Seduto su una panchina al margine occidentale del parco, mi gusto la tranquilla atmosfera dell’oasi. Sembra non esserci alcun rumore. Quello del traffico di Berlino arriva attutito. Cinguettii di ogni tipo salgono dal prato, su, verso il cielo azzurro ma pieno di nuvole grassocce e bianche, trasportate dal vento. Tutto è flach, piatto, e lo sguardo si perde negli oltre trecento ettari di prato del Tempelhofer Feld, una delle aree verdi urbane più grandi al mondo. Il Principato di Monaco, per dire, è di duecento ettari. Un’enorme isola di libertà piantata nel cuore della città. Qui, nel territorio compreso fra il parco di Hasenheide e la linea meridionale dell’anello della metropolitana sopraelevata della città, “la vastità, il cielo e la libertà paiono non avere confini”, come si legge sul sito della società Grün Berlin GmbH, l’azienda cui la città di Berlino, nella sua istituzione più alta del Senato, ha affidato dall’8 maggio 2010 l’amministrazione del parco. Fino a quella data, tutto questo verde, con le strisce gigantesche di asfalto che lo tagliano, era il campo di aviazione dell’aeroporto di Tempelhof, tanto caro ai berlinesi.
Sulla sinistra, l’occhio scorge das Gebäude, l’edificio, il “totem”, con la sua costruzione bassa e la disposizione a semiovale tanto caratteristica. La struttura risale, nella forma in cui la vediamo ora, al 1935, quando l’architetto Ernst Sagebiel ricevette l’incarico dal Cancelliere tedesco di pensare al progetto per un nuovo aeroporto. Nel 1937 ne venne inaugurata una parte, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale impedì ai tedeschi di portare a termine tutti i lavori necessari. “Dovrà essere l’edificio più grande e più bello del mondo”, sembra abbia detto Hitler stesso. Ci indovinò a metà, possiamo dire, perché in effetti, per un po’ di tempo, fu davvero l’edificio più grande del mondo, con una superficie totale di 300.000 m², 7.266 stanze, 818 bagni. Retrocesse al secondo posto della classifica pochi anni dopo, quando negli Stati Uniti, in Virginia, fra il 1941 e il 1943 fu costruito il Pentagono. Oggi l’edificio più grande del pianeta è un centro commerciale cinese con una superficie utile di 1,7 milioni di metri quadrati.
Per l’aspetto estetico della faccenda mi faccio aiutare da Lars, un giovane berlinese che conduce le visite guidate all’interno degli edifici dell’ex-aeroporto, oggi considerato patrimonio sotto tutela. Lars è uno storico dell’arte, appassionato e competente, anche se parla un tedesco molto rapido che non sempre riesco a seguire. Lavora per il gruppo Tempelhofer Project GmbH, l’azienda responsabile dell’amministrazione e sviluppo della parte immobile. “L’aeroporto più bello del mondo? Mah! Forse la metà che dà verso il Tempelhofer Feld”, racconta a un gruppo di una ventina di persone raccolto in una stanza, che era un bar, dopo aver salito con l’ascensore otto piani. Da qui si ha una vista perfetta per apprezzare l’architettura interna del complesso. ”La metà che guarda la città è troppo pacchiana, vistosa, con quella pietra calcarea. Ma guardate la parte rivolta all’interno, verso Tempelhofer Feld. Confrontatela con questi edifici qui”, dice Lars, facendoci vedere le foto di costruzioni che sono esempio di neoclassicismo del Terzo Reich come la Haus der Deutschen Kunst di Paul Ludwig Troost a Monaco di Baviera. “Non hanno nulla a che fare, sono due cose completamente diverse. Negli anni Venti si costruiva così in tutto il mondo, è International Style, Moderne, Neues Bauen, Neue Sachlichkeit si può anche chiamare. A me piace”. Negli anni Venti alcuni architetti tedeschi assimilarono lo stile moderno e poi provarono a imporlo anche dopo la presa di potere di Hitler nel ’33. Non fu facile, perché Hitler odiava il Movimento moderno, das Neue Bauen; tuttavia l’edilizia industriale e civile tedesca seguiva nella scelta dei materiali e delle tecniche di costruzione i principi della Neue Sachlichkeit (Nuova Oggettività). Solo l’esterno, le facciate o le grandi sale, dovevano corrispondere ai tradizionali criteri nazionalsocialisti di solennità e monumentalità.
