Illustrazioni di Ivano Talamo
Prologo
Le grida che si sentono nel video sono assordanti, di giubilo, di felicità. Nelle immagini si vede una signora con degli stivaletti marroni che è fra le prime a superare la barriera divisoria del valico di frontiera di Bornholmer Straße, a Berlino Est. Una sbarra bianca e rossa, bassa, con due lunghe ante che si chiudono, non automatizzate. A quell’ora nella zona della stazione di Bornholmer Straße (fra gli otto checkpoint all’interno di Berlino, quello più a nord) c’erano più di ventimila persone che reclamavano il diritto ad andare all’Ovest. Poche ore prima, alle 18:53 del 9 novembre 1989, il membro del Politbüro della SED, il Partito di unità socialista tedesco della DDR, Günter Schabowski aveva annunciato di fronte alle telecamere di tutto il mondo che “i cittadini della DDR potevano lasciare il Paese attraverso i valichi di frontiera”.
Sospinta forse dall’odore di libertà che era nell’aria da tanto tempo in quell’autunno 1989, la signora con gli stivaletti marroni coglie l’attimo e passa. Dietro di lei, immediatamente, si crea un rivolo. Un giovane la segue, cammina velocemente in avanti, si gira, abbraccia un suo amico, chissà, e fanno salti di gioia. Il rivolo si trasforma presto in un fiume impetuoso che travolge le guardie di frontiera e scorre davanti alla telecamera del reporter di Spiegel TV, il canale video del giornale di Amburgo.
Si vede una guardia che regge con il corpo l’altra metà della barriera e cerca inutilmente di resistere alla pressione della gente, che a un certo punto diventa semplicemente insostenibile.
La stazione di Bornholmer Straße si trova a Prenzlauer Berg, che allora era un quartiere operaio, con le case popolari a ridosso del confine. Oltre agli operai, vi abitavano anche coloro i quali la Stasi definiva “elementi ostili, negativi e decadenti”. La notizia della conferenza di Schabowski si era diffusa in un attimo. Una cinquantina fra uomini e donne erano al valico già pochi minuti dopo le 20:00. Un po’ per curiosità, un po’ perché tutti o quasi avevano visto la conferenza in TV: piano piano la folla diventava sempre più numerosa.
Inizialmente era ancora tutto sbarrato. Gli ufficiali di frontiera non avevano avuto nessuna indicazione riguardo all’apertura dei valichi. L’atmosfera era tesa, c’erano stati piccoli tafferugli. I soldati non sapevano cosa fare. Da un altoparlante montato sul tetto di una Trabant, l’auto prodotta nella DDR, intorno alle 20:30, un poliziotto nella divisa verde della Volkspolizei legge un comunicato: “(…) Per la sicurezza e l’ordine, tornate a casa. Dovete rivolgervi agli uffici autorizzati. Non è possibile, qui e ora, ottenere il permesso per l’espatrio”. Fra le risposte carpite dal reporter, il commento più diffuso era: “Ma ci prendono per il culo?” La slavina è però, oramai, partita. Code interminabili di auto nei viali verso la Porta di Brandeburgo aspettano solo il momento propizio. “Vogliamo andare giusto un’oretta a Berlino Ovest a vedere com’è, ma poi torniamo a casa”, dice una signora dal finestrino di una Trabant in attesa.
Con il passare dei minuti la pressione si fa sempre più forte. Intorno alle 23:00 sono già diverse migliaia le persone che spingono da dietro sulla barriera. Alla fine, alcuni ufficiali della polizia di frontiera decidono semplicemente di aprire l’altra metà del cancello. Il messaggio che arriva alla centrale è: “Siamo inondati”. Sono le 23:30 del 9 novembre 1989. Quella notte la gente avrebbe ballato, gioito, pianto e bevuto sopra il Muro di Berlino.
Abbreviazioni
SED: Sozialistische Einheitspartei Deutschlands, Partito di Unità Socialista di Germania.
ZK: Zentralkomitee der SED. Comitato centrale della SED.
MfS: Ministerium für Staatssicherheit (Stasi), Ministero per la sicurezza di Stato.
MdI: Ministerium des Inneren, Ministero dell’interno.
NVR: Nationaler Verteidigungsrat, Consiglio nazionale della difesa della DDR.
DDR: Deutsche Demokratische Republik, Repubblica democratica tedesca (RDT).
BRD: Bundesrepublik Deutschland, Repubblica federale di Germania (RFG)
Principali protagonisti
La struttura della DDR
Nella Repubblica democratica tedesca lo Stato e il partito della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschland) erano uniti sotto il medesimo principio del “centralismo democratico”. Al vertice della struttura piramidale del potere statale vi erano, ad uno stesso livello, tre organismi: il Politbüro, ovvero l’ufficio politico della SED, una ristretta cerchia di dirigenti di alto rango, sotto la guida del Segretario generale del partito; il Segretario generale del partito; lo Staatsrat, il Consiglio di Stato.
L’organo collegiale a capo dello Stato era composto da una ventina di membri, più mezza dozzina di vicepresidenti, guidati da un superiore, che alla fine degli anni Ottanta era Erich Honecker.
Il Politbüro era formalmente solo un’assemblea di lavoro del Comitato centrale della SED, ma di fatto costituiva il vero e proprio centro di potere del regime. L’elezione dei membri dell’Ufficio politico non ha mai avuto nulla di democratico. Il Comitato centrale decideva solo formalmente l’elezione dei membri effettivi del Politbüro, che in realtà venivano nominati dal Segretario generale della SED.
Fra gli organi dello Stato occorre menzionare l’organo esecutivo di governo, il Ministerrat (il Consiglio dei ministri) e la Volkskammer. Quest’ultima era considerata il parlamento della DDR, ma naturalmente di elezioni libere non è stato mai il caso di parlare. Il Ministerrat, il Consiglio dei ministri, era solo teoricamente l’organo ufficiale di governo della DDR, in realtà il suo compito era quello di mettere in pratica, attraverso i vari ministeri, le decisioni del Politbüro.
Günter Schabowski (1929-2015)
Giornalista e uomo politico della SED. Figlio di un idraulico, nasce ad Anklam, città della Pomerania anteriore, studia giornalismo a Lipsia ed entra nel partito nel 1952. Compie la sua formazione politica all’Alta Scuola di Partito del PCUS (Partito comunista dell’Unione sovietica) di Mosca. Dal 1968 al 1985 svolge la sua attività presso l’organo ufficiale di stampa della SED, il Neues Deutschland, prima come vice e poi come caporedattore. Dal 1981 è membro del Comitato centrale (ZK) della SED e dal 1984 entra a far parte anche del Politbüro. La sua crescente influenza politica durante gli anni Ottanta lo porterà ad essere, insieme ad Egon Krenz, il candidato principale per la successione ad Erich Honecker.
Durante la grande manifestazione del 4 novembre 1989, quando ad Alexanderplatz si riunirono un milione di persone, fu l’unico rappresentante dello Stato e della politica della DDR che ebbe il coraggio di presentarsi sul palco e prendere la parola, anche se fu sommerso dai fischi.
Con la caduta del Muro finisce anche la carriera politica di Günter Schabowski, che nel gennaio 1990 viene espulso dal nuovo partito SED-PDS (dalla nuova formazione politica nascerà, nel 2007, il partito Die Linke, che è tuttora nel Bundestag).
Nel 1991, pubblicherà un libro Der Absturz, “La Caduta”, in cui fa un ritratto niente affatto sentimentale della sua vita e della DDR. Schabowski descrive il clima di diffidenza e reciproca sfiducia che regnava all’interno della SED, con i membri che erano in uno stato di costante autoumiliazione e avvilimento di fronte ai “bizantinismi” di Honecker e alle sue Zweckgemeinschaft, lo stare insieme per convenienza.
