Sotto ai miei piedi nudi la moquette bianca è soffice, dalle finestre colorate entra la luce calda del sole. Di fianco a me ci sono due donne sedute su di uno scalino, sembrano una coppia. Due uomini si sistemano di fronte a loro, a gambe incrociate, parlano in tedesco di qualcosa che riguarda piante e trasporto di semi. Ridono. Ci sono altri due gruppetti di persone nella stanza, tutte indaffarate a chiacchierare, tutte sorridenti. Ad un certo punto entra un’altra donna vestita completamente di viola, molto bella e distinta, si mette vicino a me e si presenta. Il nome mi sfugge. Mi chiede se è la prima volta che vengo, le dico di sì, perché ci voglio scrivere. Le chiedo se anche per lei è la prima volta, mi dice di no, che qualche volta si fa un giro, anche se non è dell’ambiente.
No, non sono ad una lezione di yoga o di meditazione. Non sono neanche ad un after party in un club. Sono in una moschea.
La moschea Ibn-Rushd Goethe è stata inaugurata il giugno scorso a Berlino, nel quartiere di Moabit. Il suo nome è dovuto al filosofo medievale Averroè e allo scrittore tedesco Johan Wolfgang von Goethe, ed è simbolo progressista di due culture e due tempi che si incontrano e vogliono convivere. Il progetto nasce dall’idea di Seyran Ates, avvocato e attivista di origine turca, la quale fa parte di un’associazione globale di donne musulmane che sfida l’interpretazione patriarcale del corano: la Muslims for progressive values.
Quello per cui Seyran si batte, è un ideale inclusivo di Islam, tollerante verso le differenze, che accetti anche la comunità LGBT, paritario nei confronti di uomini e donne. Nella moschea di Moabit tutti sono i benvenuti, con una sola eccezione: nessun niqab o burqa. “Perché il velo integrale non ha nulla a che fare con la religione. È una dichiarazione politica”, dice Seyran in un’intervista allo Spiegel.
Mentre aspetto che inizi la preghiera, penso che un’idea che si dichiara universale per poi stabilire subito un’eccezione già mi piace poco. Ma io in materia sono completamente ignorante e anche dichiaratamente intollerante. Per me la religione è come il formaggio: non mi piace e non ci voglio avere nulla a che fare. Poco importa che sia camembert o gorgonzola, a me fa schifo comunque. Mi chiedo che cosa mai ci stia facendo in una moschea, allora. Mi rispondo che è per puro titillamento intellettuale: il dibattito contemporaneo è impregnato di riferimenti a Islam, musulmani, scontro religioso, e il mio non saperne nulla ferisce ogni volta leggermente il mio ego. Dunque, se siete ben informati, o particolarmente sensibili all’argomento, forse questo non è l’articolo che fa per voi. Se invece partite da zero o poco più, e magari segretamente ve ne vergognate, siete nel posto giusto e avete tutta la mia comprensione.
***
La preghiera dovrebbe iniziare all’una, è già quasi l’una e mezzo quando i presenti che vogliono partecipare sistemano dei piccoli tappeti in direzione della Mecca. Poco dopo, l’incaricato alla conduzione inizia a pronunciare le formule di culto. Non è un imam, non ha compiuto studi particolari e non ha nessun rango specifico: le correnti principali dell’islam non ammettono clero né gerarchie.
La preghiera è composta da frasi brevi, alle quali seguono dei canti piuttosto suggestivi, nonostante le voci che si uniscono al coro siano solo una decina. Uno dei presenti, poi, prende posto davanti a tutti gli altri e legge una poesia in tedesco da un libriccino che si è portato appresso. Al termine, tutti lo ringraziano. Dopo qualche altro canto in arabo e prostramento, la preghiera è conclusa. Per un attimo sono sorpresa dalla velocità con cui tutto si è svolto, poi però mi ricordo che le disposizioni religiose islamiche vogliono che il rito si effettui cinque volte al giorno, in base ai movimenti del sole. Quindici minuti allora sono più che sufficienti, mi dico.
Tutti sembrano molto soddisfatti e in pace, e di nuovo si dispongono in cerchio a gruppetti a chiacchierare.
Nel frattempo arriva un’altra donna, anche lei si siede vicino a me e trafelata sospira “Non sono arrivata in tempo”. Cemile proviene da una famiglia musulmana da generazioni ed è sempre stata praticante. “Vengo qui perché mi piace questo clima di tolleranza ed intimità – mi dice – ma in verità io adoro le moschee tradizionali. La connessione con Dio si sente di più là, la loro bellezza mi ispira, non potrei mai rinunciarci, nonostante la forte separazione fra uomini e donne e il fondamentalismo che spesso le attraversa”.