Già la facciata esterna, imponente, maestosa, rivestita con 80.000 m² di lastre di Muschelkalkstein, “calcare conchilifero”, lastre non blocchi, con colonnati, rilievi e aquile imperiali, è sorretta da uno scheletro in cemento armato di concezione moderna. Il vero capolavoro tecnico di architettura modernista funzionale è, però, la parte rivolta verso l’interno: settantacinque pilastri di acciaio sorreggono un tetto lungo 1.300 metri, disposto sull’arco dell’ovale, che ricopre il terminal centrale e gli hangar adiacenti, tutti in un’unica struttura. Sorretta da enormi travi d’acciaio, la copertura sporge come una mensola gigante sul piazzale di manovra, rendendo agevoli per gli aerei, che potevano eseguire manovre di rullaggio fin quasi al gate, le operazioni logistiche di carico e scarico delle merci. Un’opera ingegneristica che per molti altri aspetti di complessità e funzionalità ha fatto dire a Norman Forster, il celebre architetto inglese, che Tempelhof “è la madre di tutti gli aeroporti”. Soprattutto per l’idea dei banchi. Si vedono, infatti, per la prima volta i passeggeri consegnare i bagagli ai desk per poi andare all’imbarco, come succede oggi. “Negli anni Trenta era normale che i passeggeri portassero personalmente il proprio bagaglio fino all’aereo. Sagebiel ha inventato la separazione dei flussi di traffico aeroportuali”, ci dice Lars.
Saliti sul tetto, dal quale si ha una vista panoramica notevole sulla città, la caratteristica forma a quarto di ovale dell’aeroporto risalta ancora di più.
Anche questa struttura è dovuta al delirio di onnipotenza di Hitler, che aveva affidato il progetto alla mente di Albert Speer, il suo architetto e amico personale.: ”Hitler voleva costruire un gigantesco Luftstadion (stadio aereo), in cui, una volta all’anno, 100mila spettatori dovevano prendere posto a sedere nel giro di trenta minuti sulle tribune costruite sul tetto e ammirare le parate della Luftwaffe, l’aviazione militare di Hermann Göring”, racconta Lars. Perché questo fosse possibile, Hitler concepì la struttura ispirandosi al Colosseo, con entrate da tutte le parti. “Le tredici torri della facciata esterna non hanno altra funzione che quella di portare in mezz’ora 100mila persone sul tetto”, spiega Lars. Propaganda nazista: il popolo tedesco doveva sentirsi parte di una grande massa. La tribuna ovviamente non è mai stata realizzata e le scale interne delle torri d’accesso fanno parte di quel 20% di lavori che non sono stati portati a termine a causa dello scoppio della guerra. Ora l’aeroporto è un monumento, tutto deve rimanere così com’è e scendere le scale rimaste allo stato grezzo in cui erano nel 1939, fa un po’ impressione. Berlino deve avere uno speciale legame con gli aeroporti non finiti, visto le sorti del BER, il nuovo aeroporto internazionale, la cui apertura è stata rimandata oramai più volte negli ultimi anni.
Breve storia di Tempelhof
Il nome Tempelhofer Feld, il terreno su cui sorge l’aeroporto, compare per la prima volta in documenti del 1351, quando Berlino esisteva insieme alla sua gemella Coelln. Per secoli l’area è un semplice enorme terreno adibito a coltivazione ed è con l’inizio del ‘900 che Tempelhof inizia a imprimere il proprio nome nella storia della navigazione aerea mondiale. Il 29 agosto del 1909, il dirigibile LZ 6 del conte Ferdinand von Zeppelin si alza di cento metri sopra il Tempelhofer Feld, alla presenza del Kaiser Guglielmo II e di 300mila berlinesi entusiasti. Dal 4 al 17 settembre dello stesso anno, il pioniere dell’aviazione, l’americano Orwell Wright, compie dei voli dimostrativi con la sua macchina volante Aeroplan. Riesce a volare per un’ora all’altezza di 160 metri.
