La soglia fra il luogo degli spirits e il luogo della quotidianità è una linea invisibile, il cui punto di riferimento concreto è una ciotola posta sul lato di un viottolo dove arde salvia bianca, profumata, purificatrice. Occorre sostare, raccogliersi, essere consapevoli che si sta entrando in un luogo sacro. O che se ne esce. Reiner, un uomo grande, con una camicia rossa, capelli lunghi raccolti a coda di cavallo, uno sguardo gentile e aperto, come quello dei suoi compagni della Germania, mi avverte dell’importanza della topografia del luogo in cui mi trovo. Al di qua, nell’area profana della quotidianità, si mangia, si parla, ci si riposa. Oltre la linea della salvia si è invece nel Sacro Luogo dello Spirito di Madre Terra. Si entra in un’altra topografia, quella degli spirits, dello Zwischenwelt, del mondo di mezzo.
Davanti si apre una vasta radura, che gli uomini hanno lavorato accuratamente nei giorni precedenti, una settimana per la precisione. Sulla destra l’occhio è subito attratto da un enorme tipi, la tenda conica degli indiani d’America, che serve per le assemblee degli uomini e donne dell’elementar-Kreise. È il nome di un’associazione – ma non è questo in verità il termine adatto – con sede a Norimberga, il cui mentore e promotore è Hugo-Bert Eichmüller, psicoterapeuta, sciamano, allievo di Wallace Black Elk, il medicinman dei Lakota, uno dei gruppi appartenenti alla tribù Sioux dei nativi americani. Hugo avverte di fare attenzione quando si usa un termine come sciamano, che sfugge ad ogni definizione precisa: “Se dico che sono uno sciamano, subito mi sento affibbiare un’etichetta. Quello che faccio è più che sciamanesimo: è guarigione per Mutter Erde, (madre terra). Mi definisco come un uomo che si sente legato all’essenziale, all’elementare, e che prende su di sé la responsabilità di viaggiare e accompagnare gli uomini in altre dimensioni della realtà”, mi dice Hugo. Insieme ad altri, nel 1998, ha creato in questi 23 ettari di terreno nel fondovalle del paesino medievale di Cana, nella Maremma toscana, un posto unico, pieno di energia e di rispetto per Madre Terra e per tutti gli organismi che vi vivono, dalle piante alle pietre. “È il nostro Eden”, dice Hugo. “In cui noi vogliamo vivere ed educare i nostri stili di vita come quelli di una stirpe di ‘custodi della terra’, che vive in comunità, in cerchio e in armonia con il mondo visibile e meno visibile”, si legge nel denso sito dell’elementar-Kreise.
Visibile davanti a me, oltre il grande tipi sulla destra, si profila l’arbor, con lo spiazzo sacro a forma di quadrato dove si svolge la Visionstanz, la danza visionaria. È lungo circa dieci metri di lato ed è stato anch’esso accuratamente spianato e ripulito. È situato nella parte occidentale dell’intera area perché in naturale orientamento con la direzione di rotazione della terra. Il perimetro è delimitato da cordicelle con appesi numerosi pezzetti di stoffa di diversi colori, ma che si ripetono regolarmente. Al centro, il Lebensbaum, l’albero della vita, sulla cui cima sta appollaiata un’aquila imbalsamata. Ai vertici, quattro grossi pali di legno: “Stanno per i quattro elementi, acqua, fuoco, aria e terra, o natura, o fecondità”, mi spiega ancora Hugo. Sopra i pali, quattro aquile, questa volta di legno, che, dice Hugo, rappresentano la coscienza dei singoli elementi. “Le energie di queste coscienze si incontrano nel centro e tu puoi pregare e danzare per quello che veramente vuoi. Per quattro giorni”. Alla base dei quattro pali si notano delle piccole vaschette contenenti il cibo per the spirits: “Uva, mais e pancetta”, mi racconta la mia amica Federica, colei che mi ha fatto conoscere Hugo-Bert Eichmüller. Per quindici giorni Federica si occuperà, insieme a Phillip, il suo compagno musicista sudafricano, di rendere felici i palati e gli stomaci di questa comunità di persone.
Barbara, Annika, Lars, Uwe, Inge, Reiner, Thobias sono solo alcune delle circa sessanta persone, tra uomini, donne e bambini, che per alcune settimane hanno abitato questo angolo sperduto della Toscana. Provengono da varie parti della Germania: dalla Saarland, dalla Baviera, dallo Schleswig Holstein, dall’Algovia. Si sono ritrovati in un lembo di terra nel mezzo della folta e selvaggia vegetazione della Maremma orientale, a Cana, frazione del comune di Roccalbegna, nell’alta valle del fiume Albegna, alle pendici del Monte Amiata. Dallo spopolato paesino medievale a circa 40 chilometri ad est di Grosseto occorre fare, in discreta pendenza, quasi 4 chilometri di stradine sterrate e accidentate per arrivare al Biotop der Menschlichkeit, lo ‘Spazio vitale dell’umanità’ (dal gr. -βίος, «che vive» e τόπος, «luogo»), il posto dove ogni anno dal 1998 Hugo-Bert Eichmüller, di Fürth, vicino a Norimberga, guida e accompagna uomini e donne nella Visionstanz: quattro giorni e quattro notti di danze, in cerchio, di estasi e preghiera per madre terra e tutte le sue creature. Con la Visionstanz, che è il clou annuale dell’elementar-Kreise, ‘si oltrepassa la soglia che conduce dall’esistenza materiale a quella spirituale’.
