George Kline, esperto di filosofia russa, nella Russia bolscevica, e successivamente in quella comunista, si sviluppò la cosiddetta teurgia prometeica, inquadrando in questa definizione l’attitudine di ricoprire di valori mistici e occulti le materie scientifiche, in un legame talmente stretto che i punti di forza dei primi divennero la base per la scoperta dei secondi.
Una filosofia, quella cosmista, che tra futurismo ed esoterismo si esplica in maniera forte in particolar modo nelle idee di immortalismo e resurrezione.
Alla sconfitta della morte segue infatti la rinascita degli antenati defunti. Un vero e proprio atto d’amore che si manifesta grazie alla nozione di rodstvo (legame di parentela), in cui la forte connessione eterica presente tra i morti e i loro parenti dovrebbe far attivare la stimolazione del pulviscolo e delle molecole attive nelle salme, servendo come mezzo per riportare in vita proprio quei corpi.
Una rinascita, però, che non sarà la reincarnazione della forma fisica passata, considerata carente, ma di una struttura interamente rigenerata, mai definibile completamente, perché rivolta in un’eterna trasformazione che le permetterà di modellarsi con gli spazi e gli altri tempi cosmici che incontrerà.
Una risurrezione che nel suo valore salvifico elimina le fratture tra gli esseri umani e la natura, e in un abbraccio che unisce le anime passate e gli uomini presenti, si dirige verso il compimento di quella missione che vede nell’uomo l’unico fautore di un disegno divino, in cui il tutto convive in un’armonia che prenderà il nome di evoluzione attiva.
Una transizione antropica che, nel suo farsi e rifarsi, senza mai cogliere la fine, lascerà l’uomo al suo posto: al centro del Cosmo.
Post Cosmismo: l’Immortalismo di Vidokle e il Transumanesimo
Tempi e spazi diversi e l’uomo appare ancora al centro, accecato, quasi, da una folgorazione prometeica in cui si chiede: riuscirò a sconfiggere la morte e potrò mai superare me stesso?
Al primo interrogativo risponde il pensiero dell’artista russo e fondatore di e-flux Anton Vidokle, che ha trasposto in chiave contemporanea i precetti del cosmismo. Attraverso una vera e propria riesumazione della tradizione cosmista, Vidokle ha indagato nelle trame profonde dell’essere umano, interrogandosi sulle sue innate potenzialità, siano esse psichiche o corporee, necessarie per realizzare quel grande sogno che è racchiuso nel termine di Immortalità. Prendendo come riferimento La filosofia dell’opera comune di Fëdorov, tra il 2014 e il 2017 l’artista realizza una trilogia di film in cui il pensiero cosmista viene introdotto nel tempo e negli spazi del presente.
Un racconto che aspira al compiersi effettivo di quell’abbraccio armonioso e vitale che, nell’immortalità e nella rinascita, troverebbe la sua definizione finale. E proprio all’idea di immortalità è dedicato il primo cortometraggio, This is Cosmos. La morte, narra il regista parafrasando i cosmisti, è un mostro invisibile che va combattuto, indispensabile risulta perciò trasformarsi in un organismo che, esattamente come i vegetali, riesca a rigenerarsi, a ricrearsi ciclicamente, senza mai perdersi del tutto, e a rinascere dall’imminente decomposizione.
«Che cos’è l’energia?» Chiede a un certo punto Vidokle. Nessuno riesce definire il concetto di energia, eppure è in noi, scorre in noi, fuoriesce e si connette con il mondo esterno, che, a sua volta (e qui appare l’imprinting cosmista) entra in noi, alimentandoci.
L’essere umano fa parte di un ciclo unico in cui ogni sistema è interconnesso a un altro, una vitalità che si nega all’egoismo e rifiuta i privilegi concessi alla specie umana, aprendosi a un atto d’amore che nella totalità si compie. Il regista introduce momenti cosiddetti terapeutici, realizzati tramite l’irradiazione intermittente di schermate di colore rosso, nella cromoterapia da sempre considerato curativo e fonte di benessere, utilizzato nel richiamo sincronico tra simbologia comunista e solare.
Ed è proprio l’elemento del Sole che rientra a pieno titolo nel secondo film, The Communist Revolution Was Caused By The Sun, che assumendo un ritmo narrativo che si ispira alle sedute di ipnosi, illustra le correlazioni tra i cicli solari e gli eventi sociali e politici, citando in modo implicito le teorie di Platonov che nel Sole individuava il futuro dell’umanità. Secondo Platonov il sole, grazie alla sua potente energia, sarebbe riuscito a far funzionare qualsiasi elemento presente nella terra, liberando così l’uomo dalla schiavitù del lavoro e a permettergli anche di poter abitare e coltivare le gelide terre siberiane.