Da allora s’inizia a pensare alla realizzazione di un aeroporto. Il primo aeroporto centrale di Berlino sorge nel 1923 in un’area del Tempelhofer Feld vicino all’attuale Columbiadamm. Presto, nel 1927, si costruisce il secondo aeroporto centrale di Berlino, molto più moderno e funzionale. È l’aeroporto della Repubblica di Weimar, “Il primo vero aeroporto tedesco”, sottolinea Lars. Il 6 gennaio del 1926 intanto era nata la Deutsche Luft Hansa A.G. che aveva Tempelhof come sede. Tempelhof diventa in quegli anni il primo aeroporto in Europa, superiore persino a Parigi, Londra e Amsterdam.
Nel 1933 i nazisti assumono il potere e le nubi nere dei campi di concentramento iniziano a formarsi sopra Tempelhof. La Columbia-Haus, sull’attuale Columbiadamm, che si trovava al margine settentrionale del Tempelhofer Feld e che faceva parte del complesso di caserme esistente, diventa una prigione della Gestapo e l’anno dopo un KZ, un campo di concentramento, l’unico su suolo berlinese. Ora non c’è più alcuna traccia, ma un monumento commemorativo.
A causa anche dell’aumento vertiginoso del flusso di passeggeri, nel 1934 Adolf Hitler spinge avanti i progetti per la costruzione di un nuovo edificio. Il Reichsluftfahrtministerium, il Ministero dell’aeronautica del Reich, sotto la guida di Hermann Göring, si accolla le spese per il finanziamento e diventa il costruttore del progetto. Nel 1936 iniziano i lavori sotto la direzione di Sagebiegel: venti cantieri vengono aperti contemporaneamente sul posto, 4mila operai tedeschi lavorano ininterrottamente, a turni di sei ore, tutto il giorno. Nel 1939 l’aeroporto è quasi ultimato ma lo scoppio della guerra impedisce di portare a termine i lavori. Anche il traffico civile, ovviamente, s’interrompe lasciando vuoto un aeroporto progettato per smaltire sei milioni di passeggeri l’anno. Tempelhof diventa il centro di produzione principale di aerei che servono per la guerra, in particolare gli Junkers Ju 87, detti anche Stuka (in tedesco Sturzkampfflugzeug, “aereo da combattimento in picchiata”), i micidiali bombardieri monomotore leggeri, capaci di lanciare bombe mentre volano in picchiata. Dovevano essere determinanti per la riuscita della Blitzkrieg, l’iniziale guerra-lampo di Hitler, prima, e per la difesa contro l’avanzante Armata Rossa, poi. “Qui furono prodotti oltre 5.000 Stukabomber. Appena la Wehrmacht conquistava un paese, faceva prigionieri di guerra e li mandava a lavorare a Tempelhof. 5.000 europei di ventuno nazioni sono stati impegnati nei lavori”, ci racconta ancora Lars.
“Poi, salendo su da Neukölln, nell’aprile del 1945 i sovietici occuparono l’aeroporto e tre mesi dopo, a luglio, lo consegnarono agli americani. Da questo momento comincia la fase americana”, ci rinfresca la memoria la guida. Ed è in questa fase cruciale della storia del Novecento, caratterizzata dalla guerra fredda e dalla paura di un conflitto nucleare, che Tempelhof entra dritto nel mito e nel cuore di tutti i berlinesi, stravolgendo i rapporti fra vincitori e vinti della Seconda Guerra Mondiale.