Se il Muro di Berlino è idealmente venuto giù quella notte e non in un altro momento, lo si deve alle conseguenze di quello che disse Schabowski alla fine della sua conferenza stampa del 9 novembre 1989.
Muore a Berlino il 1° novembre 2015.
Erich Honecker (1912 – 1994)
Segretario generale del Comitato centrale della SED e Presidente del Consiglio di Stato (Staatsratsvorsitzender). Dal 1971 Presidente del Consiglio nazionale della difesa della DDR (Nationaler Verteidigungsrat). Figlio di un minatore, fino al 1929 svolge le attività di lavoratore agricolo e di operaio. L’anno seguente entra nel KPD, Kommunistische Partei Deutschlands, il Partito comunista tedesco e organizza dal 1933 la resistenza antifascista in Germania. Nel 1935 viene arrestato a Berlino dalla Gestapo e trascorre in prigione gli anni fino al 1945, quando inizia la sua carriera politica. Fin dal 1946 è membro del Zentralkomitee della SED ed entra nel Politbüro nel 1958. Il 3 maggio 1971, con l’appoggio sovietico, riesce a ordire un complotto ai danni di Walter Ulbricht e gli succede come 1° Segretario del Comitato Centrale. Dal 1976, la carica sarà quella di Segretario generale.
Nel febbraio 1987, durante la visita a Berlino Est del Ministro degli esteri sovietico Eduard Shevardnadze, Honecker prende le distanze dai processi di riforma della perestrojka e della glasnost intrapresi da Michail Gorbačëv.
Il 18 ottobre 1989, dopo un golpe interno al Politbüro ordito da Krenz, Honecker è costretto a rassegnare le dimissioni da tutti gli incarichi di governo, “per motivi di salute”, mettendo la parola fine a un’intera epoca della storia della Germania. Con lui affondano anche i suoi uomini più fedeli, come Günter Mittag, il potente Segretario all’economia, e Joachim Herrmann, capo della segreteria del ZK per il settore Agitation und Propaganda. Il primo era praticamente il solo responsabile dell’intera pianificazione economica della DDR. Aveva sotto di sé qualcosa come 22 ministeri, 224 Kombinate (i conglomerati di imprese) e 3526 complessi industriali. Il secondo era il direttore dell’agenzia di stampa, della radio, della televisione e di tutti i giornali e le riviste della DDR. Ogni sera, al telefono, dava istruzioni su come i giornali dovevano apparire il giorno seguente: la grandezza della foto di Honecker in prima pagina o lo spostamento nelle pagine interne di una notizia sgradita, mache non si poteva censurare.
Accusato di abuso di ufficio e corruzione dalla procura generale della DDR, nei confronti di Erich Honecker viene emesso, in qualità di ex capo del Consiglio nazionale della difesa, un ordine di cattura per omicidio colposo legato alle numerose uccisioni avvenute sui confini interni tedeschi. Nel marzo 1991 fugge a Mosca e a novembre, dopo il decreto di espulsione da parte della autorità sovietiche, chiede asilo politico all’ambasciata cilena della capitale russa. Muore a Santiago del Cile nel 1994.
Ministerium für Staatssicherheit (MfS)
Ministero per la Sicurezza di Stato, conosciuto come Stasi (dalle prime lettere di Staat e Sicherheit), la polizia segreta della DDR. Fondato l’8 febbraio 1950, quattro mesi dopo la nascita della Repubblica Democratica tedesca (7 ottobre 1949). Fu creato con lo scopo di assicurare il potere della SED, il Partito di unità socialista tedesco. Di quest’ultimo, come amava definirsi, era Schild und Schwert, “scudo e spada”. Rispondeva esclusivamente agli ordini e alle direttive dei vertici del partito.
Durante la friedliche Revolution, la rivoluzione pacifica del novembre ‘89, i successori di Honecker, Egon Krenz e Hans Modrow (ultimo presidente del Consiglio dei ministri della DDR dal 13 novembre 1989 fino alle libere elezioni parlamentari del 18 marzo 1990), provano a salvarne l’esistenza cambiandone il nome in Amt für nationale Sicherheit, Ufficio per la sicurezza nazionale. Già a dicembre, tuttavia, il nuovo organo dovette interrompere i lavori per la protesta dei comitati di cittadini che avevano cominciato spontaneamente a formarsi nelle città e nei distretti (Bezirke) della DDR. Questi comitati, il primo dei quali si costituì a Erfurt, capitale della Turingia, il 4 dicembre 1989, lottavano per impedire sia il mantenimento in vita del MfS, sia la distruzione dei suoi famigerati atti. Il tentativo di cancellare, attraverso l’eliminazione di centinaia di migliaia di documenti, le parti più buie del potere della SED era comunque già iniziato il 7 novembre, due giorni prima della caduta del Muro, in concomitanza con le dimissioni di Erich Mielke, l’uomo che fino a quel momento era stato il capo della Stasi, dall’11 dicembre 1957.
Al tramonto della DDR, il Ministero di Erich Mielke contava 91.015 lavoratori ufficiali (hauptamlich). A questi vanno aggiunti i circa 174.000 collaboratori non ufficiali (IM, Inoffizielle Mitarbeiter), gente comune che durante il lavoro o il tempo libero spiava i suoi concittadini. Nessuno degli IM poteva venire a sapere quello che il MfS faceva delle informazioni fornite. I dati ufficiali affermano che un cittadino su 62 partecipava all’attività di controllo e sorveglianza dell’apparato statale: cifre, queste, che risultano “migliori” perfino di quelle fatte registrare dal KGB, la polizia segreta del “grande fratello” sovietico.
Il MfS viene definitivamente sciolto nel marzo 1990.
Gli archivi della Stasi, ora sotto il controllo del delegato federale per gli atti del servizio di sicurezza statale della DDR, contengono una documentazione che raggiunge più di 111 chilometri di lunghezza.
Egon Krenz (1937 – )
Pedagogo e politico tedesco della SED. Presidente del consiglio di Stato della DDR (Staatsratsvorsitzender) e segretario generale del Comitato centrale della SED (18 ottobre-3 dicembre 1989). Insieme a Schabowski, Krenz apparteneva alla giovane generazione della nomenklatura della SED, il gruppo cui il partito meditava di assegnare, nel tempo, incarichi di rilievo, e che riteneva necessario un rinnovamento democratico del partito e della società tedesca. Nelle settimane della crisi Krenz provò a cambiare il corso delle cose cercando di dar vita a un comunismo riformatore ma, come Gorbačëv, fallì. Fu lui il primo a usare l’espressione die Wende, per indicare la svolta rivoluzionaria che doveva compiere il comunismo per fronteggiare la sfida dei tempi.
Krenz si fa le ossa nella Freie Deutsche Jugend (FDJ), l’unica organizzazione di massa giovanile ammessa negli anni della DDR, ed entra a far parte della SED nel 1955. Dal 1973 è membro del ZK. Nel 1983 viene nominato componente del Politbüro. Nel 1984 diventa numero due di Honecker e papabile candidato alla sua successione. Questa avviene il 18 ottobre 1989, quando Krenz è nominato Segretario generale della SED. In seguito alle sempre più organizzate e veementi proteste della popolazione, il 3 dicembre 1989, il Politbüro (compreso Egon Krenz) è costretto a dimettersi in blocco dalle sue funzioni, abbandonando anche il partito.
Nel 1997 la sezione penale del tribunale di Berlino ha condannato Krenz a sei anni e sei mesi di reclusione per corresponsabilità nell’uccisione di almeno quattro persone da parte dai cecchini delle Grenztruppen, la polizia di frontiera della DDR.
