Domenica 3 aprile 1938. È un bel pomeriggio di sole a Vienna mentre 60.000 persone si dirigono verso il mitico stadio Prater. In programma non c’è una semplice partita di calcio. A sfidarsi sono infatti Austria e Germania, in un incontro celebrativo che sancirà lo scioglimento della formazione austriaca: i migliori giocatori verranno accorpati alla squadra tedesca. Sono passate appena tre settimane dall’invasione nazista dell’Austria, culminata nel cosiddetto Anschluss (Annessione) e nel famoso discorso che Adolf Hitler, il 15 marzo 1938, pronuncia nella Heldenplatz, la piazza degli Eroi, di fronte a una folla festante di oltre 200.000 persone, accorse per salutare l’avvento del Reich. “Als Führer und Kanzler der deutschen Nation und des Reiches melde ich vor der deutschen Geschichte nunmehr den Eintritt meiner Heimat in das Deutsche Reich / In qualità di Fuhrer e Cancelliere della Nazione tedesca e del Reich, annuncio davanti alla storia l’entrata della mia Patria nel Reich tedesco.” Comincia così il dissolvimento della nazione austriaca dentro i confini della Grande Germania. L’Österreich diventa provincia tedesca e assume il nome di Ostmark.
A pochi giorni dal referendum del 10 aprile con il quale i cittadini austriaci sono chiamati a pronunciarsi sull’annessione (l’Anschluss verrà ratificato grazie al supporto del 99.7% dei votanti) i gerarchi nazisti decidono di organizzare un grande evento sportivo, una partita di calcio fra Austria e Germania che simbolizzi la fratellanza fra i due popoli, doni lustro al nuovo corso nazista e sancisca, contemporaneamente, l’ultima partita della formazione austriaca in quanto stato indipendente.
Si tratta in realtà di un’abile mossa promozionale.
Joseph Goebbels, ministro della propaganda nella Germania hitleriana, ha ben compreso quale possa essere il peso specifico delle vittorie sportive per la costruzione del consenso popolare.
I mondiali di calcio del 1934, organizzati e vinti dall’Italia fascista grazie alle enormi pressioni di Mussolini sui direttori di gara, costituiscono un esempio perfetto di come sia possibile utilizzare l’impresa sportiva per fini politici. Le stesse Olimpiadi di Berlino del 1936, terminate dalla Germania in testa al medagliere con 89 podi, costituiranno uno dei passaggi cruciali nell’opera di popolarizzazione del Reich dentro e fuori i confini tedeschi.
La scelta è insomma politica: i giocatori austriaci devono entrare a far parte della Mannschaft germanica e condurla a un buon risultato ai Mondiali di Francia del 1938.
Joseph Goebbels, ministro della propaganda nella Germania hitleriana, ha ben compreso quale possa essere il peso specifico delle vittorie sportive per la costruzione del consenso popolare.
La sfida fra le due compagini sulla carta è impari. La formazione austriaca è un po’ invecchiata, ma continua a essere un riferimento calcistico assoluto in tutto il mondo. Il Wunderteam lo chiamano, la squadra delle meraviglie. I ragazzi del tecnico Hugo Meisl giocano la palla di prima, con passaggi veloci, tanta corsa e colpi tecnici di grande livello. In campo l’Austria ha un approccio tattico moderno, che si rifà alla scuola scozzese, introdotta sui campi di Vienna dal britannico Jimmy Hogan. Fra il 1931 e il 1932 il Wunderteam raggiunge una striscia di 14 vittorie consecutive. Fra queste, anche un perentorio 11-0 con il quale l’Österreich, in match di andata e ritorno, regola una Germania completamente in bambola di fronte al fantastico team di giocatori austriaci. Su tutti, il capitano Walter Nausch, velocissima ala sinistra, il leggendario mediano Joseph Smistik, famoso per la sua straordinaria resistenza e per la capacità di scatenare precisissime palle lunghe per i temibili contropiede austriaci e Karl Sesta, incontenibile terzino destro, soprannominato “La Lama” per la facilità di inserimento palla al piede dalla metà campo, a tagliare, come una lama, il baricentro avversario.
Con loro, il Mozart del calcio: Matthias Sindelar.
Sinderlar non è un giocatore come tutti gli altri.
I cronisti dell’epoca lo chiamano Der Papierene, Carta velina, per la morbidezza dei suoi movimenti: si sposta su e giù per il campo, la palla attaccata al piede destro, con l’andatura sfumata, leggera, mutevole, come un lieve pezzo di carta abbandonato ai sospiri del vento.