Con il terzo episodio, Immortality and Resurrection for all!, si ritorna a parlare di immortalità. Ispiratosi al saggio fedoroviano Il museo, il suo significato e la sua missione, Vidokle descrive l’istituzione museale come luogo di resurrezione. E, come i cosmisti, rintraccia nei luoghi eterocronici come i musei, le biblioteche o gli archivi, le sedi ideali per la conservazione effettiva dell’immortalità, un’eternità che tramite animali tassidermizzati, scheletri e ricostruzioni organiche semi-realistiche si fa traccia palpabile e testimonianza visibile della vita per e nel futuro.
In questo film, di conseguenza, il Museo Zoologico dell’Università di Mosca diventa custode di quel processo di eternizzazione degli esseri viventi, tanto cara ai cosmisti.
Se Vidokle riflette sul cosmismo cercando di trovare nell’immortalità il segreto per un ciclo di vita liberatosi dalle costrizioni materiali e che si espande nelle sue possibilità di esistenza, il secondo interrogativo, “potrò mai superare me stesso?” è la causa principale del movimento filosofico identificato con il nome di Transumanesimo.
Rintracciabile per la prima volta nel testo In New Bottles for New Wine del 1957 di Julian Huxley, il Transumanesimo indica una natura umana sospinta verso una ricerca evolutiva che trascende se stessa, e una rinascita che coinvolge la dimensione sintetica, stimolando e facendo emergere facoltà sia mentali che fisiche fino a quel momento assopite.
Ma a differenza dei cosmisti, che hanno provato a trascendere la loro condizione umana, limitante e inadeguata, cercando in altre galassie e nella noosfera (concetto ideato da Vladimir Vernadskij che stabilisce le facoltà intellettive e razionali dell’umano come unica via per l’evoluzione e il dominio della natura) l’incipit per la ristrutturazione del genere umano e l’annientamento della morte, in un’esortazione allo sviluppo che perciò è individuabile in una proiezione al di fuori di sé.
L’uomo transumanista cercherà di ricostruirsi e opporsi ai suoi limiti tramite profonde esplorazioni che non riguarderanno più viaggi interspaziali, ma uno sguardo rivolto a sé e a al proprio corpo biologico, e attraverso questa operazione di introspezione ipercritica trasformarsi in un super modello tecnico. Credo base della filosofia transumanista è infatti il tentare di superare le inadeguatezze naturali grazie all’intervento di costruzioni artificiali e tecnologiche che permetterebbero al corpo organico di ristrutturarsi, superando così le anomalie a cui la natura lo ha costretto.
Una corrente che può definirsi come l’evoluzione adattata ai nostri giorni del cosmismo, legame rintracciabile sopratutto nel pensiero del filosofo Heinrich Popitz che in Verso una società artificiale, asseriva quanto la tecnica, tipica solo della specie umana, fosse necessaria all’uomo per compensare le sue mancanze fisiologiche e plasmarsi in strutture e forme rinnovate che gli permettessero di anticipare i cambiamenti e le avversità naturali.
Scienza e tecnologia quindi ritornano, proprio come nei cosmisti, ad essere elementi chiave per fronteggiare ciò che apparentemente sembra indomabile e per deviare il destino di corpi che nella scoperta delle loro possibilità ultra terrene si riformano.
Non a caso l’obiettivo dei transumanisti è la creazione di un uomo Post Umano, se i cosmisti cercavano nell’immortalità il loro futuro paesaggio corporeo, i transumanisti scoprono il loro potenziale in quella che Maldonado, nel saggio Corpo tecnologico e scienza, definì fisicità protesica. Una fisicità che si riflette attraverso una sua profonda manipolazione tesa a esaltare forza e abilità extra organiche, in una ricostruzione che contempla l’ibridazione e un intervento invasivo della componente artificiale. Un uomo, dunque, che in questa sua trasformazione – in un eco confluente dalla dottrina cosmista – si pone in antitesi ai modelli naturali, rivendicando nell’esplosione delle proprie mutazioni genetiche ed estetiche la sua superiorità.
Un super uomo transumano che cerca proprio in quell’inorganico una nuova carne di cui rivestire il suo corpo, perché citando Metal and Flesh di Ollivier Dyens: “La vita non deve essere organica”.
*Virginia Patrone è urbanista e scrittrice, radio speaker, illustratrice, pensatrice libera e libertaria. Scrive e disegna per capire il mondo. È nata a La Spezia (1985) ed è cresciuta a Genova.
Quando l’idea di essere remota la spaventa pensa a Tilda Swinton: la lontananza è oggi uno status mentis. Se andasse a Hogwarts la sua casa sarebbe Rowanclaw. Se fosse un elettrodomestico, forse sarebbe una lavapiatti, invenzione di una donna.
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