Nell’aula, al piano terra di Krossener strasse 27, il termosifone non funziona. Le finestre, lasciate leggermente socchiuse, lasciano entrare le voci e i colori del mercato di Boxhagener Platz che si mescolano con l’odore di aria gelida che ha il secondo fine settimana di febbraio a Berlino. Mi rendo immediatamente conto che l’invito a portare con sé una coperta non è stato dettato da un eccesso di premura, ma dalla necessità; stamattina il termometro fuori dalla mia finestra segnava meno due gradi, e nella stanza la temperatura sembra la stessa.
Alle dieci del mattino l’ Hebammenpraxis Bauchgefühl comincia ad accogliere le sue ospiti, nove ragazze che riescono a malapena a sfilarsi le scarpe e che, una volta tolta la giacca, mostrano fiere il loro pancione. Generalmente viene consigliato di prendere parte ad un corso pre parto durante l’ultimo trimestre di gravidanza, quindi le nostre pance sono già molto pronunciate. Prendervi parte prima sarebbe poco produttivo dato che il pensiero del parto è ancora lontano. Ma più i mesi passano più diventa un pensiero fisso e alquanto inquietante.
Un appuntamento con il salto nel buio che cambierà per sempre la vita.
Io sono entrata da pochissimo nel nono mese di gravidanza. Anche se la gravidanza si divide in settimane, non in mesi. Perciò succede spesso che se si chiede ad una donna in stato interessante a quanti mesi è questa, quasi offesa, risponda che è a una certa settimana e non ad un dato mese. Questo non è il mio caso. Io non ho ancora imparato bene la questione delle settimane, perciò a me succede esattamente il contrario: quando mi domandano a che settimana sono faccio una gran confusione, attirando sguardi e critiche.
Ci sediamo per terra, su tappeti da ginnastica verdi, ognuna intenta ad osservare le pance altrui.
Siamo nove, ma in realtà siamo diciotto.
L’insegnante entra nella stanza dopo di noi: una ragazza poco più che trentenne, avvolta in un’enorme sciarpa bianca. La sua magrezza stona con i nostri corpi, tondi e affaticati dai chili accumulati durante questi lunghi mesi. Lei è una Hebamme, ossia lavora come ostetrica.
In Germania ogni donna in gravidanza ha diritto al servizio di un’ostetrica, sia durante la gravidanza sia nel periodo successivo. Il servizio è interamente pagato dalla Krankenkasse, l’assicurazione sanitaria tedesca. È utile soprattutto nelle prime settimane successive al parto, quando l’Hebamme si reca a casa ad aiutare la neo mamma. E, dato che la cultura dell’allattamento al seno è, in Germania, fortemente incentivata, vengono forniti così aiuto e consigli di tipo professionale. Per i primi sei mesi di vita del neonato l’ostetrica aiuterà le mamme, alle prese con le difficoltà dell’allattamento e della gestione del neonato.
Ho imparato a mie spese che le ostetriche a Berlino non sono molte, nonostante siano molto richieste. Ho cominciato a cercarne una attorno al quinto mese di gravidanza, quando i difficili primi tre mesi erano passati e le ecografie del mio utero mostravano la presenza di un gamberetto sempre più simile ad un bambino. Ho escluso a priori le ostetriche italiane, così rare e richieste a Berlino da assomigliare più a figure mitologiche che persone reali. Ho una discreta conoscenza del tedesco, perciò mi sono recata nella Praxis più vicina a casa mia, convinta di trovare una Hebamme quel pomeriggio stesso. Ho capito che non sarebbe stato così quando una ragazza affianco a me mi ha raccontato di essere anche lei incinta, di dieci settimane, ma di essere già stressata dall’estenuante ricerca dell’ostetrica. Ho compilato i moduli per la richiesta anche se la segretaria, con uno sguardo alla mia pancia già sporgente, mi ha gentilmente confidato che non ci sarebbero state molte possibilità di trovare un’ostetrica disponibile.
“La prossima volta è meglio se viene prima” mi ha detto.
Un altro fattore a cui prestare attenzione nella ricerca della Hebamme è la zona dove si vive: spesso acconsentono di prendere in cura una donna solo se abita in un ristretto raggio di chilometri dalla loro abitazione. Credo sia una questione di praticità, dato che, alla minima difficoltà di una neo mamma, le ostetriche devono essere facilmente reperibili e raggiungere rapidamente l’abitazione. Questo però, rende la ricerca ancora più complessa.