La Luftbrücke, il ponte aereo, ovvero come nacque l’amicizia fra americani e tedeschi
Il Douglas D 54 Skymaster è la versione militare del DC-4. È un aereo con un’apertura alare di 36 metri, lungo 29 metri e alto più di 8. È dotato di quattro motori da diciotto cilindri e può portare fino a quindici tonnellate di carico a una velocità di 450 km/h. Per undici mesi, dal 26 giugno 1948 fino al 12 maggio 1949, il Douglas D 54, insieme con altri aerei della U.S. Air Force e della Royal Air Force inglese, ha fatto la spola fra Berlino Ovest e gli aeroporti di Francoforte, Wiesbaden e altre città della Germania occidentale per 278.228 volte con lo scopo di rifornire gli oltre due milioni di abitanti dei settori occidentali di Berlino di più di due milioni di tonnellate di merci fra generi alimentari, carbone, attrezzature, medicinali e altro materiale.
La notte del 24 giugno 1948, infatti, il leader dell’Unione Sovietica, Iosif Stalin, aveva deciso di interrompere tutti i collegamenti stradali, ferroviari e fluviali che attraversavano il territorio tedesco-orientale e che univano le zone tedesche di occupazione occidentale e Berlino Ovest. L’aveva fatto come risposta all’introduzione, avvenuta nel febbraio 1948, da parte degli americani, del Marco tedesco nelle aree in cui si erano stanziati gli Alleati. Gli americani pensavano che per la stabilità economica del nuovo stato tedesco fosse necessaria una moneta forte e così dal 21 giugno 1948, anche nell’isola di Berlino, il Deutsche Mark diventa l’unico mezzo di pagamento legale. Berlino è piena di rovine, non c’è ancora il Muro, che sarà costruito nel 1961, ma le due visioni del mondo, americana e sovietica, dividono la città in due società diverse.
La risposta dei sovietici all’introduzione del Marco occidentale non si fa attendere e già nei giorni seguenti Stalin blocca le vie d’accesso a Berlino e sospende la fornitura di energia elettrica. Oltre due milioni di persone si trovano improvvisamente senza luce e con scorte di carbone e viveri sufficienti solo per poche settimane. In questo modo le autorità sovietiche puntano a indurre la popolazione berlinese a chiedere agli americani di andarsene dalla città, non potendo resistere a lungo in quelle condizioni. I berlinesi però, costretti a scegliere in quale sistema economico vivere, hanno le idee chiare: vogliono stare con gli americani. Oggi, vicino all’entrata principale dell’aeroporto, si può vedere una targa con l’effige di Lucius D. Clay, il governatore militare delle zone di occupazione americana in Germania, considerato il padre della Luftbrücke, il ponte aereo. In realtà sembra che Clay volesse portare subito mezzi corazzati americani verso Berlino facendo ripiombare il mondo sull’orlo di un nuovo conflitto. Effettivamente l’idea del ponte aereo fu degli inglesi e il 26 giugno 1948, a Washington, il Presidente americano Truman e i suoi collaboratori decidono di dare avvio all’Operazione Vittles, mirata al rifornimento di Berlino attraverso un ponte aereo. È il primo capitolo della Guerra Fredda che lascerà il mondo con il fiato sospeso per oltre quarant’anni.
Alla fine dell’intera operazione, che viene dichiarata ufficialmente conclusa solo il 6 ottobre 1949, sono stati trasportati in totale 2,34 milioni di tonnellate di merci. A Tempelhof era atterrato un aereo ogni tre minuti. Il picco viene raggiunto il 16 aprile 1949: nell’arco di ventiquattro ore, 1400 voli trasportano quasi 13.000 tonnellate di merce. In quel giorno ogni sessantatré secondi un aereo atterrava nello scalo berlinese. Per fare toccar terra ad aerei di questa stazza non bastava certo il fondo in erba del Tempelhofer Feld. Le piste di atterraggio e di decollo che si vedono oggi furono costruite dagli americani in otto settimane, proprio in occasione del Luftbrücke. Nel complesso, l’impresa costa la vita a più di settanta persone.