Le chiedo di più riguardo al rapporto fra uomini e donne nelle moschee e di raccontarmi qualcosa rispetto ad eventuali discriminazioni subite. Mi dice che nelle moschee tradizionali tutte le donne devono indossare il velo e che sono obbligate a pregare in una zona situata nella parte posteriore della moschea e in alto, separate dagli uomini. Il Corano però non stabilisce nulla a riguardo, questa è una prassi dal forte sfondo politico che si è stabilizzata nel corso del tempo. (Sapevate che fino a non molti anni fa anche nelle chiese cattoliche uomini e donne dovevano stare separati?)
“Io però mi sono ribellata. Ho iniziato ad andare a pregare assieme agli uomini. All’inizio è stato difficile, mi offendevano, mi minacciavano. Ma le frasi peggiori le ho sentite dalle altre donne, che non tolleravano un comportamento simile. Allora ad un certo punto sono andata dall’imam, e gli ho detto che avrei chiamato la polizia, se lui non avesse preso posizione al riguardo. Non so se lo avrei fatto davvero, ma ha funzionato. Durante la preghiera successiva ha detto chiaramente che da nessuna parte è scritto che uomini e donne devono stare divisi. Da allora anche altre si sono fatte coraggio e si sono unite a me nella parte superiore della moschea”.
Mentre Cemile mi racconta orgogliosa della sua missione, altre due donne vicino a me intavolano una discussione riguardo al velo. La prima, la donna in viola, è assolutamente contraria. “Un simbolo di subordinazione, totalmente irrazionale ed umiliante”. La seconda non è poi così convinta: “Può rappresentare un modo per ripiegarsi su se stessi durante la preghiera, ed essere da sole con Dio”. Non avrei pensato che, anche fra le più progressiste, ci fosse chi vede dei lati positivi nell’indossare il velo. Evidentemente la questione è meno dicotomica di quanto la si faccia apparire.
Torno alla moschea la settimana successiva per intervistare l’addetta stampa, Marlene Loehr, una giovane ragazza tedesca convertitasi da poco all’islam. Seyran Ates al momento non si trova a Berlino, e comunque io penso qualche volta sia più interessante raccogliere le impressioni di chi fa parte di qualcosa, piuttosto di chi la dirige, se se ne vogliono comprendere i meccanismi più sinceri.
Mi fa piacere vedere fuori dalla moschea e sulle scale dei ragazzi giovani. Entro e Marlene mi accoglie con il sorriso. Per iniziare, le chiedo le ragioni della sua conversione all’islam.
“Ero luterana ed insoddisfatta della mia religione. Così ho letto il Corano e ho trovato stupendo il messaggio al suo interno. Al contrario del luteranesimo, ad esempio, nell’islam non troviamo la trinità. Il contatto con Dio è immediato. Inoltre, in tutto il testo l’uomo viene incoraggiato ad uscire, a vedere il mondo, ad acquisire conoscenza. Altra cosa importantissima per me, nel Corano uomo e donna sono alla pari.”
“Così sulla carta, ma nella realtà…”
“…Nella realtà ovviamente le cose stanno in modo diverso. Il messaggio viene distorto, non c’è tolleranza. Per questo ho iniziato a cercare persone che la pensassero come me, che avessero una visione liberale della religione. Solo quando le ho trovate e quando ho visto che islam e femminismo possono convivere, ho deciso di convertirmi. A quel punto ho iniziato a cercare una moschea, ma non mi sentivo rappresentata da nessuna parte. Finché ho trovato questa.”
“Com’è il rapporto con le donne che invece decidono di seguire la via tradizionale, e perché credi lo facciano?”
“Abbiamo ricevuto tantissime critiche, ma nessuna minaccia, le minacce solo dagli uomini. Prova a leggere la pagina Facebook. Credo che alcune donne continuino a seguire la tradizione semplicemente perché sono cresciute in un mondo chiuso, dove viene insegnato ad aver paura di Dio. È la paura che porta all’incapacità di uscire dai propri confini.”
“E per quanto riguarda il velo?”
“Da nessuna parte nel Corano c’è scritto che la donna deve indossarlo. Io credo che invece molte credano sia così. Ci sono però tantissime altre donne che non lo fanno, sai? È solo che noi siamo abituati a vedere quelle coperte, perché naturalmente attirano la nostra attenzione.”