Una Hebamme l’ho trovata, alla fine. Si chiama Birte e ha dieci anni meno di me. Non sono sicura che abbia molta esperienza lavorativa, ma anche se avesse visto anche solo un neonato, ne saprebbe comunque molto più di me. Ha uno sguardo solare e felice. L’ultima volta che l’ho vista ha sentito la posizione della bambina con le mani. Ha chiarito il mio dubbio se, a calciare il mio fianco sinistro, fossero mani o piedi. Sono piedi.
L’ostetrica che oggi sta conducendo il corso, si chiama Kathinka e ha gli occhi meno sognanti di quelli di Birte. Ci dice che è anche infermiera pediatrica, attualmente lavora di meno perché ha in programma di mettere su famiglia con il suo compagno. Ci dice che è molto raffreddata e spera di avere abbastanza voce per l’intera durata del corso.
Visto che questo ce lo ripeterà almeno cinque volte, posso garantire che di voce ne ha avuta.
A turno ci presentiamo noi ragazze. Sono quasi tutte della mia età, anche più grandi, al primo figlio. Solo una ragazza aspetta il secondo, mentre un’altra racconta che la sua prima gravidanza non è andata a buon fine e che ha perso il suo primo bambino. Anche se Kathinka la ringrazia per aver condiviso con noi la sua esperienza, sto già cancellando le sue parole dalla mia mente. La gravidanza è già così piena di dubbi e paure che le esperienze negative, semplicemente, non le voglio ascoltare.
Kathinka non ci chiede a che punto della gravidanza ci troviamo e nemmeno se conosciamo il sesso del nascituro o se abbiamo scelto già il nome. Così le presentazioni restano molto neutre, e mi lascia nel dubbio di non poter essere davvero in grado di conoscere le altre ragazze.
Avrei voluto raccontare a tutte che aspetto una bambina, anche se all’inizio ci avevano detto che era un maschietto. Il dottore ne era così certo che mi aveva chiesto come si traduceva in italiano l’organo sessuale maschile. In meno di cinque minuti, tutti i presenti nella stanza urlavano a gran voce: “ist ein pene, ist ein pene”. In realtà, a quindici settimane é molto presto per definire il sesso e, infatti, quello che Leonardo, il mio compagno, mostrava fiero nelle ecografie da pene era diventato una vagina. Il risultato è che mezzo guardaroba è interamente di colore azzurro; “poco male” ha commentato Leonardo “diremo a tutti che è della Lazio”.
Le prime tre ore del corso si svolgono solo per noi ragazze, dopo pranzo invece ci raggiungeranno i rispettivi compagni. La Krankenkasse non copre i costi per loro quindi dovranno pagare circa ottanta euro per poter partecipare.
Kathinka, approfittando delle sole presenze femminili, comincia a trattare gli argomenti che considera più imbarazzanti, consigliandoci di preparare il perineo con olio e massaggi. Ci illustra anche che tipo di olio utilizzare anche se, rivolta a me dice “sono sicura che tu userai olio d’oliva, perché le italiane lo usano per tutto” provocando nella stanza una risata generale. Sarà, ma io l’olio della latta da tre litri arrivato nell’ultimo pacco dalla Calabria non avrei mai pensato di utilizzarlo in questa maniera.
Seguire il corso in tedesco devo ammettere che non è facile, inoltre l’ostetrica parla molto velocemente. Alcune parole però, le avevo già sentite durante il corso di yoga.
Nei mesi precedenti ho infatti preso parte ad un corso di yoga specifico per la gravidanza alla Volkshochschule di Pankow, la scuola più economica di tutta Berlino. L’aula, con vista sulla trafficata Prenzlauer Allee, si trova allo stesso piano dove è possibile iscriversi ai corsi di tedesco. Capitava così che, spesso, le tecniche di rilassamento yoga venivano interrotte dal suono metallico del numerino che, cambiando, chiamava lo studente successivo all’iscrizione. Durante le lezioni l’insegnante ci faceva allenare il Beckenboden, ossia i muscoli interni del pavimento pelvico, la cui elasticità sembra favorire il parto naturale. La parola Beckenboden, ovviamente non la conoscevo, ma anche dopo la sua traduzione in italiano, devo dire di aver avuto comunque difficoltà a capire cosa fosse. Essendo muscolatura interna, mi risultava inutile guardare le altre ragazze per copiare l’esercizio, così restavo ferma in silenzio aspettando che l’esercizio terminasse.