La figura di Egon Krenz appare controversa agli occhi degli storici contemporanei. Di lui si può con certezza dire che era parte integrante della dittatura socialista, così come è noto il suo triste coinvolgimento nel caso dei brogli elettorali dell’elezioni comunali di Berlino del maggio 1989. Però, come racconta il giornalista e scrittore Frank Schirrmacher (scomparso precocemente nel 2014), in un bell’articolo del Frankfurter Allgemeine Zeitung di 10 anni fa (FAZ, 9 novembre 2009), non si può semplicemente mettere fuori Egon Krenz dalla porta della Storia. Alcune delle condizioni essenziali e necessarie che hanno portato alla pacifica caduta del Muro – senza che venisse sparato un colpo – sono state create da Krenz. È lui l’autore, in qualità di Presidente del consiglio della difesa nazionale (NVR), dell’ordine di comando, Befehl 11/89 del 3 novembre 1989, in cui si danno disposizioni ai militari sul comportamento da tenere in occasione dell’annunciata manifestazione per il giorno seguente ad Alexanderplatz. In merito alla manifestazione – alla quale parteciparono un milione di persone che reclamavano libertà di opinione, di stampa e libere elezioni – c’erano molte preoccupazioni, anche da parte dei politici dell’Ovest. La Stasi, come racconta Schirrmacher, temeva una marcia dei manifestanti verso la Porta di Brandeburgo, ed era chiaro a tutti che questa fosse l’eventualità preferita dal Ministero di Erik Mielke, per poter poi intervenire militarmente. Il Befehl 11/89, di cui né i dimostranti, né i media e la diplomazia occidentali quella sera erano a conoscenza, stabiliva che i soldati, nel caso di un tentativo di superamento del Muro da parte della folla, dovevano ricorrere all’uso della forza fisica e di tutti i mezzi idonei per impedire il passaggio. A togliere ogni dubbio su quali fossero i mezzi idonei ci pensava la frase successiva: „L’utilizzo delle armi da fuoco durante le manifestazioni è vietato”.
Il racconto di Schirrmacher continua e dice che l’ordine 11/89 non fu revocato ed era in vigore anche la notte del 9 novembre, quando la polizia di frontiera, per quanto potesse agire in autonomia, sapeva che per loro era proibito sparare. La domanda successiva che pone il giornalista è: “Mosca ha ordinato alle proprie truppe militari di stanza in Germania Est di non intervenire?”.
Qui l’autore si riferisce al superamento della dottrina Brežnev da parte del governo sovietico di Michail Gorbačëv, che nel 1988 annunciò la linea di non ingerenza negli affari interni dei Paesi alleati del Patto di Varsavia (la dottrina di Leonìd Brežnev prevedeva che le forze ostili al socialismo in un Paese costituivano un pericolo per tutte le nazioni del blocco comunista). Un vero e proprio ordine di non intervento da parte di Mosca, continua Schirrmacher, non c’è stato, ma ci sono sufficienti prove giudiziarie che attestano il fatto che fu proprio Egon Krenz a fare pressione sui sovietici affinché non intervenissero. Nella sentenza del tribunale di Berlino del 25 agosto 1997 è scritto infatti che in occasione delle manifestazioni di Lipsia, Krenz pregò i comandanti delle forze militari sovietiche che erano di stanza a Lipsia, Halle, Magdeburgo e Berlino di tenere le proprie truppe in caserma. Lo stesso tribunale che ha condannato Egon Krenz stabilisce che „nell‘autunno 1989, l’accusato ha contribuito in maniera determinante al processo di descalazione nella dinamica degli eventi, che senz’altro avrebbe potuto portare ad una guerra civile di incalcolabili conseguenze”.
All’epoca dei fatti, però, i cittadini della DDR non si fidavano di Egon Krenz. Dopo la sua nomina a Segretario generale del 18 ottobre, l’anziano teologo e pastore luterano Albrecht Schönherr, in occasione di un incontro fra i nuovi vertici del partito e i rappresentanti delle chiese evangeliche, ebbe modo di ricordare che era proprio Egon Krenz, che ora voleva dialogare con la società civile, quello che fino a pochi giorni prima, riguardo al massacro di Piazza Tienanmen a Pechino del 3 e 4 giugno 1989, affermava che “era stato fatto il necessario per ristabilire l’ordine”. Non piacque nemmeno il suo intervento del 31 ottobre durante la sua visita ufficiale a Mosca, quando alla televisione sovietica disse che “un rinnovamento della società socialista tedesca della DDR può avvenire solo se al vertice rimane il partito”.
Egon Krenz vive oggi con la moglie, nel nord della Germania.
Prima parte
Die Wende, la svolta
“Chi non rimpiange la disgregazione dell’Urss non ha cuore, chi vuole ricrearla così com’era, non ha cervello”
Vladimir Putin*
Sabato 7 ottobre 1989, la Repubblica Democratica Tedesca festeggia a Berlino il quarantesimo anniversario della sua fondazione. Alle 10 di mattina, sull’imponente Karl-Marx-Allee, comincia la parata militare che sfila davanti alla tribuna d’onore, occupata in prima fila dai membri del Politbüro della SED, accompagnati dalle autorità del Partito comunista sovietico. Fra i volti noti si riconoscono quelli di Michail Gorbačëv, di Erich Honecker e del Primo ministro Willi Stoph. Il primo (si vede dalle foto), giovane ed elegante, con lo sguardo del sognatore. I secondi, vecchi relitti di un mondo che stava per scomparire.
Verso le 17 di quel sabato, alcune centinaia di giovani si ritrovano spontaneamente ad Alexanderplatz e cominciano a gridare: “Gorbi, Gorbi”, “Freiheit” (Libertà) e “Gorbi, hilf uns” (Gorbi, aiutaci tu). Le proteste e la rabbia erano rivolte in modo particolare verso le elezioni truccate del 7 maggio precedente e contro le ufficiali dichiarazioni di soddisfazione espresse dal governo della DDR riguardo ai sanguinosi fatti di Pechino del 3 e 4 giugno 1989.
Ma qualcosa era cambiato. Sui cartelli, dal “Wir wollen raus!” (Vogliamo andarcene!) si era passati al “Wir bleiben hier!” (Rimaniamo qui!). Una dichiarazione di guerra al potere della SED. La gente dimostra di non avere più paura a esprimere le proprie opinioni. All’inizio di settembre era nato il Neues Forum, un movimento di attivisti per i diritti civili che riesce a dare voce e forma alle proteste, finora isolate e disorganizzate, dei cittadini. L’8 novembre, il Neues Forum sarà riconosciuto come associazione dal Ministero dell’Interno.
La sera del 7 ottobre, nel quartiere di Prenzlauer Berg, la polizia e le forze di sicurezza interverranno con brutale violenza contro i manifestanti, arrestando decine e decine di persone. Lo stesso avviene a Lipsia, Dresda, Jena, Magdeburgo e in molte altre città. L’agenzia di informazioni della DDR, l’ADN (Allgemeiner Deutscher Nachrichtendienst) annuncia che “gruppi di rivoltosi hanno provato, pilotati dai media occidentali, a disturbare le celebrazioni dell’anniversario della Repubblica”, scandendo “republikfeindliche Parolen”, slogan ostili alla Repubblica. Sempre nella stessa serata del 7 ottobre, dopo la partenza di Gorbačëv il capo della Stasi Erich Mielke sembra abbia pronunciato le seguenti parole: “Jetzt ist Schluß mit der Humanität” (Ora basta con l’umanità).