“Davvero voi non accettate donne che portano il burqa alla vostra preghiera? Così ho letto un po’dappertutto…”
“No, non è assolutamente vero. Chiunque può partecipare, ma se le donne che portano un velo integrale vogliono entrare, devono accettare di venire perquisite. È solo una misura di sicurezza la nostra.”
“Da non religiosa, c’è una cosa che davvero non riesco a capire. Guardando a tutta la sofferenza che la religione, non solo islamica, ha causato nel corso dell’umanità, perché chi insegue ideali di progresso e libertà ancora fa appello ad essa? Non si potrebbe invece tentare di svincolarsi definitivamente da tutti i pericoli che un’ideologia porta con sé per partire da una base razionale?”
“Innanzitutto la religione non ha portato solo cose negative. Pensa a tutte le associazioni, le opere di beneficenza e di carità. E in secondo luogo, non è il messaggio di Dio che ha causato del male, è l’errata interpretazione di esso da parte dell’uomo. L’uomo è naturalmente portato ad usare un’ideologia a suo vantaggio, a distorcerla per fini personali, come il potere ed il denaro. Ma questo non ha a che fare con il volere di Dio.”
“Ma il fatto che l’uomo sia naturalmente portato a distorcere ogni cosa soggetta ad interpretazione per fini egoistici, non dovrebbe far concludere che star lontani da ideologie e religioni sarebbe la soluzione più sensata?”
“Ci sono ancora moltissime persone che credono. Non lo si può ignorare. Per questo bisogna portare liberalismo e progresso all’interno della cornice religiosa in cui esse operano.”
“Parlami un po’dell’intersezione fra politica e religione islamica. Da dove deriva?”
“Il corano può essere letto dividendolo in due parti. La prima è molto poetica e spirituale. Si parla del cielo, delle stelle, della formazione del mondo. La seconda parte, invece, fa riferimento a quando Maometto divenne leader politico a Medina ed è prettamente politica. Contiene le disposizioni su come guidare una comunità. La fazione più tradizionalista dell’islam è anche la più politica e ritiene che quelle disposizioni vadano intese alla lettera. La fazione più progressista, invece, sostiene che le indicazioni si debbano collocare storicamente ed adattare al contesto sociale in cui oggi ci troviamo. Per quanto ci riguarda, noi ci prendiamo cura solo della spiritualità di chi accogliamo. Siamo ben consapevoli di trovarci in Germania e di dover operare all’interno della cornice costituzionale di questo Paese.”
“Giusto, passiamo alla vostra situazione particolare. Chi è il pubblico della moschea?”
“Ci sono tante persone come me, che non hanno trovato la propria moschea prima di approdare qui. Ci sono molte donne che non si trovano a loro agio nella tradizione e anche molti omosessuali. Accogliamo anche dei rifugiati, che sanno benissimo come si vive sotto un regime intollerante e di terrore, ed apprezzano i nostri sforzi. Riceviamo anche alcuni messaggi di solidarietà e di appoggio di persone che però hanno paura di venire di persona, almeno per il momento.”
“Perché avete ricevuto anche minacce, non è così?”
“Sì, soprattutto Seyran. Minacce di morte, desideri di vederla stuprata, massacrata di botte.”
“Una nota positiva per l’ultima domanda. Il tuo momento preferito da quando sei qui alla moschea?”
“Ce ne sono due. Il primo è stato circa due settimane fa. Un uomo gay francese è venuto a visitarci ed ha celebrato la preghiera. Mi sono sentita parte di un momento storico. Chi avrebbe mai detto che qualcosa del genere sarebbe potuto succedere? Il secondo è stato una settimana fa, quando una persona si è convertita all’islam proprio qui.”
Esco da quella piccola stanza adibita a moschea e mi trovo sotto ad un cielo plumbeo estivo che non mi convince. Così come non mi convince troppo questa storia. Vedo dei poli opposti in tensione che si oppongono ma vogliono stare insieme, a corso di sacrificare la loro essenza. Religione e progresso, islam e femminismo, ideologia e libertà. Pendere dalla parte dell’uno, per la mia sensibilità, significa tradire l’altro, o per lo meno negarne una parte esistenziale. Sarà che il compromesso mi è sempre sembrato una soluzione da paurosi. Una parte di me però mi ricorda che ogni tanto bisogna proseguire a piccoli passi e ottenere piccole vittorie, prima di arrivare ad un traguardo che funzioni per tutti, se non si vuole lasciare indietro nessuno. Cammino e passo vicino ad un negozio di formaggi. Mi dico che se ho messo piede in una moschea, è ora di provare anche quello. Entro e, per evitare i compromessi, mi compro un pezzo di gorgonzola.
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