Una ragazza tedesca che ho conosciuto alle lezioni di yoga è venuta con me al corso preparto. Si chiama Maxi e, anche se il suo bambino deve nascere appena una settimana dopo la mia, la sua pancia é poco più che pronunciata e le consente di mantenere un fisico asciutto e atletico. Le altre ragazze, invece, di chili ne hanno presi a sufficienza. Me ne accorgo mentre ci alziamo per la pausa e, dirigendoci tutte verso l’uscita, l’andatura generale risulta simile alla marcia dei pinguini verso il mare.
Quando torno alla Praxis, dopo aver mangiato di fretta una zuppa di lenticchie al mercato di Boxhagener Platz, ed essermene fatta cadere una cucchiaiata sulla giacca, le mie compagne sono già entrate. I rispettivi fidanzati, mariti, o compagni le hanno raggiunte e si sono stretti a terra vicino a loro. Alcuni hanno lo sguardo assonnato, altri abbracciano premurosi la propria compagna, altri invece sembrano spaventati. Nemmeno il tempo di sederci che Kathinka, dopo una breve presentazione, ci invita a camminare alla rinfusa nella stanza per andare poi a formare tre gruppi. A quanto capiamo i gruppi si dividono in base all’emozione che si prova al pensiero del parto. Chi è cuore, chi cervello, chi sistema nervoso. Io mi ritrovo sistema nervoso, Leonardo è cervello, ma non appena ci guardiamo ci viene da ridere, nessuno dei due aveva capito cosa dovessimo fare e ci siamo sistemati semplicemente a caso.
Il primo giorno di corso è dedicato completamente alla Wochenbett, ossia la settimana successiva al parto, dove le donne restano per lo più a letto per riprendersi dalle fatiche del travaglio e cominciare a creare un legame con il proprio neonato. Kathinka ci invita a restare sdraiate almeno una settimana, ci ricorda che dovremo mangiare sufficientemente e che quindi dovremo, durante le prossime settimane, previdentemente congelare delle porzioni di cibo in modo da poterci poi nutrire di quello. Ci ricorda, inoltre, che è meglio avere poche visite al giorno, e di non riempire la casa di parenti.
Tra le due famiglie e i vari amici che vogliono essere presenti alla nascita, stiamo seriamente valutando la necessità di prenotare un intero albergo per sistemarli tutti. E, considerando che l’ultima volta che mia madre è venuta a trovarmi ha portato con sé la pentola a pressione e ha cominciato a cucinare alle sette di mattina, credo che anche il pericolo di non avere cibo a sufficienza, sia per me scongiurato.
Dovrò piuttosto preoccuparmi di far capire alle infermiere della sala parto la necessità di far indossare alla neonata la camicia della fortuna rossa come primo indumento. Un portafortuna quasi dato per scontato in Italia, ma la quale importanza sarà difficile da far capire ai poco scaramantici tedeschi.
Leonardo non ha ancora trovato una posizione che lo faccia stare comodo, ogni tanto lo sento brontolare e spesso, non capendo tutto ciò che Kathinka dice, ci troviamo immersi nei nostri pensieri. D’improvviso, dopo averci fatto vedere coppette assorbilatte e assicurato che le prime settimane avremo paura di restare da soli con i neonati, senza un preciso motivo Kathinka ci invita ad alzarci e ballare “vieni via con me” di Paolo Conte.
Il pomeriggio volge al termine, le gambe mi fanno male e devo ammettere di essere più che felice di poterle sgranchire passeggiando verso casa.