Già due giorni dopo, lunedì 9 ottobre, è in programma a Lipsia la Montagsdemo (manifestazioni del lunedì). Le Montagsdemos erano iniziate il 4 settembre e si erano presto estese anche ad altre città. Quella del 9 ottobre a Lipsia si rivelerà decisiva. Il timore dei cittadini era che i vertici del partito optassero per una soluzione cinese, anche se l’idea di un intervento armato con mezzi pesanti appariva assurda. Si venne anche a sapere che il personale medico degli ospedali era stato richiamato forzatamente in servizio per il turno della notte e che furono messe a scorta numerose riserve di sangue (quest’informazione viene tuttavia smentita dal generale Fritz Streletz in una testimonianza del marzo 2015). Si teme il peggio. Invece, già al mattino, i vertici del partito avevano impartito alle forze militari l’ordine di evitare il precipitare degli eventi. Quel giorno in 70mila – la più grande manifestazione fino a quel momento nella storia DDR dal 17 giugno 1953 – sfilano per le vie del centro di Lipsia al grido “Wir sind das Volk!”.
I giorni fra il 7 e il 9 ottobre 1989 rappresentano per la DDR una vera e propria svolta – die Wende, come dirà Egon Krenz. Tutto quello che seguirà, a partire dalle dimissioni di Honecker del 18 ottobre fino all’apertura del Muro la sera del 9 novembre, è una conseguenza delle manifestazioni di inizio ottobre.
Per la SED è l’inizio della fine.
La fuga dalla DDR: die Ausreisebewegung
Negli anni Cinquanta si diceva semplicemente abhauen (andarsene), o rübermachen (andare di là). Le autorità della SED parlavano invece di Republikflucht (fuga dalla Repubblica), introducendo poi dal 1968 il reato di ungesetzlicher Grenzübertritt (attraversamento illegale del confine), che prevedeva una pena fino a otto anni di reclusione.
Le cifre dicono che nei 15 anni intercorsi fra il 1946 e il 13 agosto 1961, giorno dell’inizio della costruzione del Muro, circa 2,7 milioni di persone hanno abbandonato la DDR, finendo nelle liste di registrazione dei centri di accoglienza della Bundesrepublik. La costruzione dello sbarramento fermò il flusso di fuggiaschi, tuttavia si calcola che fra il 1961 e il 1990 più di 600mila persone, con permesso o senza permesso, siano riuscite a raggiungere Berlino ovest e la Repubblica federale tedesca. Una parte di questi, circa 50mila, erano Sperrbrecher, ovvero coloro che sono scappati mettendo a rischio la propria vita.
Per i dirigenti della SED la questione dell’espatrio e la sua regolamentazione è sempre stata una spina del fianco. Durante i venti anni successivi alla costruzione del Muro non c’erano nemmeno i presupposti giuridici per disciplinare l’argomento del diritto di viaggio. Chi non era pensionato e aveva voglia di viaggiare verso Paesi non socialisti veniva in genere escluso, discriminato e criminalizzato.
Nel settembre 1973 la DDR – ma anche la Bundesrepublik – entra a far parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, raggiungendo così sul piano internazionale il riconoscimento cui aspirava. Questa situazione politica, unita al fatto che la Guerra fredda era in una fase di distensione, faceva quindi apparire agli occhi dei cittadini tedeschi orientali del tutto assurda la pratica del totale divieto di viaggiare. Tranne naturalmente per una ristretta casta di privilegiati.
La firma nel 1975 a Helsinki dell’atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, fra i cui principi fondamentali vi è anche quello del “rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”, produce di fatto una situazione paradossale. Viene a crearsi in effetti un modo – anche se lungo e burocratico – per inoltrare ufficialmente un procedimento di richiesta di espatrio, che la SED definiva però come “illegittimo”. Il controsenso è tuttavia che in migliaia di occasioni le autorità concedevano il permesso. Nella realtà quotidiana accadeva che chi anche soltanto provava a fare la domanda (Antragsteller) finiva quasi sempre nel mirino della Stasi.
Durante gli anni Ottanta le domande crebbero a dismisura: dalle 21.500 del 1980 si arrivò alle 112mila del 1987. Fra le circa 350mila persone (ma alle cifre ufficiali sfuggono molti casi) a cui riuscì la fuga all’Ovest nel 1989 prima della caduta del Muro, 101mila erano quelle che si erano trasferite legalmente nella Repubblica federale. Gli altri non avevano chiesto alcun permesso.
Chi si occupava delle richieste di espatrio era il Ministero dell’Interno, ma di fatto chi controllava e dirigeva tutto era il MfS, la Stasi. Spesso accadeva che il ministero di Erich Mielke volesse sbarazzarsi di certi cittadini che considerava “nocivi e pericolosi” per la salute della Repubblica e quindi agevolava il procedimento di richiesta di espatrio. Inizialmente, credeva così di liberarsi delle persone insoddisfatte, ma alla lunga la strategia si rivelò dannosa, perché fece passare l’informazione che esisteva un percorso ufficiale, anche se complicato e interminabile, di lasciare il Paese senza rischiare la vita.
Hans-Hermann Hertle, uno dei maggiori storici della Wendezeit, nel suo libro “Chronik des Mauerfalls”, scrive che “durante il 1988 (…) una quantità sempre più grande di persone era pronta ad affrontare anni e anni di misure di persecuzione giudiziaria e anche di prigione, se alla fine del percorso c’era il permesso di espatrio nella Repubblica federale tedesca”.
Gli Ausreisewillige, così erano definiti coloro che reclamavano libertà di viaggio, erano arrivati a costituire alla fine degli anni Ottanta un movimento di un certo rilievo, se è vero che le Montagsdemos di Lipsia – elemento fondamentale di tutta la rivoluzione pacifica dell’89 – sono frutto anche dell’operosità di questi attivisti civili. La curiosità è che, tra l’altro, queste persone si identificavano, al fine poi di entrare in contatto, attaccando alla propria Trabant un adesivo con una grossa A, che non stava per Anfänger (principiante) ma per Ausreiseantragsteller (richiedente espatrio).
La fine di un’era
Nel 1975 fu creata un’unità speciale, il gruppo centrale di coordinamento (ZKG, Zentrale Koordinierungsgruppe), che aveva il controllo totale su tutte le questioni riguardanti le domande d’espatrio. Uno dei suoi compiti principali era quello di coordinare il processo di contenimento della fuga dei propri cittadini e di fornire una continua valutazione dello stato delle cose. A fuggire erano soprattutto giovani sotto i 40 anni, ingegneri, medici, avvocati, e questo preoccupava molto i vertici del partito, che volevano porre un argine al fenomeno.
La soluzione al problema dell’emigrazione elaborata dagli esperti della Stasi nel febbraio 1988 era esplicita: “Contro la considerevole minaccia portata al potere dello Stato socialista occorre reagire con decisione e debita durezza”.
La storia però era in moto: nel 1985 Gorbačëv inaugurava la sua politica della Perestroika. Occorreva abbattere in tutti i modi l’enorme cifra destinata alle spese militari, e quindi favorire in politica estera la distensione e il disarmo, per investire in riforme economiche e politiche. Ai Paesi fratelli del blocco comunista Gorbačëv comunica l’abbandono della dottrina Breznev, secondo la quale gli Stati europei centro-orientali sono a sovranità limitata. Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, erano già sulla strada della democrazia.
Per la DDR, in crescente dipendenza economica dalla BRD, sono anni di isolamento internazionale. Al tavolo delle trattative in corso da anni a Vienna, durante il 1987 il Partito Comunista sovietico, con sommo orrore da parte della SED, si schiera a fianco dell’Occidente nel sostenere un ampliamento dei rapporti commerciali e degli aiuti economici in cambio dell’avanzamento delle trattative sul disarmo e sul rispetto dei diritti umani.
Sotto la pressione dell’Unione Sovietica, nel gennaio 1989 la DDR firma gli accordi di Vienna della “Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa” (CSCE), in cui si impegna non solo a osservare il diritto illimitato di ognuno di lasciare un Paese, compreso il proprio, e di farvi ritorno, ma anche di garantire legalmente questo diritto e controllare che venga osservato.