La popolazione impara a riconoscere gli aerei che arrivavano dal rumore dei motori. Quello del D 54 Skymaster è particolarmente caro ai berlinesi e soprattutto ai bambini perché una volta sopra la città, i piloti aprivano il finestrino (negli aerei di allora si poteva fare) e lanciavano sacchetti pieni di cioccolata, caramelle e uvetta attaccati a dei mini paracadute. L’idea è di uno dei piloti della U.S. Air Force: “Il suo nome era Gail Halvorsen, è ancora vivo, ha novantotto anni, è cittadino onorario della città di Berlino”, ci dice Lars. Dall’uvetta, in tedesco Rosinen, viene il termine Rosinenbomber, il nome con cui il Douglas Skymaster era conosciuto dai berlinesi e che più di altri aerei ha contribuito a creare il mito di Tempelhof.
Presente e futuro di Tempelhof
Ho fatto appena in tempo a vedere un gruppo di ragazzini iracheni, siriani, afgani giocare a pallacanestro in un campo disegnato all’interno dell’hangar 1 dell’aeroporto di Tempelhof. Poi, un signore della sicurezza, arabo, mi ha buttato fuori e in un tedesco fluente mi ha rimproverato perché negli hangar gli “esterni” non possono proprio entrare. Dall’ottobre 2015, l’inizio della Flüchtlingskrise, la crisi dei rifugiati, gli hangar dell’ex aeroporto di Tempelhof sono diventati campi profughi. Al momento, giugno 2017, solamente 400 persone all’incirca vivono in una struttura che è in grado di accoglierne 4.000, ma che rimane comunque inadeguata per offrire una sistemazione decorosa ai rifugiati: gli hangar sono enormi e altissimi e gli ospiti dormono in sei, in box senza tetto. Le poche persone che in questa domenica pomeriggio assolata se ne stanno nei prati o rientrano verso il loro domicilio provvisorio, e a cui riesco a chiedere come si trovano, affermano con decisione che là dentro ist nicht gut. “Si dorme male, c’è caldo, rumore”, mi dice con una certa rassegnazione un ragazzo iracheno di ventisei anni, con capelli e occhi nerissimi. Entro settembre 2017 lui e gli altri ospiti del campo profughi all’interno dell’ex-aeroporto dovranno sgombrare: troppo alti i costi di gestione di una struttura così imponente e, soprattutto, niente ricavi dagli affitti degli spazi. L’atmosfera particolare dell’aeroporto è, infatti, molto gradita agli organizzatori di eventi, che dal 2009 allestiscono negli hangar e nelle sale fiere, congressi e diversi festival. Tutti contratti sospesi, con pagamento di penale per il Land di Berlino, per far fronte alla crisi umanitaria dei rifugiati.
Questi ultimi dovranno trasferirsi adesso nel Tempohome (Temporary homes), uno dei trenta complessi abitativi sparsi per Berlino, costituiti da container tristi e desolanti ma che perlomeno offrono ai rifugiati un po’ più privacy degli enormi hangar o palestre della città in cui sono alloggiati adesso. Il Tempohome di Tempelhof sta sorgendo proprio accanto all’ala laterale orientale dell’edificio, sul Columbiadamm, a ridosso di quello che era il piazzale di manovra degli aerei. Le unità abitative-container hanno una superficie di 13 metri quadri e sono attrezzate con letti, tavoli, sedie e armadio. Cucina e servizi sanitari esterni. Sono soluzioni temporanee, provvisorie, che il Land di Berlino ha previsto non durino più di tre anni. Il colorato circo Cabuwazi, che è già sul posto, dovrà rendere più piacevoli le lunghe giornate di bambini e ragazzi.