La mattina seguente, mentre andiamo al corso, sento addosso la sensazione di quando si andava controvoglia a scuola di sabato. L’aula è ancora più fredda, ma questa volta siamo armati di una coperta più pesante e calzettoni di lana. Uno dei fidanzati approfitta dei suoi cinque minuti di anticipo per schiacciare un pisolino mentre la ragazza gli prepara una tazza di caffè da bere al suo risveglio. Kathinka arriva puntuale; non curante della temperatura è vestita di meno e non ha nemmeno la sciarpa bianca ad avvolgerla. Oggi si parla del parto, ciò che tutte temiamo di più ma che ci rifiutiamo di ammettere. Kathinka ci spiega come saranno le contrazioni e quando recarci in ospedale, per rendere le immagini più vive infila una bambola con attaccata della placenta di stoffa nel bacino finto di uno scheletro e inizia a spingerla verso il basso. Ci invita a non chiamare l’ambulanza, a meno che non sia realmente un’emergenza. Dice che i sanitari non sono autorizzati a farci scendere le scale di casa, per la possibilità di indurre il parto, e che possa quindi accadere che ci debbano calare dal balcone con il braccio elevatore dei pompieri. E, anche se la mia vecchia vicina di casa mi ringrazierebbe per offrirle un diversivo alla televisione, non vorrei aggiungere questo particolare grottesco al mio parto.
La clinica dove partorire l’ho dovuta scegliere già da qualche mese.
La maternità in Germania si può riassumere in due liste: cosa fare prima e cosa fare dopo il parto. Non è una metafora, sono veramente due liste. Durante il mio quinto mese di gravidanza, una volta comunicato ad amici e parenti la notizia e dopo essermi abituata io stessa all’idea di diventare mamma, ho cominciato ad informarmi sui documenti necessari per partorire qui in Germania. E, dato che ho lasciato il mio lavoro esattamente dieci giorni prima di scoprire di essere incinta, ho avuto molto tempo da dedicare agli uffici berlinesi. In ogni quartiere esistono delle associazioni che aiutano le donne in stato interessante, soprattutto straniere, a gestire la complessa burocrazia tedesca. Io mi sono recata all’associazione Albatros di Bersarinplatz, dove, tra l’altro, mi hanno consegnato le due liste. Inutile dire che non avevo ancora provveduto a fare nulla. Andava scelta in fretta una clinica dove partorire, poiché alcune hanno addirittura bisogno di una prenotazione da effettuare nei mesi precedenti. Veniva consigliato di prendere parte alle serate informative dei vari ospedali di Berlino, in cui i primari di ginecologia e le ostetriche spiegavano ai futuri genitori come sarebbe stato partorire nella loro clinica.
Così io e Leonardo ci siamo messi all’opera. La prima serata informativa a cui abbiamo preso parte è stata al Vivantes Klinikum di Friedrichshain. Ma dato che non volevo essere da meno di alcune ragazze che avevo visto riempire un quaderno di appunti e annotare le differenze tra diverse strutture ospedaliere, la settimana successiva sono andata a sentire la presentazione del Sana Klinikum di Lichtenberg. Almeno avrei potuto dire di aver valutato diverse opzioni. In realtà io avevo già scelto la struttura di Friedrichshain. Non perché mi avessero rapito le parole dei medici o le immagini della sala parto, ma semplicemente perché era vicino a casa e mi sembrava confortevole.
La rigida e a volte poco flessibile burocrazia tedesca mi ha però permesso di rimanere con i piedi per terra durante questi mesi in cui, mentre il mio corpo cambiava, cambiava anche la mia mente, mutavano i miei pensieri, svanivano le mie certezze e le aumentavano mie paure. Forse sono rimasta in piedi attaccandomi alle scadenze fiscali e all’organizzazione burocratica. Forse. Perché in realtà posso passare intere giornata con le mani sulla pancia, semplicemente a sentire i suoi piedi calciare verso il mio stomaco. Ascoltare musica distesa sul divano senza pensare a nulla, ridendo ogni volta che i suoi movimenti si fanno più intensi ascoltando una canzone che le piace. Sono le voci femminili quelle che la fanno ballare di più.
Anche il corso preparto era segnato nella lista. Quindi, anche se io e Leonardo stavamo capendo la metà di ciò che Kathinka diceva, era importante prendervi parte.
A casa avevo già tradotto le parole chiave, come “rottura delle acque” o “tappo mucoso” e me le ero segnate in un quaderno. Leonardo non le aveva mai sentite, e nemmeno ne conosceva il significato. Sentirle in tedesco ci ha così confusi che quando siamo tornati a casa abbiamo cercato in internet dei tutorial che ci spiegassero meglio. Spesso, durante la gravidanza, mi sono rivolta a Google come ad una fonte di conoscenza. Ho confidato di più nei video del canale “Qui-mamme” di youtube che in altro. Ho avuto voglia di correre nel primo negozio Chicco e uscirne piena di cose, non perché necessarie, ma semplicemente per poter placare con gli oggetti la sensazione di non sapere cosa fare.