Sindelar è un vero genio del calcio, in campo fa quello che gli pare, per fermarlo devi dargli una pedata e buttarlo per terra, nel fango, a masticare l’erba: allora sì che puoi riuscire, finalmente, a guardarlo negli occhi. In piedi no, in piedi non lo prendi mai.
Matthias Sindelar non è soltanto un grande giocatore di calcio: è anche un uomo convinto delle sue idee. Cresce in una famiglia operaia, in un piccolo paese della Moravia, allora parte del grande Impero austro-ungarico. Il padre fa il muratore, la mamma manda avanti la casa e tiene a bada i quattro figli piccoli. Nel 1905, quando Matthias ha appena 2 anni, i Sindelar fanno i bagagli e lasciano il villaggio di Kozlov, destinazione Vienna. Si stabiliscono nel quartiere meridionale di Favoriten, uno dei sobborghi popolari della capitale austriaca, avvolto dal fumo delle fabbriche e di sigarette consumate nei caffè affollati della Neilreichgasse. Quando scoppia la prima guerra mondiale, il signor Sindelar imbraccia il fucile e va a difendere i patri terreni nella tremenda guerra di trincea combattuta dagli austriaci contro l’esercito del Regno d’Italia, sul fronte dell’Isonzo: verrà ucciso in battaglia nel 1916. A casa i soldi non bastano più, Matthias ha 14 anni e viene mandato a fare il fabbro in una piccola bottega di quartiere. Ma il suo futuro è lontano dalla periferia.
A 13 anni viene tesserato per l’ASV Hertha Wien, il campo è proprio accanto a casa. Sindi, come lo chiamano i compagni, è nettamente più forte di tutti gli altri e ad appena 18 anni esordisce in prima squadra, nella lega più importante del Paese. Il suo stile di gioco impressiona da subito avversari e spettatori. Magrolino, rapido, la sensazione che possa precipitare per terra da un momento all’altro, Sindelar s’impone da subito come uno dei giocatori più interessanti del campionato. È così che nel 1924, quando l’Hertha attraversa un momento di crisi economica, viene tesserato da una delle due squadre più note della città, il glorioso Austria Wien.
Negli anni’20 Vienna è una delle grandi capitali europee della cultura, del commercio e, sorprendentemente, anche del calcio, seconda solo a Londra: è proprio qui che, nel 1924, viene fondata la prima lega professionistica al di fuori dei confini inglesi ed è sempre qui che, già nel 1921, si contano ben 37.000 giocatori ufficialmente registrati. Nella sola area metropolitana viennese sono almeno 25 le squadre professioniste iscritte al torneo di prima categoria, senza considerare le decine di gruppi amatoriali che si ritrovano dopo il lavoro per tirare calci al pallone. Sono due, però, le squadre di Vienna in cui tutti sognano di giocare. Da una parte il Rapid Wien, originariamente Wiener Arbeiter, il club del proletariato viennese, fondato nel 1898 dagli impiegati di una fabbrica di cappelli. Il Rapid è la squadra della Vorstadt, la periferia che lotta con il cuore, centimetro dopo centimetro, quella che sul terreno di gioco non molla mai, che combatte su ogni pallone, sino all’ultimo minuto. Dall’altro lato della barricata, l’Austria Wien, in tutto e per tutto il club della borghesia intellettuale, i cui tifosi si riuniscono per discutere di poesia e letteratura, di filosofia e arte, chiusi nei bar fumosi della Innere Stadt. È all’Austria Wien, per uno scherzo del destino, che si ritrova a giocare il proletario Sindelar.
In pochi mesi Carta velina diventa un punto di riferimento fondamentale della squadra. I tifosi lo venerano, i compagni non hanno mai visto niente di simile con una palla al piede: il club vince il torneo nel 1926. L’anno seguente le cose vanno peggio, l’Austria Vienna chiude al settimo posto, ma la leggenda di Sindelar non si arresta: il numero 10 vince la classifica dei cannonieri e si conquista la chiamata in nazionale, bagnata con il gol vittoria del 2 a 1 contro la fortissima Cecoslovacchia, i cui giocatori sono soprannominati “i maestri”. Poche settimane dopo Sindi è ancora protagonista, con due dei sette gol rifilati dalla selezione austriaca alla nazionale svizzera. Sembra l’inizio di un’epopea sportiva incontenibile, ma a fermare la corsa di Sindelar è il rigido tecnico Hugo Meisl, un sergente di ferro per il quale la disciplina ed il rispetto delle regole vengono prima di qualsiasi capacità tecnica. Meisl mal digerisce il comportamento di Sindelar in una partitella di allenamento che la squadra austriaca perde contro una selezione amatoriale bavarese. Sindi gigioneggia, sbaglia volontariamente una serie di ottime occasioni da gol, si perde in tunnel e finte che irritano allenatore e compagni di squadra. La punizione di Meisl è inesorabile: prima di tutto viene la squadra e per questo motivo il Mozart del calcio non verrà più convocato per i successivi due anni.
