Le esultanze di Steffi Graf al termine di un torneo raramente sono esagerate, emozionali o estreme: dei centosette titoli vinti, pochi sono stati festeggiati distesa sul terreno con la racchetta lanciata in aria e le lacrime agli occhi. L’impatto di quella pallina che pesa tra i 56 e i 59,4 grammi sulle corde della racchetta diventa una passione sin dai primi colpi, tirati a tre anni, nel salotto di una casa operaia nella città di Mannheim, importante porto fluviale nel Sud della Germania. A muovere il braccio di questa ragazzina prodigio, che a 4-5 anni supera la rete da fondo campo e a 13 diventa professionista, sono sostanzialmente la voglia di migliorarsi sempre e un’innata tendenza al perfezionismo. Per questo, quando vince una coppa, la ragazzina, in cuor suo, pensa di aver fatto soltanto il suo dovere: non le resta che concentrarsi sul prossimo obiettivo. Non un modo sereno di affrontare la carriera, eppure l’unico possibile per Stefanie Maria Graf, per tutti, semplicemente, Steffi.
Alla fine degli anni Ottanta, mentre i Pink Floyd suonano a Venezia in uno dei concerti più discussi di sempre in Italia, Tim Burton dirige il suo primo Batman e la Germania Ovest si riunisce all’Est dopo la caduta del muro di Berlino, il mondo del tennis viene scosso dall’arrivo di una timida ventenne.
Non si esagera, quando si dice che esiste un prima e un dopo Steffi Graf, nel circuito tennistico femminile. La sua potenza, unita alla rapidità, la sua tenuta su qualsiasi tipo di superficie, la sua forza mentale, un dritto mai visto prima su un campo da tennis, la tecnica incredibile, la forma fisica, la portano sul tetto del mondo sin dal 1987, ad appena diciotto anni.
Nel 1988 i suoi colpi dipingono d’oro ogni superficie dei tornei dello Slam, fino all’Olimpiade di Seul, che la porta ad essere l’unica atleta della storia (maschile o femminile) a completare il Calendar Year Golden Slam.
Tracciando un’ipotetica linea dritta tra Mannheim e la capitale sudcoreana, il primo punto degli ottomila chilometri percorsi per diventare la miglior tennista di sempre è rappresentato dalla città di Stoccarda. Qui, a due passi dalla Foresta Nera, la Graf fa il suo esordio tra le professioniste. Nonostante sia campione d’Europa under 18 in carica, il debutto non è di quelli soft: a fronteggiarla trova infatti Tracy Austin, vincitrice degli US Open nel 1979 e nel 1981. Dopo aver battuto Steffi con un agevole 6-4, 6-0, l’americana sentenzia: «Niente di speciale, in America esistono centinaia di giocatrici come lei». Corre l’anno 1982, la Graf ha tredici anni. Gliene serviranno solamente altri cinque per guardare dall’alto tutte le tenniste del globo.
Fräulein Forehand, “Miss dritto”, come viene soprannominata per via del suo devastante colpo, non si trova molto a suo agio sotto i riflettori. Nel corso di tutta la carriera combatte con una naturale timidezza, che molti scambiano, sbagliando, per freddezza tedesca. Eppure Steffi è tutto, tranne che algida: è sensibile e molto attaccata ai suoi affetti, e quando la conosci si rivela una persona estroversa e di compagnia. Ma è un’antistar, una donna semplice, che ama stare lontano dai riflettori. Non le vanno a genio l’esposizione mediatica e la vita mondana, nel tempo libero preferisce visitare musei, scattare fotografie, rimanere in famiglia. Ma quando a diciannove anni hai già vinto tutti i tornei più prestigiosi al mondo e sconfitto le migliori tenniste del mondo, è dura non attirare l’attenzione.
30 aprile 1993. Monica Seles è una tennista serba (all’epoca jugoslava) naturalizzata americana. La Seles, nuovo astro nascente del tennis, è la prima atleta che dà l’impressione di poter veramente spezzare l’egemonia della tedesca. Formatasi nelle prolifica e durissima accademia americana di Nick Bollettieri, da cui è passato anche Andre Agassi, a 19 anni ha già vinto tre Open di Francia (il primo a 16 anni e 6 mesi, la più giovane di sempre), tre Australian Open e due US Open, strappando alla Graf la corona di numero uno al mondo.
La rivalità tra questa giovane scatenata e la glaciale Steffi è appassionante e incerta. Per la prima volta, la Graf trova un’avversaria che la mette davvero in difficoltà: sono in molti, fra esperti e tifosi, a sostenere che la Seles sia più forte e che il percorso per diventare la più forte tennista di sempre sia ormai tracciato.