L’isolamento internazionale finì poi per diventare una realtà. Nel forum della stessa CSCE dell’aprile 1989 a Londra e nella conferenza mondiale sui diritti umani di Parigi del giugno 1989, la DDR sedeva sul banco degli accusati. A Parigi la si accusava della sua politica restrittiva dell’espatrio, sull’ordine di sparare (Schießbefehl) e sulla presenza del Muro. Come scrive Hertle, l’isolamento sul piano internazionale si trasformò in un problema di politica interna il 2 maggio 1989, quando l’Ungheria iniziò l’abbattimento della Cortina di ferro.
La fuga attraverso le ambasciate
Come tutti i Paesi del blocco sovietico, nella seconda metà degli anni Ottanta l’Ungheria si trovava in una grave crisi economica. Il neoeletto primo ministro ungherese Miklós Németh annunciò in una sua visita ufficiale a Mosca del marzo 1989 il passaggio dell’Ungheria ad un sistema di riforme democratiche, informando Michail Gorbačëv sulla sua intenzione di apportare cambiamenti al sistema di difesa presente sui 354 chilometri della linea di confine fra Ungheria e Austria, senza tuttavia indicare una data precisa. Il 2 maggio 1989, in diretta televisiva, i soldati di frontiera ungheresi tagliano il filo spinato della Cortina di ferro. Per il ministro della difesa della DDR, Friedrich Kessel, si tratta di grenzkosmetische Maßnahmen, operazioni di abbellimento, che non avrebbero trattenuto i militari di frontiera ungheresi, come da accordi, dall’impedire ai cittadini della DDR di scappare all’Ovest attraverso l’Ungheria.
Durante l’estate 1989 circa 200 persone, il cui tentativo di fuga attraverso il confine austriaco-ungherese era fallito, si erano rifugiati nelle ambasciate della Repubblica federale tedesca a Budapest e a Praga, chiedendo il diritto di espatriare. Alla fine di settembre si assiste a un vero e proprio assalto: le foto mostrano gente che lanciava prima la propria valigia al di là della cancellata e poi scavalcava il recinto dell’ambasciata della Repubblica federale a Praga, con i poliziotti cechi che cercano di trattenerli per i giubbotti. Saranno decine di migliaia i cittadini della DDR che approderanno nella BRD attraverso le ambasciate di Berlino Ovest, Varsavia, Praga e Budapest.
I primi tentativi di fuggire attraverso le rappresentanze diplomatiche risalgono al 20 gennaio 1984, quando sei cittadini della DDR entrarono nella biblioteca dell’ambasciata degli Stati Uniti a Berlino Est e chiesero asilo politico. La mente del gruppo era uno studente d’arte di trenta anni, che aveva informato i giornalisti occidentali della propria azione. Era uno dei primi tentativi riusciti di utilizzare i media e gli uffici diplomatici dei Paesi occidentali per ricattare il regime della SED di fronte al tribunale internazionale dell’opinione pubblica.
A Sopron, una città nel nord ovest dell’Ungheria, al confine con l’Austria, il 19 agosto 1989 ci fu la più grande fuga dai tempi della costruzione del Muro. Avvenne in occasione dell’evento conosciuto come “Picnic paneuropeo”. Gli organizzatori – il Forum democratico ungherese e il movimento paneuropeo – avevano invitato tutta la popolazione a partecipare ad un evento proprio sul terreno dove passava il confine, sotto il comune ideale di un’Europa unita e libera dalle frontiere. Erano stati stampati molti volantini che indicavano luogo, ora e indicazioni stradali per raggiungere l’evento. L’intento era quello di aprire, fra le 15 e le 18, una breccia nel reticolato di legno e filo spinato, per vivere l’emozione dell’occasionale superamento della frontiera. La notizia giunse alle orecchie dei cittadini della DDR che erano a Budapest nell’ambasciata della BRD. Circa 600 persone lasciarono nella capitale ungherese tutto quello che avevano e si precipitarono a Sopron, da dove poi sorridenti entrarono in Austria. Il tutto fu reso possibile da accordi presi in precedenza fra il ministro ungherese e il capo della polizia di frontiera. Dopo poche ore, la cortina si richiuse, ma quello che era avvenuto era il test preliminari alla caduta del Muro.
Seconda Parte
“Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati”
Proverbio
Lunedì 6 novembre 1989
I centri di accoglienza nella Germania Ovest destinati ai cittadini della DDR sono di nuovo presi d’assalto. Nel solo fine settimana dal 3 al 5 novembre sono stati 23.500 i tedeschi orientali che attraverso la frontiera con la Cecoslovacchia sono arrivati in BRD. La mattina del 6 novembre il principale organo di stampa del regime, il “Neues Deutschland”, riporta la notizia del progetto di una nuova legge sui viaggi che avrebbe consentito ai cittadini di recarsi all’estero per 30 giorni nell’arco di un anno. La sera, in televisione, viene inoltre riportato che “le domande per l’espatrio permanente saranno accolte e disbrigate in modo veloce e non burocratico, entro tre settimane al massimo”.
Ormai però è troppo tardi. La proposta di legge sui viaggi pubblicata a mezzo stampa – cosa che fino a pochi mesi prima sarebbe stata accolta dalla popolazione come un’apertura – incontra il dissenso generale. Le proteste e le manifestazioni di aperta ostilità verso il regime si fanno sempre più diffuse. Nella tradizionale marcia del lunedì a Lipsia oltre 200mila persone scendono in piazza, a Dresda sono in 100mila, 60mila ad Halle. L’atmosfera è molto più bellicosa rispetto ai cortei delle precedenti settimane. Sugli striscioni si legge: “Die SED muss weg!” (La Sed deve andare via), oppure: “Non abbiamo bisogno di nessuna legge. Il Muro deve cadere!”.
Martedì 7 novembre
Nella consueta riunione del Politbüro del martedì, il vecchio apparato di potere della DDR abdica. Undici dei venti membri dell’Ufficio politico (media anagrafica 71,3 anni), protagonisti della quarantennale dittatura della SED, annunciano le proprie dimissioni e dovranno essere sostituiti. La comunicazione ufficiale sarà resa il giorno seguente di fronte alla decima assemblea del Comitato centrale della SED, in programma dall’8 al 10 novembre 1989.
Nel frattempo, il flusso di profughi continua ininterrotto: a Schirnding, sul confine fra attuale Repubblica Ceca e Baviera, si registra il passaggio di 300 persone all’ora.
Il progetto di riforma della legge sui viaggi viene rifiutato. In un comunicato stampa, il Neues Forum chiede il passaporto per ogni cittadino, così come un visto di viaggio verso tutti i Paesi del mondo, da rinnovare ogni due o tre anni. Inoltre, dichiara di non accettare limitazioni temporali alla durata dei viaggi.
Per venire incontro alle veementi proteste della Cecoslovacchia, che aveva migliaia di cittadini DDR nel proprio territorio, il Polibüro decide di stralciare dalla legge sui viaggi (Reisegesetzt), che doveva essere approvata entro la fine dell’anno, la parte relativa agli espatri permanenti, per farla entrare subito in vigore. Per questo ordina di elaborare un adeguato regolamento (Reiseregelung). “Alla fine di questo 7 novembre”, scrive Hertle, “non c’è alcun indizio di una volontà del Politbüro di introdurre un’indiscriminata libertà di viaggio.”
Mercoledì 8 novembre 1989
Già dal giorno precedente Krenz e il nuovo Politbüro avevano incaricato un gruppo di esperti del MfS, coordinati dal generale Gerhard Neiber, di porre mano rapidamente al regolamento attuativo sulla questione dell’espatrio (ständige Ausreise).