Le sorti del talento più cristallino mai espresso dal football austriaco si decidono, come spesso a Vienna, in un caffè. È proprio in un ritrovo del centro infatti che nel febbraio del 1931 un gruppo di giornalisti e commentatori affronta a muso duro Meisl, convincendolo a dare una seconda chance a Sindelar.
Carta velina rientra a furor di popolo nell’undici austriaco nella partita contro la leggendaria Scozia: è il 16 maggio 1931. L’Austria si impone per 5 a 0, Sindelar mette a segno una rete e sforna assist per tutte e quattro le restanti segnature, i giornali britannici lo incoronano come uno dei giocatori più forti al mondo: nasce ufficialmente il Wunderteam.
L’Austria regala spettacolo e sconfigge tutte le nazionali più forti: Ungheria, Svizzera, Italia, Svezia, cedono sotto i colpi di Sindelar e compagni. Il 7 dicembre 1932, allo Stamford Bridge di Londra, la sfida più dura: l’Austria incontra l’Inghilterra guidata dal cannoniere Jimmy Hampson. La partita è epica. Gli inglesi si portano sul 2 a 0 con una doppietta proprio di Hampson e vanno al riposo in vantaggio. Rientrati dagli spogliatoi per la seconda frazione i ragazzi di Meisl prima accorciano le distanze con Zischek, ma poi incassano al settantesimo minuto il 3-1 inglese. Sindelar non accetta la sconfitta e sigla il 3 a 2 con uno straordinario fendente dalla media distanza. L’Inghilterra ribatte con la quarta rete, da azione di calcio d’angolo, ma è ancora Sindelar, all’ottantasettesimo minuto, ad illuminare Londra lanciando Zischek da solo davanti al portiere per il terzo gol dell’Austria. Il match si chiude sul 4-3 per gli inglesi, ma il Times assegnerà la vittoria morale della sfida alla nazionale austriaca, elogiando lo straordinario gioco dei ragazzi di Meisl e il talento puro di Sindelar, una vera e propria illuminazione per i 42.000 spettatori accorsi allo stadio. Gli osservatori dei più importanti club inglesi sono in visibilio, l’Arsenal offre la cifra, mostruosa per l’epoca, di 40.000 pounds per contrattare Carta velina, che però rifiuta: casa sua è a Vienna ed è lì che intende continuare a giocare.
L’Austria di Sindelar arriva ai mondiali italiani del 1934 da gran favorita. Ha battuto la Bulgaria per 6-1 nel match di qualificazione e si è sbarazzata di Francia e Ungheria nei due turni eliminatori disputati in maggio a Torino e Bologna. Arriva così il momento della semifinale. Domenica 3 giugno 1934, ore 15. Allo stadio San Siro di Milano accorrono 35.000 spettatori per supportare gli Azzurri nella difficile sfida contro il Wunderteam austriaco. In tribuna d’onore siede il Duce, Benito Mussolini. Il terreno di gioco è in condizioni pessime, una brutta notizia per i piedi raffinati dell’Austria. La squadra di Vittorio Pozzo ha battuto nel precedente incontro la Spagna per 1-0 in un duello arcigno e cattivo, nel corso del quale sono tre i giocatori spagnoli costretti ad abbandonare il terreno di gioco in barella. Anche contro l’Austria il copione si ripete. Sin dal primo minuto gli italiani cercano di portare la partita sul piano fisico, con entrate ai limiti del regolamento che vengono sistematicamente lasciate passare dal condiscendente arbitro svedese Elkind. Sindelar viene marcato a uomo del terribile stopper di origine argentina Luisito Monti, soprannominato Doble Ancho, armadio a due ante. Monti, con la compiacenza di Elkind, massacra di colpi la stella austriaca. L’Italia vince per 1-0 con un gol di Guaita, che raccoglie al diciannovesimo del primo tempo un pallone lasciato vagante sulla linea di porta dall’estremo difensore austriaco Platzer, dopo un’evidente carica irregolare di Meazza. Sindelar lascia il campo con un ginocchio sfasciato e viene ricoverato in una clinica milanese: non riuscirà a recuperare in tempo per la finalina, poi persa dai suoi compagni contro la Germania per 2 a 1. I libri di storia racconteranno qualche anno dopo di una cena, la sera prima della partita, fra Mussolini in persona e l’arbitro svedese Elkind.