Deve esserci, in questa regione un po’ sconosciuta della Toscana meridionale, qualcosa di speciale e propizio per il mondo spirituale e immateriale
Cana è a 480 metri sul livello del mare ma qui, dopo la discesa, si è più o meno a livello zero e il sole implacabile e l’assenza di vento rendono l’aria immobile e pesante. Le cicale friniscono rumorosamente nella folta vegetazione, che è ricca e variegata: alberi da frutto selvatici, vecchie querce e grandi lecci offrono riparo agli arbusti legnosi di cisto e lentisco. Cespugli impenetrabili di prunus spinosa, il prugnolo selvatico, mettono in mostra le chiome ricche di bacche. Tutta la regione circostante, con fiumi, torrenti e sorgenti naturali che scaturiscono da ogni parte, è abitata fin dai tempi della preistoria (punte di lancia e di freccia dell’età paleolitica sono state rinvenute nei dintorni di Cana) e gli Etruschi vi si stanziarono intorno al IX sec. a. C. Deve esserci, in questa regione un po’ sconosciuta della Toscana meridionale, qualcosa di speciale e propizio per il mondo spirituale e immateriale, se è vero che nelle vicinanze, nell’area del Monte Labbro, una montagna a sud del Monte Amiata, si trova dal 1981 il centro tibetano di Merigar West, con il suo importante tempio. Il Monte Labbro è noto inoltre per avere visto la nascita del giurisdavidismo, il movimento cattolico di riforma religiosa fondato dal predicatore Davide Lazzeretti, chiamato il Cristo dell’Amiata per il suo visionarismo, negli anni settanta dell’800.
IMPATTO
“Quando the spirits ti chiamano è come l’amore: o ti fa disperare o ti eleva all’assoluto”, mi racconta Hugo-Bert Eichmüller, all’interno della sua Volkswagen Tuareg. Hugo mi invita ad accompagnarlo a Roccalbegna, per riempire alla fonte d’acqua le numerose taniche e bidoni che stanno sul carrello agganciato alla sua Tuareg. Ha lunghi capelli bianchi che svolazzano ribelli nel vento pomeridiano. Non è molto alto, Hugo-Bert Eichmüller, e ha un corpo robusto e abbronzato. Indossa una camicia a quadri e pantaloni da trekking. Ai piedi dei comodi sandali. Intorno al collo un cordoncino, in cui è infilato un amuleto indiano: un’aquila. Sul sedile posteriore dell’auto siede Tim, un ragazzo taciturno di 15 anni. “Vuoi sapere quello che succede nella Visionstanz?”, mi domanda Hugo, sulla via del ritorno verso il campo, dopo aver riempito quasi tutto il carrello con le taniche d’acqua. “Quando era Tim? Nel 2008?”. Tim conferma, era nel 2008. Pochi mesi prima il padre di Tim era scomparso in seguito ad una malattia. “Faceva l’elicotterista”, mi racconta Hugo, “e Tim era triste, stava molto male. Allora l’ho invitato a partecipare alla Visionstanz e durante uno dei quattro giorni di danza, ad un certo punto, sopra di noi, a nemmeno dieci metri di altezza, è apparso un elicottero. Se ne è stato lì, per un po’, alzando un polverone inverosimile. Un casino! E poi, come è venuto, se ne è andato. Capisci cos’è una visione? Non è un’allucinazione, non è che vediamo qualcosa che non esiste. Es ist empirische Vision, visione concreta, reale”. Non faccio una piega e non dico niente. Mi metto a scartare una scatola di gelati che Hugo ha appena comprato in un mini market del paese. Bisogna mangiarli velocemente, altrimenti si squagliano. Saranno forse le curve, forse il gelato, o forse l’emozione di trovarmi di fronte a qualcosa che so già mi risulterà difficile comprendere, ma una leggera nausea mi pervade lo stomaco. “Per Tim era importante sapere che suo padre non si era polverizzato”, conclude Hugo.
VISIONSTANZ
Quando arrivo all’arbor, due uomini si sostengono a vicenda grazie a dei cordoncini di stoffa rossa intrecciati ad arte intorno ai polsi. Si spostano freneticamente a cerchio intorno all’albero, nel mezzo preciso del quadrato. Sono a torso nudo, con addosso solo il tipico gonnellino dei pellerossa e dei mocassini. Intorno alla testa una fascia rossa a stringere un semplice pezzo di stoffa bianco, per proteggersi un po’ dal sole. Otto uomini, sotto una tettoia e con le spalle al sole rovente, leggermente in declino verso occidente, producono con tamburi e shaker un ritmo incalzante, frenetico. Nel quadrilatero sacro, apparentemente in maniera casuale e anarchica, altri tre uomini e sei donne, più in largo, girano intorno, o si soffermano, in atteggiamento estatico, portando le braccia al cielo in segno di gratitudine. Vedo un uomo con dei folti capelli neri e delle lunghe basette che si appoggia con tutt’e due le braccia in alto al palo con l’aquila di legno, a due metri da me. Sta in quella posizione per un po’. Lungo il lato opposto ai percussionisti, con il sole implacabile a rendere difficile il solo stare in piedi, ci sono i familiari e gli amici di chi danza all’interno dell’arbor. Ballano e cantano anche loro, agitando shaker e sonagliere di conchiglie, ossa, semi. Sostengono il Kreis, il cerchio, e condividono la gioia e il dolore di questa grande esperienza. Mi metto quindi da questo lato e assisto al rituale.