Il documento di Neiber prevedeva che tutti gli uffici distrettuali della Volkspolizei presso i valichi di frontiera fra DDR e BRD o Berlino Ovest dovevano favorire immediatamente e senza problemi di sorta l’emissione del visto. Unione Sovietica e Repubblica federale di Germania vengono avvisati della nuova intenzione.
Questo mercoledì è anche il primo dei tre giorni della drammatica assemblea del Comitato centrale della SED. Per la prima volta Egon Krenz, rieletto all’unanimità Segretario generale, cerca di prendere le distanze da Honecker e dalla vecchia guida del partito. Il Politbüro viene dimezzato. Rispetto agli undici membri dimessisi vengono nominati solo quattro nuovi, fra cui Hans Modrow, leader riformista della SED di Dresda. Il fatto che sette degli esponenti della vecchia nomenklatura fossero ancora alla guida dello Stato era una cosa che non contribuì a far diminuire le tensioni e le proteste della gente. Anche la base del partito si spacca: più di 10mila persone appartenenti alla SED berlinese si radunano sotto l’edificio del Comitato centrale per protestare contro i vertici del partito.
Giovedì 9 novembre 1989
Usando una metafora clinica, la SED e la DDR in questo 9 novembre 1989 sono tenute in vita solo dalle macchine. L’indebitamento del Paese verso l’Occidente ammonta a 20 miliardi di dollari. Queste le cifre riferite a Egon Krenz durante il secondo dei tre giorni di congresso. La sera, come scrive Hertle, Krenz chiude la seduta con le seguenti parole: “Dobbiamo veramente osare un nuovo inizio e non semplicemente andare avanti. Dobbiamo ricominciare e conquistare la fiducia”. Sono le 20:45.
Dalle 20:15 si registrano già dieci persone al valico di Sonnenallee, 20 a Invalidenstraße e 50 a Bornholmer Straße. Durante la cena la notizia della conferenza stampa di Schabowski comincia a diffondersi fra i delegati: sgomento, sorpresa, confusione. Quello che Schabowski ha dichiarato in diretta televisiva non è quanto è stato deciso nel pomeriggio, le sue frasi sono il frutto di una sua bizzarra interpretazione.
Ma cosa ha detto Schabowski? E che cosa aveva proposto quel giorno il rinnovato Politbüro al Comitato centrale?
Al Ministero dell’interno di Mauerstraße, intorno alle ore 9:00, una nuova squadra si riunisce per mettersi a lavorare alle modifiche della legge sui viaggi e gli espatri. Krenz aveva in precedenza forzato il governo (il Ministerrat) a presentare un decreto al Comitato centrale entro le 12:00 del 9 novembre. Sono quattro i funzionari a capo della commissione che deve svolgere il compito. Gerhard Lauter e Gotthard Hubrich sono i responsabili dei dipartimenti “Passaporti e anagrafe” (Pass- und Meldewesen) del Ministero dell’interno. Gli altri due, Udo Lemme e Hans-Joachim Krüger, arrivano dalla Stasi.
Tutt’e quattro hanno dichiarato, scrive Hertle, di aver avuto come incarico solo quello di trovare una soluzione al “problema Cecoslovacchia” (l’enorme pressione dei profughi nell’ambasciata BRD a Praga) attraverso una legge che risolvesse una volta per tutte la questione degli espatri permanenti (ständige Ausreise, coloro che non volevano ritornare nella DDR e che avrebbero perso la cittadinanza). Furono subito d’accordo sul fatto di risolvere la problematica con Praga adottando il documento di Neiber del 7 novembre, che stabiliva che non c’era più alcun ostacolo alla richiesta di espatrio permanente.
E’ chiaro però subito a tutti che lasciare completa libertà a chi voleva abbandonare per sempre la DDR e proibire i Privatreisen, i brevi soggiorni in BRD, può creare una situazione pericolosa per la stabilità del Paese. Il regolamento, infatti, vietava ai cittadini della DDR anche di poter andare a trovare, magari soltanto per un giorno o per poche ore, un parente o un amico che stava a Berlino Ovest.
Il giorno precedente, come conseguenza del decreto di Neiber, in effetti, un telefax ufficiale riporta di un gruppo di cittadini della DDR che erano andati all’Ovest e che dopo poche ore erano tornati all’Est presentandosi al posto di controllo di Hirschberg (fra Turingia e Baviera), di fronte agli increduli soldati di frontiera che chiedevano il perché di quella scelta: “Avventura… provare l’attendibilità dei media tedesco-orientali”, furono alcune delle risposte.
Il gruppo dei quattro esperti voleva marcare la differenza fra chi voleva per sempre espatriare e chi intendeva magari solo fare una vacanza e tornare poi nella DDR. Quest’ultimi erano chiamati viaggi privati (Reisen, Privatreisen). I quattro funzionari decisero di porre le due questioni – i viaggi e l’espatrio – in un unico provvedimento. Era necessario fare una legge che, anche nella formulazione linguistica, non penalizzasse i viaggi temporanei a favore degli espatri. L’incarico poi era così generale, pensarono i quattro, che anche una piccola modifica sulla questione dei viaggi brevi, come soluzione temporanea, non era in via di principio da escludere. Sapevano inoltre che una riforma ampia e complessiva su tutta la materia sarebbe stata fatta entro la fine dell’anno. E poi c’era ancora qualche ora per fare eventuali modifiche. Nel testo, quindi, decisero di anteporre alla parte relativa all’illimitata emissione di visti per l’espatrio permanente, la seguente frase:
“Il permesso per i viaggi privati all’estero può essere richiesto senza necessità di dichiararne i motivi (come quello del ricongiungimento familiare). Le autorizzazioni vengono concesse in tempi rapidi”.
Inoltre, il provvedimento per i Privatreisen riguardava solo quei cittadini che erano in possesso di passaporto e visto. In quel momento, scrive Hertle, erano quattro milioni i cittadini che avevano il documento di viaggio. Gli altri avrebbero dovuto fare richiesta e aspettare almeno 4-6 settimane. Si credeva così di aver impedito, almeno per un po’, la fuga in massa della popolazione.
Lemme, Krüger, Lauter e Hubricht decisero di presentare il testo mantenendo il titolo: „Beschlussvorschlag zur Veränderung der Situation der ständigen Ausreise von DDR-Bürgern nach der BRD über die CSSR“. (Bozza di decreto sul mutamento della situazione in merito all’emigrazione di cittadini DDR verso la BRD attraverso la Cecoslovacchia). Pensarono poi a quanto tempo ci sarebbe voluto prima che i vari uffici del Ministero dell’interno e della Stasi, nonché tutti i distaccamenti, fossero pronti ad accogliere il previsto enorme afflusso della gente. Erano circa le dodici, quindi stabilirono che il termine previsto per la comunicazione alla ADN (la televisione di Stato) fosse le 4:00 del 10 novembre. Consegnarono il fascicolo nella sede del Consiglio dei ministri nella vicina Klosterstraße e terminarono il loro compito.
“Haus am Werdeschen Markt”, Berlin Mitte, Sede del Comitato centrale della SED
Fra le 12:00 e le 12:30, nella consueta pausa per la sigaretta durante la riunione del Comitato centrale, Egon Krenz informa i membri del rinnovato Politbüro del nuovo testo, che viene sostanzialmente approvato da tutti. Mancava la convalida del Consiglio dei ministri, che in questo caso, avendo avuto il testo già il beneplacito dell’Ufficio politico, non aveva nessun margine per qualsiasi tipo di correzione, nemmeno ortografica.
Il capo della segreteria del Consiglio dei ministri, Harry Möbis, aggiunge una lettera d’accompagnamento in cui si invitano i membri del Ministerrat a confermare il testo, attraverso la procedura di “silenzio assenso”, “entro le 18:00 di oggi, giovedì 9 novembre 1989”. Il problema era, come sottolinea Hertle, che 29 dei 44 ministri in quel pomeriggio non si trovavano nelle loro sedi ministeriali ma, come membri o candidati del ZK, stavano partecipando al Congresso.