“Il problema maggiore per i rifugiati qui a Tempelhof è la noia, non avere niente da fare tutto il giorno. Il rischio è l’apatia, la depressione”, mi dice Julia, una giovane ragazza tedesca che lavora come volontaria nel progetto InfoCompass e che incontro nel THC Cafè, il Caffè dei rifugiati, allestito nella sala antistante all’hangar 1 come un caratteristico bar berlinese con divanetti e poltroncine vintage. Il mercoledì è aperto a tutti, per dare la possibilità ai cittadini, agli ospiti del campo e ai volontari di incontrarsi, conoscersi e scambiare esperienze. InfoCompass Berlin, della VSKA (Verband für sozial-kulturelle Arbeit), vuole essere una piattaforma digitale e reale d’informazione e aiuto per l’integrazione dei rifugiati. “È molto semplice”, mi spiega Julia di fronte a un monitor touch-screen. “Qui i rifugiati trovano risposte, nella loro lingua, a ogni interrogativo su casa, lavoro, corsi di tedesco. Il problema più grande è il ricongiungimento familiare”, spiega.
Il signore arabo che mi aveva allontanato mi tiene d’occhio tutto il tempo, non vuole che superi la linea che separa l’hangar dal bar ma ho comunque modo di gironzolare e vedere pareti divisorie fatte di libri che formano salette con tavoli e sedie. Ci sono delle persone che parlano con i nuovi immigrati; alcune di esse devono far parte del team di oltre cento psicologi, assistenti sociali e interpreti che sono stati reclutati per far fronte a un intervento umanitario di così vaste proporzioni. L’azienda specializzata nella gestione di simili situazioni di crisi, e che dal 24 ottobre 2015 gestisce il campo profughi dell’ex aeroporto, si chiama Tamaja. Ha già iniziato a licenziare parte del personale in previsione della chiusura del centro. Michael Elias, il capo di Tamaja Berlin GmbH, aveva avvertito fin dall’inizio che questo tipo di sistemazione non poteva durare a lungo.
Per sfruttare al meglio la capacità dell’edificio, l’amministrazione mette a disposizione ogni notte, nell’hangar 2, fino a cento posti letto per i senzatetto che qui possono mangiare e lavarsi. È previsto comunque che, anche dopo l’uscita dei rifugiati, annunciata come detto entro la fine dell’estate 2017, l’aeroporto di Tempelhof continui a servire come centro di prima accoglienza per profughi e richiedenti asilo. Due degli hangar, si apprende dai giornali berlinesi, dovrebbero essere mantenuti come alloggi di emergenza nel caso il numero dei profughi torni ad aumentare.
Se l’area verde urbana più grande del mondo oggi è ancora a disposizione degli abitanti e turisti di Berlino, si deve a un comitato di cittadini, sorto nello Schillerkiez, un quartiere di Neukölln che si trova a est del parco. Il comitato, che si chiama “100% Tempelhofer Feld”, è nato nel settembre 2011 con l’intento di opporsi ai progetti del Senato che prevedevano la costruzione nel parco di abitazioni, centri commerciali e della nuova Zentral- und Landesbibliothek della capitale. Dopo la raccolta delle firme, il referendum, che si è tenuto il 25 maggio 2014, ha visto il 64,3% dei berlinesi pronunciarsi per far rimanere Tempelhofer Feld quello che era diventato dall’8 maggio 2010, ovvero un parco pubblico.
Già prima della chiusura del traffico aereo – l’ultimo velivolo è decollato alle 22.12 del 30 ottobre del 2008 per un breve volo diretto a Tegel – anche per l’imponente e monumentale edificio hanno iniziato a formarsi vari comitati, alcuni per la chiusura dell’aeroporto ma altri si sono formati in difesa della riapertura di Tempelhof come aeroporto cittadino.
Quello che accadrà nei prossimi anni all’ ex aeroporto non possiamo saperlo e nemmeno immaginarlo ma ciò che possiamo invece augurarci lo facciamo dire ancora una volta a Norman Forster, autore della celebre cupola del palazzo del Reichstag berlinese; nel 2009 l’architetto inglese ammoniva: “Tempelhof dovrebbe essere una cosa della coscienza nazionale. È troppo importante per sacrificarlo sull’altare degli interessi commerciali”.
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Foto di copertina: Il Flughafen Templhof nel pieno della sua attività di aeroporto. © Wikicommons
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