L’energia che avvolge il campo è fortissima, lo si percepisce chiaramente e non si può fare a meno di abbandonarvisi. Un fischio sordo interrompe la danza. I due uomini si staccano e smettono di girare freneticamente in circolo. I colpi dei tamburi si fanno più bassi e profondi. Ora tutti si muovono lentamente, eseguono i passi e muovono le braccia quasi da fermi. Nei loro volti i segni della fatica, ma anche un’espressione di serenità. Parte un sacro canto nella lingua lakota, una dei quattro gruppi che formano la tribù dei Sioux. Siamo alla fine del terzo turno di danza, quello del pomeriggio. Due ci sono stati la mattina, il quarto e ultimo avverrà la sera. Tre richiami di corno annunciano l’inizio di ogni turno di danza, che dura da un’ora e mezzo alle due ore. Per quattro giorni, da venerdì a lunedì. Alla fine di ogni sessione di danze, gli uomini da una parte e le donne dall’altra, si riposano, bevono un po’ di acqua, limone e sale e si rinfrescano. Non possono parlare, mai, nemmeno alla sera, quando dopo l’ultima danza andranno a dormire nelle due tende indiane poste in fondo alla radura sacra, oltre la capanna sudatoria e il grosso tumulo di pietre con la catasta di legna. La minestra di carote e zenzero di Federica, insieme ad un po’ di melone e uva, è tutto quello che i danzatori possono mangiare alla sera, alla fine della giornata.
Su un lungo tavolo sono allineate tre grandi tinozze piene d’acqua, che nella prima è sporca e nella terza è pulita: sono pronte per il risciacquo dei piatti, a cui si provvede dopo la cena
Nel campo, la cena per tutti gli altri è alle diciotto e trenta precise. Si tiene in un’area ombreggiata adiacente al luogo sacro, separata da folta vegetazione e collegata da sentieri. Dopo pochi passi, sulla destra, si vede una struttura in muratura che ospita la credenza della cucina dove lavorano Federica e Phillip. È molto più che una cucina da campo, è infatti grande e spaziosa. Il cibo viene cucinato in armonia, con un atteggiamento di estrema attenzione per la natura, intesa come un unico organismo vivente. Su un lungo tavolo sono allineate tre grandi tinozze piene d’acqua, che nella prima è sporca e nella terza è pulita: sono pronte per il risciacquo dei piatti, a cui si provvede dopo la cena. Non ci sono bagni chimici, ma toilette su palafitte di legno. Appena accanto un’altra struttura in legno ospita le docce, alimentate da un pozzo. Nascosta fra la vegetazione c’è l’area compost. Prima di mangiare, una breve cerimonia di ringraziamento ricorda la necessità di accostarsi al cibo con la consapevolezza si tratti di un dono. Piccoli pezzetti del cibo sono posti in una ciotola che viene tenuta in alto con entrambe le mani durante la declamazione della preghiera di ringraziamento.
Internet, televisione, radio, telefono: qui non funziona niente, non si può fare altro che raccogliersi e imparare a sentire la natura.
HUGO-BERT EICHMŰLLER
“Ho studiato Sozialarbeit, sociologia del lavoro; politicamente venivo dalla Sinistra. Sono stato molto influenzato da mio nonno, che è finito nei campi di concentramento nazisti”, racconta. “Un’altra cosa che mi ha segnato è stato il grande movimento della Ostermarsch”, il moto pacifista e antimilitarista degli anni ’50 che si tiene ancora, ogni anno, in Germania, e da cui ha origine il famoso simbolo della pace. Hugo voleva diventare Bewährungshelfer, coloro che assistono e sorvegliano il condannato durante il periodo di sospensione condizionale della pena, ma poi è iniziato un altro viaggio. Nato il 27 novembre del 1952, ha vissuto in pieno gli anni della ribellione sessantottina: “Dal mio punto di vista, la nostra generazione, quella del dopoguerra, ha dovuto lavorare per elaborare (abarbeiten è il termine che usa) la follia del motto nazista flink wie Windhunde, hart wie Kruppstahl, zäh wie Leder (agile come il levriero, duro come l’acciaio, tenace come il cuoio). Si faceva tutto al contrario: crazy, il più possibile, si viaggiava molto, capelli colorati, Che Guevara, Ho Chi Minh, Kennedy, Mao, Martin Luther King, i Geistarbeiter, i turchi, i primi italiani, il Vietnam, un movimento gigantesco! Poi, da movimento politico è diventato un movimento di ricerca interiore, la meditazione; la domanda ‘chi sono?’, diventa centrale”. Hugo è attratto da vecchie idee, che hanno però una grande forza di attualità: “Konsumverzicht, rinuncia al consumo, minimalismo, combattere il capitalismo con la modestia, l’earth movement”. Il mondo economico materialista che si sta formando non può soddisfare Hugo; la sua indifferibile ricerca di senso lo spinge verso visioni del mondo alternative, prerazionali, in cui è possibile comunicare con la natura animata.
In lui si incontrano due grandi forze: da una parte la meditazione, la riflessione che veniva dall’oriente e dall’altra le droghe (non parla dell’abuso), i viaggi sciamanici, i tamburi come strumenti spirituali. “Sentire l’albero come fratello e non come legno, considerare la terra un organismo vivente, viene dai natives nordamericani”, dice. Usa il termine natives per riferirsi a tutte quelle società che noi occidentali, con pregiudizio antropologico, definiamo malamente come primitive, non solo gli Indiani d’America: “Non c’è nessun indiano, ci sono natives sparsi in tutto il mondo.”