Alle 15:30 Egon Krenz legge ai delegati la nuova normativa sui viaggi che Willi Stoph, il presidente del Consiglio incaricato, gli ha appena recapitato.
Il punto 2 recita:
“Da subito entra in vigore il seguente temporaneo regolamento in merito ai viaggi e agli espatri dalla DDR verso l’estero: a) viaggi privati all’estero possono essere richiesti senza bisogno di indicare i motivi del viaggio. I permessi vengono subito rilasciati”.
Al passo successivo è scritto che le sezioni “Anagrafe e passaporti” delle stazioni distrettuali della Volkspolizei sono tenute a rilasciare immediatamente il visto per gli espatri (e aggiunge che la domanda per l’espatrio si può inoltrare anche presso la sezione “Affari interni”).
In attesa di una legge generale da far approvare alla Volkskammer (il parlamento della DDR), l’espressione “temporaneo regolamento” era anche quella scelta per la comunicazione ufficiale alla stampa internazionale. In quei giorni a Berlino Est c’erano per la prima volta tutte le televisioni del mondo. Quella di Schabowski, da lì a poche ore, sarebbe stata la seconda conferenza stampa in presenza delle telecamere straniere.
Dopo aver dichiarato che “qualsiasi cosa facciamo, sbagliamo” (Wie wir’s machen, machen wir’s verkehrt), Egon Krenz passa la parola a Hans Joachim Hoffmann, il Ministro della cultura, che suggerisce di togliere la parola “temporaneo”, altrimenti avrebbe indotto sfiducia e paura nella popolazione, causando l’effetto opposto. Dopo una breve discussione, Krenz approva due cambiamenti: si tolgono i termini “zeitweilig” (temporaneo) e “Übergangsregelung” (regolamento sull’attraversamento del confine), e si dice:
“Fino all’entrata in vigore della legge sui viaggi che deve essere approvata dalla Volkskammer si dispone che…”
“D’accordo compagni? – Bene. Grazie. La parola a Günther Jahn” (1° Segretario del distretto della SED di Potsdam, il successivo oratore iscritto a parlare).
Nelle ore successive, si era intorno alle 17:00, nessuno degli oratori del congresso del ZK torna sulla questione. Anche se al testo mancavano le firme di più della metà dei 44 ministri, le correzioni furono trasmesse telefonicamente alla segreteria del Consiglio dei ministri.
Nel partito regnava il caos. Tutti i ministri e gli uomini chiave erano nel posto sbagliato – erano nel palazzo del Comitato centrale, da cui partivano gli ordini – e nessuno era rintracciabile al telefono. In più, intorno alle 18:00, il Ministero della giustizia negò l’approvazione al testo, creando all’interno del Consiglio dei ministri ancora più agitazione e confusione.
Chi aveva letto il testo del regolamento, come Wolfgang Petter, il vicedirettore dell’ufficio legale (Rechtsabteilung), aveva capito che esso andava ben oltre la modifica alla parte degli espatri attraverso la Cecoslovacchia.
Il decreto, occorre ricordarlo, prevedeva comunque l’entrata in vigore del regolamento per il giorno successivo. E, in ogni modo, per tutti era chiaro che i Privatreisen, i viaggi brevi, continuavano a essere collegati all’emissione del visto. Era esclusa la possibilità di viaggi immediati all’estero. Dai distaccamenti e dai posti di frontiera, dove attraverso il passaparola erano arrivate le informazioni, si chiedeva quello che c’era da aspettarsi e quando sarebbe arrivato il telex con le disposizioni. Comunicazioni ufficiali invece non ce n’erano. E il tempo passava.
La conferenza stampa
“La libertà è solo nel regno dei sogni”
Friedrich Schiller, L’inizio del nuovo secolo**
Günter Schabowski non era nella grande sala dei congressi del Comitato centrale quando Krenz leggeva alla platea il nuovo regolamento. Stava parlando con gli inviati dei giornali e delle televisioni di mezzo mondo e stava ultimando i preparativi della conferenza stampa. Si attendevano informazioni sulle decisioni emerse al congresso del ZK in corso. Il giorno precedente, all’interno del Politibüro, era stata creata la nuova funzione di segretario per la comunicazione e per questo ruolo fu scelto Schabowski.
La conferenza stampa era prevista per le 18:00, all’Internationales Pressezentrum (Centro stampa internazionale) di Mohrenstraße a Berlino. Prima di congedarsi dai colleghi del Comitato, Schabowski s’informa se ci sono novità da comunicare nell’imminente appuntamento con i giornalisti. Il neosegretario riceve da Krenz la copia del decreto del Consiglio dei ministri sul nuovo regolamento per i viaggi. Dalle ricostruzioni di Hertle, le parole che Krenz rivolge a Schabowski sembra siano state: “È una notizia mondiale”. Anche Schabowski in seguito dirà di ricordarsi qualcosa di simile: “Annuncialo. Sarà uno scoop”.
Quello che gli storici ritengono più plausibile è che Günter Schabowski, visto l’imbarazzo e la confusione con cui poi avrebbe risposto alle domande dei giornalisti durante e dopo la conferenza stampa, non aveva idea di quale fosse il contenuto del testo della legge.
Schabowski dichiarerà poi nel 1990 di aver letto il testo per la prima volta solo a telecamere accese. Due anni più tardi ha detto invece di averlo letto al buio dell’auto nel brevissimo spostamento dal palazzo del Comitato centrale al centro stampa di Mohrenstraße. Fatto sta che non ha preso sul serio lo “scoop” e ha infilato il fascicolo in mezzo alle sue carte. Poi, ha scritto su un foglio la scaletta degli argomenti per la conferenza stampa. In fondo, con l’intento di comunicarla ai giornalisti “poco prima della fine del dibattito”, appunta: “Reiseregelung” e sotto la parola “EXTRA”.
Il centro della Stampa internazionale era a pochi chilometri dal palazzo del ZK. Per la prima volta si assisteva a scene mai viste, tipo i dirigenti della SED che rispondevano in capannelli privati senza filtri e censure alle domande dei giornalisti. I primi cinquantadue minuti della conferenza risultano così noiosi che alcuni operatori tv ripongono già le telecamere. Sette minuti prima della fine, prevista per le 19:00, il giornalista italiano Riccardo Ehrman dell’agenzia ANSA prende la parola e chiede a Schabowski informazioni sulla Reisegesetz. Domanda se la legge precedente non sia stata un errore. “Sì, sì… sappiamo di questa tendenza… di questo bisogno da parte della popolazione di viaggiare o di abbandonare la DDR…”, è la risposta di Schabowski. Poi il segretario parla della necessità di ampliare le possibilità di viaggio per i cittadini della DDR, per “allentare la pressione psicologica” su di essi attraverso la legalizzazione e la semplificazione di tutta la materia. E’ un processo graduale, dice, che va fatto per gradi. La Reisegesetz non è comunque ancora in vigore.
Poi, sollevando lo sguardo, come d’intesa, Schabowski conclude la sua risposta a Ehrman con le seguenti parole:
«Comunque, per quanto ne so, oggi è stata presa una decisione. È stata recepita una raccomandazione del Politbüro, che suggerisce di stralciare dal progetto generale della Reisegesetz il passo relativo agli espatri… sì, quelli che vogliono abbandonare la Repubblica, per farlo entrare subito in vigore. Riteniamo inaccettabile che questo movimento (dei profughi n.d.r) si realizzi attraverso Stati a cui ci lega un’amicizia e che non vogliamo mettere in difficoltà. (Si riferisce alle tensioni con la Cecoslovacchia) …».