Poi, a un tratto, finisce tutto, in un pomeriggio di fine aprile, al torneo di Amburgo, durante l’incontro tra Monica Seles e la bulgara Magdalena Maleeva. A bloccare la Storia è un trentottenne sociopatico tedesco, Günter Parche: durante un break, mentre la giovane serba sta bevendo seduta sulla panchina, l’uomo scavalca le barriere ed entra in campo brandendo un coltello di 23 centimetri. Prima che qualcuno riesca a intervenire, Parche si lancia sulla Seles e le pianta la lama nella schiena. L’atmosfera è surreale: la Seles non si accascia subito al suolo, ma resta in piedi, con una faccia quasi stupita, mentre il folle aggressore viene bloccato dalla security.
«Fino ad allora ero al centro del mondo. Frequentavo gente famosa, firmavo autografi ai fan, incontravo persone interessanti, mangiavo nei ristoranti migliori, dormivo negli hotel più lussuosi e mi guadagnavo un modo di vivere fenomenale giocando a uno sport che amavo con tutto il cuore. La vita non poteva essere più bella. […] Giocare a tennis era la cosa più divertente che potessi fare, ed ero brava a farlo.
Poi il mio mondo si sgretolò improvvisamente. Il 30 aprile del 1993 era un giorno pieno di sole e l’aria era fredda e frizzante. Stavo giocando ai quarti di finale al torneo di Amburgo contro Magdalena Maleeva. Conducevo per 6-4, 4-3, e stavamo facendo pausa durante un cambio campo. Ricordo che ero seduta, mi stavo asciugando il sudore con un asciugamano e poi mi sono sporta in avanti per bere un po’ d’acqua; la pausa era quasi terminata e avevo la bocca secca. Non appena mi porto il bicchiere alle labbra sento un tremendo dolore alla schiena. Mi volto di scatto e vedo un uomo con un cappellino da baseball, che mi guarda sogghignando. Le sue braccia erano sollevate sulla testa e teneva tra le mani un lungo coltello. Stava per affondarlo di nuovo verso di me».
Quel pazzo con il cappellino da baseball, fan ossessionato di Steffi Graf, interrompe la corsa della tennista serba, dando di fatto il via ad una seconda, devastante stagione di vittorie per la ragazza di Mannheim, che vince altri undici tornei del grande slam. Di questi, sei se li aggiudica durante la lunga convalescenza di Monica, che resta lontano dai campi per due anni.
Senza quell’episodio, parleremmo ancora di Steffi come della migliore tennista di sempre? Forse no: la Seles, con la sua incredibile energia, sembrava aver trovato delle contromisure all’incontenibile dritto e alla straordinaria continuità di Fräulein Forehand. L’unica cosa sicura è che, oltre a Monica, è proprio Steffi a soffrire più di tutti per quanto successo.
La Graf si sente in colpa per l’accaduto, soprattutto dopo la discutibile sentenza che dichiara Parche incapace di intendere e di volere e lo condanna a soli due anni di libertà vigilata. Va a trovare Monica in ospedale, cerca di avvicinarsi a lei tenendo allo stesso tempo lontani i riflettori. Steffi affronta un periodo arduo della sua vita nell’unica maniera possibile: giocando (e, di conseguenza, vincendo). In quella stessa stagione, aperta con una sconfitta al terzo set a Melbourne contro Monica, Steffi torna a vincere il Roland Garros (4-6, 6-2, 6-4 in finale contro Mary Joe Fernandez) e si ripete anche sull’erba di Wimbledon (7-6, 1-6, 6-4 alla giovane Novotná) e a Flushing Meadows (6-3, 6-3 su Helena Suková). Oltre ai successi nei tre slam, arrivano vittorie in altri tornei, che ingrossano ancor di più il suo sterminato palmares.