Il primo incontro con il mondo invisibile, oltre la soglia del corporeo, avviene a Creta, nel 1983. Racconta di un uomo, Odysea, che incontra nell’isola, nella località di Lendas, e presso il quale assiste ad un episodio che lo convince dell’esistenza di molteplici livelli della realtà: “Era un pastore, un uomo semplice. Io non ero felice in quel periodo, perché tutti i miei amici avevano un guru, Bhagavan, Osho, e io invece ero ancora alla ricerca. Ero andato in vacanza a Creta, conosco Odysea, nasce una relazione. Viveva in una di queste grotte di tufo. Un giorno lui se ne stava là, in piedi, con un piatto; poi lentamente inizia a trasfigurarsi, sembra un’aquila, faceva rumori impressionanti, voooum, vssss, vento; improvvisamente arrivano centinaia di api che si infilano in un buco vicino a lui, vrrrrrr”, mi racconta Hugo, marcando le parole e i suoni con il movimento del corpo. “Poteva comunicare con le api! Capisci! Lì mi sono accorto che la visione prerazionale di un mondo animato, in cui si può comunicare con le piante, con le pietre, era ciò che cercavo”. “Lo hai percepito lì per la prima volta?”, gli chiedo. “Era da tanto che lo avevo percepito, ma lì per la prima volta ho incontrato qualcuno che lo sentiva come me”, risponde.
Uno sciamano è una persona che volontariamente, con l’aiuto di uno spirito protettore, entra in un altro stato di coscienza, per procurare forza, sapienza e salute
Poi, negli anni successivi, l’incontro con la cultura dei nativi americani e con un vero sciamano. “Dire sciamano scatena nella mente della gente innumerevoli fantasie”, avverte Hugo. Per cautela e per fare un po’ di luce su di un vocabolo così generale ed indefinito, suggerisce la definizione che del termine dà Mircea Eliade, il grande intellettuale rumeno del XX secolo: “Uno sciamano è una persona che volontariamente, con l’aiuto di uno spirito protettore, entra in un altro stato di coscienza, per procurare forza, sapienza e salute”. La parola sciamano è attestata per la prima volta in un racconto della fine del XVII secolo in lingua tungusa, una lingua siberiana. Nel corso dei secoli, il termine trova un vasto campo di applicazione, che si estende ulteriormente nel XX secolo, diventando sempre più ampio e generico. Mago, guaritore, sacerdote, veggente: lo sciamano è tutte queste cose, ma allo stesso tempo non si lascia ridurre a nessuna di esse.
“Per primo ho conosciuto Brave Buffalo e poi Archie Fire Lame Deer (entrambi guaritori, sciamani, leader spirituali dei Lakota-Sioux). Erano in Europa”. La prima capanna sudatoria della sua vita Hugo la fa con Brave Buffalo: “Un giorno mi chiedono se voglio conoscere Wallace Black Elk. È venuto a casa nostra ed stato da me e da mia moglie per sette settimane. Nel giro di pochi giorni si è sviluppato un rapporto di fiducia fra di noi. Stavamo sempre insieme, giorno e notte”. Wallace Black Elk (1921-2004) è stato un interprete importante della spiritualità lakota. Gli chiedo se era veramente un discendente di Nicholas Black Elk (1863-1950), il famoso Alce Nero, lo sciamano Sioux, scampato all’eccidio di Wounded Knee del 1890. “Sì, mi sembra… ma decisivo era il fatto che portava gli spirits”. Hugo tiene però a precisare che non condivide in pieno la visione del mondo degli Indiani d’America: ”Bisogna essere sinceri, la nostra concezione etica non coincide con la visione indiana. La loro è un’etica per la tribù, non è un’etica globale, come la nostra. Ci sono cose, come il ruolo svalutativo della donna o l’uso di animali per compiere sacrifici, che io non posso accettare”, ci dice. Ciononostante, Hugo è sincero nel riconoscere il suo debito spirituale: ”Lo sciamanesimo mi ha toccato profondamente. Ho trovato una sincronicità fra questo mondo, queste dimensioni e me”, afferma.
Nel 1991 Hugo ha la Visione, l’iniziazione sciamanica nella via della Channunpa, la pipa sacra: “Nella mia visione gli spirits mi hanno detto di scavare una buca in Germania, prendere delle pietre, portarle all’altro capo del mondo, in Nuova Zelanda, e fare due capanne sudatorie, come se la terra potesse di nuovo respirare; se dalla Germania fai un tunnel attraverso il centro della Terra sbuchi in Nuova Zelanda”. Hugo parte quindi per la Nuova Zelanda, con la moglie Inge incinta della terza figlia (anche Inge è qui al campo estivo di Cana), le altre due figlie ancora piccole. L’opera si conclude un anno dopo, con un altro viaggio in Oceania, passando questa volta dall’altra parte, dal Pacifico. “Queste cose le ho viste prima nello spirito e poi le ho incontrate nella realtà. Alla fine ho ricevuto come un messaggio che mi diceva di continuare sulla via della Channunpa”. Nel corso della sua vita, Hugo ha avuto centinaia e centinaia di visioni ed esperienze spirituali sciamaniche.