E poi, le famose parole:
«…e quindi … eh… oggi abbiamo deciso di adottare un regolamento che permette…eh…a ogni cittadino di uscire dalla DDR attraverso i punti di passaggio alla frontiera» (Hertle, 142).
Nella sala stampa si alza un brusio, e poi una domanda: “E questo sarebbe a partire…?”. Riccardo Ehrman poi chiede: “Senza passaporto? Senza passaporto?”. Altre domande: “Quando entra in vigore?”. L’imbarazzo di Schabowski è visibile. Si gratta la testa, sfoglia fra le sue carte e poi dice:
“Compagni, mi è stato riferito che questa notizia è stata diffusa oggi; dovrebbe essere anche in vostro possesso. Viaggi privati all’estero possono essere richiesti senza necessità di presentare i requisiti (causa del viaggio o rapporti di parentela) … Gli uffici responsabili “Anagrafe e passaporti” dei distretti della Volkspolizei sono tenuti a rilasciare immediatamente i visti per gli espatri”.
Ehrman domanda ancora se è necessario il passaporto. Schabowski ammette che sulla questione del passaporto non sa rispondere. Dice che è una domanda tecnica, che non sa. Poi viene chiesto nuovamente quando la nuova normativa entra in vigore.
Schabowski: «A quanto ne so, (sfoglia le carte) subito, da ora» (Hertle, 144).
Mentre già alcuni giornalisti lasciano rapidamente la sala stampa per andare a confezionare la notizia bomba, qualcuno chiede: «Signor Schabowski, cosa ne sarà del Muro di Berlino?».
Epilogo
Alle 19:00, dopo la conclusione della conferenza stampa, una squadra di reporter di RIAS-TV, la televisione del settore di occupazione americano, insegue Schabowski nel corridoio. Gli chiedono se ora si aspetta un’ondata di fuga dalla DDR. “Spero proprio che non si arrivi a questo”. Dalle testimonianze raccolte da Hans-Hermann Hertle, si viene a sapere che il capo reporter della televisione americana NBC, Tom Brokaw, è riuscito a fissare un’intervista con Schabowski, senza avere il minimo sentore degli eventi, subito dopo il termine della conferenza stampa. Brokaw dice che da quello che aveva tradotto in inglese l’interprete, con frasi spezzettate e mozzate, lui aveva capito che il confine era aperto.
Durante l’intervista, Brokaw e i suoi colleghi rimangono esterrefatti perché Schabowski è in evidente difficoltà. Improvvisa le risposte ed è insicuro.
“Brokaw: Mister Schabowski, capisco bene? I cittadini possono lasciare la DDR e passare attraverso qualsiasi checkpoint. Non devono più passare attraverso un terzo Paese.
Schabowski: Non sono più tenuti a lasciare la DDR transitando attraverso un altro Paese.
Brokaw: Ed è possibile per loro, a un certo punto, anche oltrepassare il Muro…
Schabowski: È possibile attraversare il confine.
Brokaw: Libertà di viaggiare.
Schabowski: Sì. Naturalmente. Non è una questione di turismo, è la libertà di lasciare la DDR” (Hertle, 146-147).
In piena confusione, Schabowski riconosce da un lato che il nuovo regolamento prevede libertà di viaggiare, nello stesso tempo afferma però che “non si tratta di turismo, ma soltanto del permesso di lasciare la DDR, cioè gli espatri”.
Si era passati dal far entrare in vigore un regolamento relativo ad una parte di legge, fatta soprattutto per allentare le tensioni con la Cecoslovacchia, come aveva detto Krenz al ZK poche ore prima, all’annuncio di Schabowski che per ogni cittadino della DDR era possibile uscire dal Paese attraverso i varchi di frontiera. Da parte dei piani superiori però non veniva nessuna indicazione. Anche i media ufficiali della DDR si trincerarono dietro il silenzio, fino alle 2:00 del 10 novembre.
Un ruolo importante, naturalmente, lo svolsero i media. Alle 19:03, l’agenzia Reuters, seguita dalla DPA, Deutsche Presseagentur (Agenzia stampa tedesca) alle 19:04, evidenziarono le parole usate da Schabowski, secondo le quali “ogni cittadino era libero di uscire dalla DDR attraverso i punti di passaggio alla frontiera”. L’AP, l’Associated Press, calcò decisamente la mano e alle 19:05 diffuse la notizia che “la DDR, secondo quello che ha detto il membro del Politbüro della SED, Günter Schabowski, apre le frontiere”.Günter Pötschke, membro del ZK e direttore generale della ADN, l’agenzia di stampa statale, che segue in diretta la conferenza in tv, dichiarerà: “Ho pensato: non vedo e non sento bene!”. Il commento meno offensivo è stato: “Ma è impazzito!”.
Alcuni cittadini, pochi minuti dopo le 19:00, sono già agli sportelli delle stazioni ferroviarie di Lipsia e Altenburg, in Turingia, e reclamano dagli attoniti impiegati il visto sul passaporto e un biglietto per la BRD.
Le parole dell’ufficiale di polizia, generale Karl-Heinz Wagner, possono aiutarci a capire meglio cosa successe in quella notte di gioia e di grandi emozioni. Snervato dalle continue telefonate che riceveva, Wagner dirà che nelle numerose conversazioni intrattenute quella notte, non si è mai parlato di un ordine per l’apertura del Muro. “Se è caduto, è stato per la pressione della gente”.
Il Muro di Berlino era alto fino a 3,60 metri, aveva una lunghezza totale di 156 chilometri, 43 dei quali all’interno della città. Disponeva di 186 torri di avvistamento, centinaia di cani da guardia che sorvegliavano giorno e notte la Grenzstreife, il lembo di terra conosciuto come “striscia della morte”.
La linea di confine interna alle due Germanie, innerdeutsche Grenze, correva invece per quasi 1400 chilometri.
Su quante siano state veramente le vittime del Muro i numeri oscillano. Le cifre del Leibniz-Zentrum di ricerca di storia contemporanea, insieme alla fondazione Berliner Mauer, parlano di 140 morti, di cui 101 cittadini DDR uccisi nel tentativo di fuga e 30 vittime – sia dell’est che dell’ovest – che invece non avevano intenzione di scappare, ma a cui è stato sparato perché si trovavano nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Ad essi, vanno aggiunti gli otto soldati di frontiera tedeschi morti in servizio.
Fra le vittime del Muro non sono compresi coloro che sono deceduti per cause naturali – principalmente per attacco di cuore – durante o dopo i controlli ai posti di frontiera. Sono noti 251 casi.
Ivano Talamo è un artista e illustratore italiano che vive a Zurigo.
Usa l’illustrazione e il fumetto per osservare e interpretare la realtà e ama raccontare le sue storie attraverso il filtro delle scienze sociali e naturali.
Quando disegna sogna spesso il mare.
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Bibliografia
H. Bahrmann-C. Links, Chronik der Wende, Berlin, Links, 1999.
Armin Fuhrer, Von Diktatur keine Spur? München, Olzog Verlag, 2009.
Hans-Hermann Hertle, Chronik des Mauerfalls, Berlin, Links 12°ed., 2009.
Ilko-Sascha Kowalczuk, Die 101 wichtigsten Fragen, DDR, München, Verlag C.H. Beck, 2009.
Ploetz, Die DDR Daten, Fakten, Analysen, Freiburg, 2004.
Stefan Wolle, Die heile Welt der Diktatur, Bonn, Bundeszentrale für politische Bildung, 1998.
Dokumentation, Der Fall der Mauer, Hamburg, Spiegel TV Nr. 9, 2007.
* Risvolto di copertina di: La dissoluzione dell’URSS, Grandangolo N° 40, Corriere della Sera.
**Enciclopedia Garzanti “Aforismi e citazioni”.
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