«Ho sempre aspettato la fine della mia carriera per dedicarmi alle mie passioni, poi ho incontrato Andre che mi ha cambiato completamente i piani». Quando la Graf e Agassi rendono pubblica la loro storia d’amore, media e tifosi vanno in tilt: troppo bella per essere vera. L’impeccabile Steffi con il ribelle Andre, la disciplina con la sregolatezza. Soprattutto, due dei tennisti migliori e più amati del periodo, così diversi all’apparenza ma così in sintonia sin dall’inizio, da quando lui inizia a tampinarla dopo due scambi insieme a Key Biscayne nel marzo del 1999. Al Roland Garros di quell’anno, ironia della sorte, Andre vince il suo primo e unico slam sulla terra rossa, mentre Steffi si porta a casa l’ultimo in assoluto della sua incredibile carriera. A Wimbledon 1999, ultima presenza su un grande palcoscenico della Graf, la corte serrata di Andre (che lui stesso definisce scherzosamente “stalking”) culmina in un appuntamento negli Stati Uniti a fine torneo. I sentimenti di lei per il vincitore di otto grandi slam (su quattro superfici diverse) continuano a crescere, fino a quando, nel settembre 1999, la relazione diventa pubblica. Due anni dopo, a Las Vegas, a casa di Andre, i due si dicono sì per sempre. Quattro giorni dopo nasce il primogenito, mentre nel 2003 arriva la piccola Jaz Elle. Chi l’avrebbe immaginato nel 1992, quando, vincitori a Wimbledon, erano saliti sul palco insieme alla serata di gala inglese, lui ancora con capello lungo e meches, lei impacciata in un vestito dall’eleganza rivedibile: due mondi paralleli.
La relazione con Agassi regala una nuova dimensione pubblica per la campionessa tedesca, di cui tutti si erano innamorati molti anni prima, nel 1988, quando Steffi, come menzionavamo poco sopra, riscrive la storia del tennis. La sua incredibile cavalcata di quell’anno inizia sul cemento del Melbourne Park, dove non ancora ventenne asfalta qualsiasi avversaria le si pari davanti, conquistando la terra dei canguri per la prima volta in carriera. Nelle statistiche, alla voce “set concessi”, si trova una bella virgola: zero.
A Parigi, qualche mese dopo, si assiste alla sublimazione del tennis della Graf. Dopo l’ultimo atto la tedesca deve addirittura scusarsi con il pubblico: «I’m sorry it was too fast» dice sinceramente imbarazzata nell’intervista post-partita. In effetti, quando mai si è vista una finale del Roland Garros durare trentadue minuti? 6-0, 6-0 alla malcapitata Zvereva, in una delle più incredibili prove di forza mai viste su un campo da tennis. Set persi in tutta la competizione? Virgola, ça va sans dire.
È a questo punto inizia a farsi strada l’idea del grande slam nella testa della Fräulein Forehand, ma a Wimbledon, in finale, la attende la regina Martina Navratilova, otto volte vincitrice sull’erba dell’All England Lawn Tennis and Criquet Club, di cui le ultime sei consecutive. Non bastano a fermare la ragazza venuta dal sud della Germania. Dopo aver concesso il primo set, la Graf sale in cattedra e fa crollare l’impero dell’americana sotto i suoi mortiferi colpi: 5-7, 6-2, 6-1: è il terzo slam dell’anno.
La pressione inizia ad aumentare, nessuno pensa ormai che Steffi possa perdere. L’ostacolo finale per la conquista degli US Open è la sua amica Gabriella Sabatini, con cui a Wimbledon di quell’anno Steffi ha conquistato l’unico slam della carriera in doppio. Il match è teso, senza esclusione di colpi, ma alla fine anche la combattiva argentina deve farsi da parte nel percorso che il destino ha disegnato per Stefanie Maria Graf. 6-3, 3-6, 6-1 e en-plain agli slam.
Non finisce qui: la magica annata della tedesca diventa leggendaria il primo ottobre 1988, a Seul. Il tennis è appena stato reintrodotto come disciplina olimpica (non lo era dal 1924), dopo l’edizione dimostrativa, con soli under21, di Los Angeles 1984. Nel mondo in quell’anno ci sono circa cinque miliardi di persone; poi c’è un marziano, atterrato a Mannheim il 14 giugno 1969 con una racchetta in mano: si chiama Stefanie e si porta a casa anche l’oro olimpico con addosso la divisa della Germania Ovest. A farne le spese, ancora la Sabatini: 6-3, 6-3, Golden Slam in tasca e tanti saluti all’amica-rivale. Tutto lo sport è ai suoi piedi. Tra i tanti premi e riconoscimenti, arriva il titolo di miglior atleta straniera dell’anno per la BBC. Non che lei sprizzi gioia da tutti i pori. Ad Amburgo un ragazzo grida: «Steffi, come mai non sorridi?» e lei si gira e risponde: «Devo sorridere, o giocare?». Classica Graf.