La cerimonia della Channunpa Wakan, la pipa sacra, è il rituale di preghiera più sacro e potente fra i popoli nativi americani. Con essa si prega il Grande Spirito, Wakan Tanka. Alla fine della Visionstanz, tutti i partecipanti, sia danzatori sia spettatori, si dispongono in fila in attesa che il Channunpa Träger, ovvero chi porta la pipa, la offra a tutti e faccia fumare, secondo una modalità ben precisa. Ho visto Reiner e Hugo portare la pipa, ma non tutti possono farlo. “C’è una cerimonia che si chiama Visionssuche, ricerca della visione”, mi spiega Reiner. Ogni cultura possiede la propria Visionssuche. Si può fare in molti modi. Anche noi qui la facciamo. Una normale Visionssuche la può fare chiunque cerchi delle risposte e sia pronto ad entrare in contatto con gli spirits, come per la Visionstanz. Dura dai due ai quattro giorni, passati da solo, nel bosco. Come ‘rifugio’, un’area circoscritta con una piccola capanna in mezzo, un quadrato di due volte la lunghezza del tuo corpo, per proteggerti dalla pioggia, nel caso. Come una Visionstanz in miniatura. Non mangi niente, non bevi niente, non porti niente con te, rimani soltanto in preghiera”, mi spiega Reiner. “Initiationssuche, il percorso iniziatico alla Channunpa, è qualcosa in più. È Visionssuche, è ricerca della Visione, ma con l’aspirazione, il desiderio, di prendere la Channunpa. Presuppone una disposizione, una maturità interiore. La Channunpa non è un giocattolo che si porta in giro. Si tratta di Lebenshaltung, atteggiamento verso la vita.” Solo dopo questo percorso iniziatico si è Channunpaman e si può celebrare, alla fine della danza il rituale simbolico. Il tabacco accoglie le preghiere e il fumo, mischiato al respiro, le porta in alto, al Grande Spirito. E’ formata da un cannello di legno che rappresenta la parte maschile e da un fornello di argilla bruno-rossastra, che rappresenta la parte femminile, la Terra. La cerimonia della pipa simboleggia così l’unione degli opposti, di maschile e femminile, di terra e cielo, di spirito e materia: è il rituale con cui si conclude ogni turno della danza visionaria. Ed ha un ottimo sapore.
PARTIRE DAL BASSO
“Qui dentro è, per così dire, la pancia di madre terra. È un’altra filosofia, per noi madre terra ha coscienza, intelligenza, spirito”, mi spiega Hugo, una volta entrati nella capanna sudatoria che sta ad ovest dell’arbor. La capanna sudatoria è una delle cerimonie più importanti di purificazione dei nativi americani, anche se pratiche analoghe si trovano in altre parti del mondo. All’interno è caldissimo, non si può stare tanto ma Hugo fornisce un elemento importante per la comprensione, per la ricostruzione del puzzle: “Questa è una metà del globo, le nostre vite si svolgono qua sopra” dice, battendo con le nocche sulla volta della capanna. “Se noi preghiamo dalle radici, la nostra preghiera andrà verso l’alto e noi siamo sopra. Nella nostra filosofia la vita va dal basso verso l’alto, se guardi la natura tutto va dalla terra in cielo e ritorna. Nel mondo moderno invece, tutto è Konzept von oben, concetti imposti dall’alto. Le religioni? Dio è sopra. Ma nel mondo realmente esistente la vita è von unten, dal basso. Il mio maestro Wallace Black Elk ha detto: ‘dobbiamo solamente cambiare la nostra prospettiva di 180 gradi, né più né meno’”. Va da sé che l’Ego ed i suoi io voglio, io devo è considerato un costrutto astratto. “Noi tutti veniamo da questa terra. Ci siamo nati. Tu sei fatto di questa terra. Il nostro pianeta non è pietra morta, è intelligente”. Il nome originario della capanna è Inipi, che vuol dire ‘il luogo dove gli spiriti delle pietre ti parlano’. Affiancato alla capanna, un grande tumulo di pietre disposte a ferro di cavallo. Nella parte concava un mucchio ordinato di legna.
Sediamo fuori, su un tronco di legno. Lars, un ragazzo grande e grosso di un paese vicino Kiel, nel nord della Germania, porta una brocca con acqua fresca e pompelmo, un vero piacere. Hugo prende in mano una pietra, grande abbastanza. La domanda che segue è quella che l’uomo si pone da millenni: ”Come è possibile che dalla pietra siano sorti uomini come tu ed io? Ci deve essere qualcosa nella pietra che rende possibile tutto ciò. La pietra da sola non può!”, chiede retoricamente Hugo, perché lui una risposta ce l’ha, ma rimane sospesa. “Tutte le religioni vivono sotto la spade di Damocle del Giudizio di Dio; e tu ti ci devi sottomettere. Der Weg ist anders. La via è un’altra”, cerca di spiegarmi. “La vita è comunque un mistero. Tu vai incontro a questo mistero come Mensch. L’atteggiamento interiore è fondamentale“. Cita uno dei suoi autori preferiti, Bob Marley, in Get up, Stand up: Almighty God is the living man (il Dio onnipotente è l’uomo vivente). È una cosa, spiega Hugo, che c’è anche nella mistica evangelica, Gerhard Terstegen, un mistico tedesco del XVIII secolo. Hugo parla di ‘mistica empirica’, ‘spiritualità del vivente’, per segnare la differenza con la spiritualità del cielo che caratterizza tutte le religioni: “I Maia, gli Atzechi hanno costruito piramidi che vanno in cielo. Ma noi siamo qui, apparteniamo alla vita della terra”.
L’essenza della vita è che vuole vivere, non ha inizio e fine, è vitalità, è attualità, presenza, permanenza
I punti cardinali e i concetti spaziali sono utili per accedere alla metafisica degli spirits. La preghiera è verso l’alto, verso il grande mistero, das unermässliche Unbekannte, l’ignoto infinito. “E poi giù, in verticale, verso terra. L’unità di alto e basso”, afferma, sottolineando l’importanza di questa rettitudine non solo spaziale, ma soprattutto morale. “Poi ti rivolgi verso i punti cardinali, ovest, nord, est e sud. E ora viene qualcosa di importante: si va con la preghiera di nuovo verso l’alto. Ma non proprio in cima. Un pochino sotto, dove volano i grandi uccelli come l’aquila. La vita reale, quella fatta di pulsazioni, è delimitata in alto dai grandi rapaci, l’aquila, la poiana. Oltre è Wakan Tanka, il Grande Spirito. Sotto è invece delimitata dalle pietre. E ora viene un movimento circolare per comprendere questo spazio enorme. Tutto ciò che è vita, vive in questo spazio tra le aquile e le pietre. È la Lebendigkeit, vitalità, che accogli nel tuo cuore e tu ti poni nel centro di questa dimensione. L’essenza della vita è che vuole vivere, non ha inizio e fine, è vitalità, è attualità, presenza, permanenza”, racconta.