Kathinka ci spiega, con un’appropriata immagine tedesca, che quando le acque si romperanno, la quantità sarà la stessa di un bicchiere di birra piccolo, con schiuma. Poi ci invita ad alzarci, le ragazze si sistemano davanti al proprio partner; dobbiamo lasciarci cadere sul compagno, metà sala urlerà la lettera A e l’altra metà la lettera O. Ne esce un coro sconnesso, chi urla a gran voce, chi tiene solamente la bocca aperta, ma non emette suono. Finito l’esercizio torna a parlarci delle contrazioni e delle loro differenze durante le varie fasi del travaglio. Questa volta è Kathinka ad alzarsi in piedi: si appoggia al muro ed inizia ad urlare. Un urlo sordo e profondo che getta nel terrore l’intera sala. “Questo succederà nella fase espulsiva” dice. “Dovete usare la voce per stemperare il dolore” dice ancora, riprendendo fiato. Leonardo mi guarda impaurito; vorrei potergli promettere che non urlerò in quel modo, ma soprattutto vorrei che qualcuno potesse prometterlo a me.
Kathinka afferra la bambola che ha spinto dentro il bacino dello scheletro. Mimando la fase espulsiva la spinge su e giù e ci mostra che prima o poi la testa dovrà scendere, si girerà e potrà finalmente uscire. Almeno questo è quello che succede alla bambola nello scheletro.
L’ultima parte del corso Kathinka la vuole dedicare al rilassamento. Ci invita a sdraiarci, chiude le tapparelle e spegne la lampada gialla che illuminava la stanza. Una coppia preferisce uscire perché hanno troppo freddo per restare nella stanza. In effetti ho le mani gelate, Leonardo è immobile sotto la coperta, un po’ per la paura un po’ per il freddo. Cerco di sdraiarmi e, abbandonata anche l’ultima comodità che mi dava il cuscino dietro la schiena, mi stringo nella coperta, lasciando che la musica sovrasti le urla che ancora sento nella mia mente. Pensavo che prendere parte al corso mi avrebbe tranquillizzato, che mi avrebbe insegnato cosa fare e come farlo. Invece, mentre usciamo dalla Praxis, provo una sensazione quasi di liberazione. Le altre ragazze corrono subito via, io saluto Maxi e le chiedo se adesso si sente più pronta per il parto. Ridiamo conoscendo la risposta e ci salutiamo.
Spesso molte ragazze si lamentano che negli ultimi mesi di gravidanza sia difficile dormire la notte a causa dei movimenti, sempre più forti del feto. In realtà io non ho mai avuto grosse difficoltà; se la mia pancia comincia a sussultare per i calci, un bicchiere di latte caldo mi ha sempre aiutato a calmare entrambe. La notte dopo il corso, invece, sono rimasta sveglia per molte ore. Il primo bicchiere di latte non è servito. Nemmeno il secondo. Ma, anche se nella mia mente scorrevano le parole e le immagini del corso preparto, forse, non è stata questo a tenermi sveglia tutta la notte. Non è colpa di Kathinka e delle sue urla, non è stata la ventosa che che ci ha fatto vedere, non sono le parole “tappo mucoso” o “sacco amniotico” ad aver tenuto i miei occhi sbarrati nel buio.
Forse è solamente l’aver preso coscienza che non importa quanto io mi possa preparare, quante parole possa tradurre, quanti corsi possa frequentare o quanti tutorial su youtube possa vedere. Nessuno potrà mai davvero spiegarmi quanto sia intenso il dolore del parto e quanto sia potente la sensazione di stringere la propria figlia tra le braccia. Sarò sempre impreparata a ciò che mi aspetta.
E mentre la notte finisce capisco che tra noi due, quella davvero pronta è lei. Ha le orecchie, le unghie e le ciglia. Forse ha tanti capelli, forse gli occhi scuri del papà o chiari come i miei. Lei è più pronta di me e sarà lei a decidere per entrambe. Non mi aspetterà, lo farà e basta. Il mio compito allora non è prepararmi nei minimi dettagli a ciò che succederà, ma sarà lasciare dietro di me le liste, le parole e i corsi.
Sarà essere coraggiosa e saltare nel buio, così come sarà coraggiosa lei.
E verrà al mondo.
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