Se in quel periodo su tutte le superfici Steffi ha sempre in mano le redini del gioco, fuori dal campo le sue decisioni sono guidate, se non prese, da un padre troppo presente, sin da quando è bambina. Peter Graf, assicuratore, dedica il suo tempo libero alla figlia. È il suo progetto di campionessa, la allena lui stesso per farla diventare la migliore del mondo, come Mike Agassi con il piccolo Andre. Genitori simili, reazioni diverse: se lui spesso gioca contro il padre, lei non vuole deluderlo, e ce la mette davvero tutta.
Peter è sempre al fianco di Steffi, in campo e fuori, le dice chi frequentare quando non si allena. Vuole proteggerla, ma finisce per ferirla: la vita sociale della tedesca, per tutta la prima parte della sua avventura tennistica, è quasi inesistente. Oltre al suo tempo libero, il padre controlla anche i suoi allenatori, le sue tabelle di training e soprattutto gestisce tutte le sue finanze. E quando vinci in media una decina di tornei del circuito WTA all’anno, i tuoi guadagni non sono proprio noccioline.
Peter già nel 1990 ha imbarazzato sua figlia finendo sui giornali di gossip per una relazione clandestina con una modella di Playboy. Quando cinque anni più tardi viene indagato per evasione, il rapporto con Steffi è ormai alle corde. Ovviamente ha mentito sui suoi guadagni, ma su quelli della figlia. «Double fault in the Graf empire» titolano i giornali: Peter Graf ha smesso di considerare la ragazza una macchina da tennis e ha cominciato a trattarla come un Bancomat.
Quando viene indagato dal governo federale tedesco, la Polizei lo trova con un milione di marchi nascosti in un sacchetto di plastica: Steffi è sotto shock. Uno shock che però non influisce sulle sue prestazioni sportive, ma che anzi le migliora: ancora una volta, il tennis è l’unica via di fuga, assieme alla figura della madre, con cui si confida, con la quale ha da sempre un rapporto molto forte. Durante il caos giudiziario la Graf aggiunge al suo palmares due Wimbledon, due Roland Garros e due US Open (1995 e 1996), terminando l’anno da numero uno del mondo. Gioca un tennis pazzesco, ma moralmente è sotto un treno. Viene indagata anche lei, come sospetta complice e, nonostante sia prosciolta nel marzo 1997 (il padre viene condannato a quattro anni), paga 775mila dollari al governo e in beneficenza.
La vita che Steffi decide di prendere in mano non ha il colore d’oro delle medaglie, ma ha finalmente un sapore dolce. A pochi giorni dalla sentenza di proscioglimento, dopo settimane passate in infermeria per continui problemi fisici, Steffi cede a Martina Hingis il primato nel ranking WTA, abbandonando per sempre quel primo posto appartenuto a lei per 377 settimane in tutto, di cui 186 consecutive, durante gli anni d’oro del golden slam.
La storia, ovviamente, non finisce qui. Tutti i più grandi hanno diritto a un ultimo ballo, e quello di Steffi è una favola da “Mille e una notte”. A Parigi, nel 1997, Steffi mette in campo tutto quello che ha, tutti i sacrifici e le fatiche di vent’anni di carriera vengono sbattute sulla terra del Roland Garros, colpo dopo colpo. Arriva da outsider, ma ai quarti abbatte la numero due del mondo, Lindsay Davenport (6-1, 6-7, 6-3) e in semifinale sconfigge in rimonta (6-7, 6-3, 6-4) la sua vecchia rivale, Monica Seles, nel frattempo tornata ai vertici.
Dall’altra parte, nel tabellone maschile, ha raggiunto la finale un certo Andre Agassi, mai prima di quell’anno vincitore al Roland Garros. In una finale epica, Andre rimonta l’ucraino Andrij Medvedev, che lo ha strapazzato i primi due set (il finale sarà 1-6, 2-6, 6-4, 6-3, 6-4), portandosi a casa l’unico slam che ancora manca alla sua bacheca, lui che ha vinto anche l’Olimpiade del ’96 di Atlanta davanti al suo pubblico.
Anche Steffi riesce a capovolgere un risultato che sembra ormai scritto: perde il primo set contro la numero uno al mondo Martina Hingis e nel secondo si trova sotto prima 1-3 e poi 4-5 con l’avversaria al servizio. Ma nulla può rovinare questa sceneggiatura hollywoodiana. 7-5, 6-2 e braccia al cielo per la Graf: «È incredibile, questo sarà il mio più bel ricordo» esclama ai microfoni, finalmente felice e disposta a lasciare che la gente guardi dentro il suo cuore. Hai vinto il tuo ventiduesimo slam, su 107 titoli totali in carriera, e hai davanti tutta una vita. E allora goditela, Steffi. Te lo meriti.
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