Reiner, di Norimberga, l’uomo con la coda di cavallo, è un ingegnere e mi dà una rappresentazione efficace della metafisica spaziale, usando concetti di primo, secondo e terzo mondo, che niente però hanno a che vedere con la sociologia politica, cui sono di norma associati: “Questo mondo”, mi spiega, “il mondo materiale sulla terra è il primo mondo. Il terzo mondo è il mondo di Dio, irraggiungibile per noi. Per le religioni tradizionali esistono solo il primo e terzo mondo”, mi spiega Reiner. “Questo significa che il contatto con Dio può avvenire soltanto attraverso le istituzioni religiose, che così possono esercitare un controllo sul popolo, incutendo paura se non rispetta i precetti. Ma per noi esiste il secondo mondo, un mondo immateriale composto da forze spirituali che noi chiamiamo spirits”. È una dimensione spirituale in cui, come recita la frase lakota MITAKUYE OYACIN, che letteralmente significa ‘saluto tutte le creature’, tutti sono collegati con tutti, da anima a anima, e in cui tutti noi, insieme al regno animale, vegetale e minerale, apparteniamo alla grande comunità vivente. I buddhisti la chiamano ‘la reciproca dipendenza dell’esistenza’. “C’è l’anarchia spirituale”, dice Hugo. La decisiva epurazione dell’accessibilità a questo mondo spirituale, che anche i popoli germanici antichi e gli Etruschi conoscevano, si è avuta, secondo Reiner, con l’avvento di Carlo Magno e la fondazione del Sacro Romano Impero.
Le affermazioni di Hugo suonano non proprio ortodosse: “Nessuna religione mette al centro la “Fruchtbarkeit des Lebens”, la fecondità della vita. Mettono al centro sempre la morte. Sempre l’aldilà. Ma la vita è qui. Non considerano la fecondità della vita, non considerano la donna. Questa vita qui l’hanno lasciata all’egoismo”. E aggiunge un’accusa pesante: “Tutte le religioni si sono da sempre servite bene in questo primo mondo, quello materiale. È curioso che meno religioni ci sono in una società, e tanto più felice questa è”. “Se noi vogliamo la pace”, spiega Hugo, “allora dobbiamo definirci a partire da questa dimensione dell’anima, e non da quella materiale. Questo è MITAKUYE OYACIN, da anima a anima, ma non per salvare la nostra anima in un’altra vita, ma per salvarla su questa terra!”. È unità nella diversità, è visione olistica, come il sistema corpo. Ogni dimensione è collegata con l’altra: “La pietra ha bisogno del terreno, sennò non esisterebbe. L’albero ha bisogno di acqua, aria, luce. La vita non c’è da sola. La felicità, libertà, l’amore non esistono da soli. ‘Io’ non c’è senza ‘tu’”. Hugo fa riferimento a concetti come quello di intelligenza collettiva, di campi morfogenetici. “Se io immergo il mio sentire in questa dimensione collettiva, allora la probabilità di sentirsi felici e forti è molto più grande di quando mi concentro solo su me stesso“.
Non sono cose inventate di sana pianta, fantasie strane. Semmai un idealismo estremo che riconosce esistenza reale solo a sostanze spirituali. La materia è una transitoria manifestazione dello spirito. Ma c’è una connessione con la scienza, con la realtà: “Tutto dipende dalla coscienza. Non c’è nessuna oggettività. Il mondo dipende al 100 % da come noi lo percepiamo, con quale coscienza noi gli andiamo incontro”, spiega Hugo. Il termine che usa, Bewusstsein, coscienza, si riferisce alla coscienza cognitiva, alla porzione di realtà cui abbiamo accesso: ”Se sei sordo, percepisci il mondo in maniera diversa. Ci sono animali che riescono a vedere a 360°. L’asino riesce a vedere i raggi infrarossi, per esempio. Lo squalo percepisce le onde elettromagnetiche”. Molti di questi ‘schemi’, a livello di idee, riducono la percezione del mondo: “Gli uomini hanno delle idee, e a sinistra e destra di queste non vedono niente; è una visione ristretta! Se avessero meno pregiudizi, come i bambini che non hanno preconcetti, la realtà allora diventa ampia”. Lo sciamano è in questo senso uno scienziato della coscienza, indaga di coscienza in coscienza. “Se io riesco a metter fra parentesi questa credenza errata del mondo, cui sono costretto da idee che mi sono state ‘impartite’, e lascio il rassicurante terreno di ciò che conosco per spingermi verso il nuovo; se supero l’antropocentrismo, allora ci sono molte dimensioni dell’esistenza e io le posso sperimentare con il mio spirito di conoscenza, l’Erkenntnisgeist”.
“Questa è la parte concreta dell’attività sciamanica. Liberarsi, attraverso l’estasi, dei ‘falsi’ concetti, delle idee preconcette e fare spazio all’idea che esistono cose che non hanno natura materiale”, continua Hugo, con la sua efficace retorica e la sua voce calma e profonda. L’altra parte, altrettanto importante, comprende l’empatia, il sentire con il cuore, l’amore: “È sentire attraverso l’estasi che si è parte della grande comunità vivente di Madre terra. Che io sono vita, che tu sei vita e che insieme siamo vita. Ecco, allora è possibile immedesimarsi in un albero, in un animale, comunicarci”. Mi viene in mente la coscienza fenomenica, ovvero quella capacità, molto soggettiva e difficile da spiegare a livello verbale, di sapere cosa si prova a sentire dolore o a vedere il colore giallo, per esempio. Hugo parla anche del großer Begriff di autotrascendenza. “C’è in te uno spirito che può dire ‘ok, mi abbandono a questo grande Tutto’. Oppure, ‘no, sono egoista’, ma questa più grande dimensione spirituale esiste”, dice. La Visionstanz conduce in questa dimensione abitata dagli spirits, dagli spiriti degli antenati che sono rimasti, non sono spariti, e che ti aiutano ad entrare in contatto con il Grande Spirito. La tua anima è il ponte spirituale con la grande anima del mondo. Hugo lo chiama Zwischenwelt, il mondo di mezzo, una grande trama multidimensionale di realtà spirituali, in cui non ci sono idee, concetti, rappresentazioni. Ha senso quindi domandarsi da quale dimensione proveniva l’elicottero. O da quale dimensioni avviene che da una pietra si arrivi all’uomo.
GLI SPIRITS
La parola Geist è fra le più ambigue della lingua tedesca. In italiano copre un’area semantica che va da spirito a fantasma, passando per mente, intelletto, animo. In inglese, per esempio, ci sono i termini mind, soul, spirit che specificano meglio. Hugo mi ricorda che “in tedesco c’è solo Geist, Geist, Geist!”. Vorrei capire meglio cosa sono di preciso gli spirits e in che misura sono da distinguere da altre forze o entità spirituali come l’anima. L’argomentazione di Hugo, anche se per la sua struttura si espone a molte analisi, parte dall’Urknall, dal Big Bang e dall’energia liberata: “Questa energia“, secondo Hugo, “ha bisogno di eine ordnende Kraft des Geistes”, una forza ordinatrice. Questa forza è lo spirito, Geist, che però è universale, indeterminato. “Lo spirito deve sapere in che modo ordinare; ha perciò bisogno di qualcosa. Il Geist in sé, da solo, non potrebbe nemmeno esistere. È da supporre dunque che nel Geist ci sia un’entità, una sostanza, ein Wesen. Questo è quello che noi chiamiamo spirits: animal spirits, stone spirits, hawk spirits”. Il Geist ha bisogno di spirits, dunque. Hugo continua nella sua spiegazione: “Tu hai l’energia, il Geist, gli spirits e ora hai bisogno di qualcos’altro, che faccia da collante, che leghi”. “E cosa è?”, gli chiedo con curiosità: “È l’anima”. Ognuno di noi, spiega, ha una piccola luce nel cuore: “Questa luce è il concentrato dell’anima”.
I rappresentanti dell’umanità, gli uomini semplici, die einfachen Menschen, sono raffigurati in bassorilievo in lastre di travertino bianco appese ai legni delle pareti della struttura poligonale
Il condensato luminoso dell’anima è raffigurato simbolicamente da una sfera dorata che è sorretta dalle braccia di un uomo e una donna, posti uno di fronte all’altra. È una scultura in legno, essenziale, semplice, alta almeno quattro metri, ed è collocata a margine di uno spiazzo erboso ricavato sul fianco della collina che dolcemente si leva nella parte orientale del campo. Si chiama Ahnenplatz, il luogo degli antenati. “La donna e l’uomo primigeni vengono in contatto e nasce la vita, ciò che noi chiamiamo Fruchtbarkeit”. Fertilità, una parola che secondo Hugo sa troppo di sesso e che per questo è sostituita nella nostra società moralista, da sostenibilità (Nachhaltigkeit). “I nostri avi hanno sofferto molto, senza di loro noi non saremmo qui. Questo è il nostro ricordo per loro, è il nostro Ahnenplatz”. Quando sarà ripulito, racconta Hugo, sarà un posto per meditare, danzare, pregare. Da qui, in alto, la vista si perde nella campagna circostante e arriva fino alla costa, al mare. Ancora più in alto, invece, si trova una costruzione in legno che è un’opera ingegneristica. 3500 pali di legno sono uniti a formare una solida struttura poligonale, coperta da un tetto anch’esso in legno. Il tutto è sorretto da una travatura reticolare realizzata con robusti tronchi puntellati. “Questo è l’Ahnentempel der Menschlichkeit (il Tempio degli avi dell’umanità). In dieci persone, con le motoseghe, abbiamo comprato il legname e lo abbiamo costruito in dieci giorni, nel 2007”, mi informa Hugo.
L’interno del tempio è spoglio, disadorno; ci sono delle panche di legno disposte lungo tutto il perimetro, per assistere alle cerimonie, ai rituali e alla meditazione che vi vengono fatti. Di fronte alla porta, dall’altra parte, un camino in muratura di grandi dimensioni. I rappresentanti dell’umanità, gli uomini semplici, die einfachen Menschen, sono raffigurati in bassorilievo in lastre di travertino bianco appese ai legni delle pareti della struttura poligonale. Non ci sono nomi, solo i volti, ma riconoscibili. “Se possibile sempre uomo e donna”, aggiunge Hugo. C’è quello di Bob Marley, quelli di Wallace Black-Elk e consorte; ci metteranno quello di Nelson Mandela. Sulla sinistra, una tavola porta l’effigie di Albert Schweitzer, il cui ‘pensiero elementare’, cardine della sua filosofia, deve avere fortemente influenzato la vita di Hugo. Con il grande Alsaziano è riprodotto il volto della moglie. È un peccato che la figura di questo uomo, che ha ricevuto il premio Nobel per la Pace nel 1952 e che ha dedicato gran parte della propria vita alle popolazioni africane dell’attuale Gabon, nell’Africa Equatoriale, sia davvero poco conosciuta. Era un filosofo, musicista, musicologo, medico, teologo e pacifista: “Albert Schweitzer è stata la persona decisiva nello scongiurare il rischio di guerra nucleare fra Usa e Urss in seguito alla crisi dei missili a Cuba nell’ottobre 1962”, mi racconta Hugo. “Ha svolto opera di mediazione fra i due schieramenti, sullo sfondo e ha combattuto contro il Nucleare”. Sulla tavola bianca di Schweitzer è impressa anche una frase: Sono vita che vuole vivere, in mezzo alla vita che vuole vivere. Le altre pareti saranno piano piano riempite con le effigi di altre persone. Gli domando perché proprio queste persone? “Per rispetto, semplicemente per rispetto”, sussurra Hugo.
AMBIENTE E SPIRITUALITÀ
“Ciò che trovo interessante qui, all’elementar-Kreise, è la possibilità di unire il lavoro spirituale sulla coscienza e l’attenzione per l’essere umano con l’impegno per l’ambiente”. Queste parole mi vengono riferite da Uwe, un uomo a cui folti capelli riccioli e occhi gentili donano un aspetto da ragazzo adolescente. In realtà Uwe, che abita a Norimberga ma proviene dall’Algovia, una regione vicino al lago di Costanza, è qui con la moglie e i loro tre bambini piccoli. Ha ballato per due giorni di fila ed ora è contento di espormi il suo punto di vista: “Sono un geologo-ecologo di formazione e lavoro per un’associazione ambientalista tedesca, l’analogo di Legambiente in Italia”. Fin da adolescente, da quando ha iniziato a capire qualcosa del mondo, ci racconta, si è subito convinto della necessità di dedicare la propria vita alla tutela dell’ambiente, in particolare della biodiversità. “Anche la spiritualità mi ha accompagnato, sono stato cattolico e mi sono avvicinato al buddhismo ma poi ho incontrato Hugo e il Kreis”.
Uwe non si è mai interessato di sciamanesimo, ma vede quello che succede qui al Kreis come qualcosa che può aiutare chi deve prendere decisioni per il futuro del nostro pianeta: “Quando le antiche comunità avevano delle decisioni da prendere e non sapevano come fare, consultavano gli spiriti, le buone energie. Noi da anni ormai andiamo alle conferenze mondiali sul clima e cerchiamo di portare dentro le buone energie, con la danza”.
Uwe è stato a conferenze in Giappone, in India e a quella di Kopenhagen del 2009, dove erano accampati a pochi metri dal luogo della riunione. Avevano già ottenuto il permesso per essere presenti a Parigi 2015, a dicembre, ad ispirare la Politica a fare di più per Madre Terra, ma lo stato d’emergenza dichiarato in seguito agli attentati terroristici di novembre ha fatto saltare tutto. Uwe conosce molti politici che a queste conferenze lavorano veramente con passione e che soffrono come soffriamo noi per le condizioni del nostro pianeta. Essi sono però sottoposti a dei condizionamenti politici, non sono liberi di prendere le decisioni: “Il Ministro dell’Ambiente vorrebbe trattare ma il Ministro delle Finanze dice ‘sì, ma fino ad un certo punto’. È sempre una contrattazione fra interessi diversi. Ma noi siamo liberi, non siamo politici, non abbiamo costrizioni, possiamo assumerci questa parte della cura, della fiducia, dell’amore”, spiega Uwe. “Noi vorremmo che ai politici arrivasse un po’ della commozione che noi sentiamo durante la danza, affinché capiscano quello che devono decidere. Proprio questo contatto con l’essenziale dovrebbero sentire!”.
Quello che dovrebbe succedere in queste conferenze, secondo Uwe, come principale atto di pacificazione con la terra, lo racconta in un’immagine forte: ”Una volta mi piacerebbe vedere i duecento capi di stato e primi ministri che, tutti a sedere in circolo, per disperazione, per paura, per vergogna, crollano e scoppiano in lacrime, tutti insieme!”. Va da sé che anche per Uwe questo appare irrealistico. Chiedo a Uwe se ha avuto mai una visione, ma mi risponde che lui preferisce chiamarla Einsicht, qualcosa come percezione: “Ho visto delle cose. L’anno scorso per esempio ho visto come il Lebensbaum, l’albero della vita, cresceva al contrario e si ritirava nella terra. È stato solo un istante in cui l’ho visto, ma è un’immagine vivissima davanti ai miei occhi”. Era nella capanna sudatoria, dice. ”Nelle visioni c’è sempre la questione di come interpretare quello che vedi. E per me il senso era chiaro: le specie si estinguono ma la vita non muore, va nella terra. Un messaggio davvero confortante per me; se quando muore qualcuno, sai dove va, allora non è così triste”.
Ci sarebbe davvero da piangere per le condizioni in cui abbiamo ridotto il nostro pianeta. Come veicolo della loro azione, Uwe e altri hanno da un anno costituito un’associazione, legalmente registrata, con la quale cercano di avere più risonanza per diffondere il loro messaggio nel mondo: respect earth. Il sito è in via di costruzione ma presto sarà visibile all’indirizzo www.respect-earth.info.
La terra ha quattro miliardi di anni. L’uomo, nella nostra versione homo sapiens, è su questo pianeta, allo stato attuale delle conoscenze, da 250.000 anni circa. In poco più di 200 anni, ovvero a partire dalla rivoluzione industriale del 18° sec., alcuni rappresentanti della suddetta specie sono riusciti a far entrare il pianeta Terra in un’altra epoca geocronologica. Antropocene è infatti il termine accettato oramai dagli scienziati per definire l’epoca in cui l’uomo è diventato uno dei principali fattori di influenza sui processi biologici, geologici ed atmosferici.
Adesso c’è bisogno di cuore, di apertura mentale, di empatia nei confronti dell’ «altro», cose di cui all’elementar-Kreise si conosce bene il significato.
REDAZIONE
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