Non tutti i mali vengono però per nuocere. I tremendi dolori al ginocchio che accompagnano Sindelar nelle cinque notti d’ospedale passate a Milano vengono infatti addolciti da Camilla Castagnola, una giovane infermiera italiana, di origine ebraica, studentessa di tedesco. I due s’innamorano e quando, nel 1937, Camilla si trasferirà a Vienna, faranno coppia fissa.
La sconfitta al mondiale italiano è un colpo duro da digerire per Sindelar e per la nazionale austriaca. La squadra ha perso un po’ di fiducia, ma è decisa a lavorare sodo per presentarsi ai mondiali francesi del 1938 e conquistarsi sul campo la meritata rivincita. Sindelar continua a deliziare le platee con i suoi tocchi raffinati e una memorabile doppietta, il 27 settembre del 1936, a Budapest, nella sconfitta per 5 a 3 contro la nazionale ungherese. Dopo le botte di Monti, scende in campo con il ginocchio sempre ben fasciato, il dolore dopo le partite è insopportabile, il ritmo in campo più lento, ma il talento è rimasto lo stesso e i suo colpi continuano a far sognare i tifosi austriaci: Sindelar vuole a tutti i costi giocare, da capitano, il campionato mondiale del 1938.
La rincorsa di Carta velina si ferma però contro la Storia, in un pomeriggio di aprile del 1938, allo stadio Prater di Vienna: siamo tornati all’inizio del nostro racconto.
Per l’Anschlussspiel, la partita della riunificazione, in tribuna d’onore siedono le più alte autorità del Reich nazista. Sindelar è insofferente al nuovo corso politico lungo il quale si è incamminata l’Austria; è un uomo libero e mal digerisce l’autoritarismo degli invasori tedeschi, dei quali ripudia, soprattutto, l’antisemitismo. Per la sfida l’Austria scende in campo con una casacca speciale, che richiama in maniera diretta i colori della bandiera austriaca. Durante il saluto delle due squadre ai gerarchi, Sindelar è l’unico a non tendere il braccio nell’Hitlergruß.
Passano pochi minuti e l’arbitro fischia l’inizio del match. Dagli spalti si capisce subito che qualcosa non torna. L’Austria in campo passeggia svogliata. Tocchi leziosi, poche accelerazioni, passaggi superficiali: non c’è nulla, in quegli undici giocatori che stanno lì, sul terreno di gioco del Prater di Vienna, che ricordi la straordinaria tecnica della formazione passata alla storia come il Wunderteam. Quando Sindelar, al trentacinquesimo minuto, calcia malamente a lato un pallone, a tu per tu con il portiere tedesco, diventa chiaro come sia già tutto deciso: l’Austria non deve vincere questa partita.
Quando le squadre rientrano in campo dopo l’intervallo, si ricomincia con lo stesso copione. Passaggi lenti, ritmo blando, le stelle della squadra austriaca camminano apatiche, fiacche, sul terreno di gioco. Poi un lampo. Dalle tribune i tifosi austriaci si stanno ormai rassegnando a uno scialbo 0 a 0. Sul cronometro scocca il settantesimo minuto di gioco. Il portiere tedesco, Hans Jakob, rilancia il pallone catturato in area di rigore dopo un cross dalla destra del laterale austriaco Karl Andritz. La sfera compie una parabola lenta, un po’ svirgolata dal piede mal educato del numero 1 della Germania, e si dirige verso il più forte giocatore in campo. Quell’uomo affilato e smunto, con le gambe arcuate, i capelli lisci e biondi e gli occhi azzurri d’acqua, indossa la maglia numero 10 dell’Austria e si chiama Matthias Sindelar. Der Papierene vede il pallone arrivare. Non si può bene immaginare a cosa stia pensando, o forse sì. Pensa “al diavolo i nazisti e la loro partita truccata”. O magari non pensa a nulla ed è solo il suo istinto di grande campione a trascinare ogni movimento. La palla si abbassa dolcemente verso il terreno di gioco, Sindelar dà un’occhiata alla posizione di Jakob, carica il destro e al volo scarica un bolide sotto l’incrocio sinistro. Rete: l’Austria è in vantaggio per 1-0 quando mancano venti minuti alla fine del match. La folla è in delirio, dagli spalti arrivano le urla acclamanti “Österreich, Österreich“. I gerarchi tedeschi si muovono insofferenti in tribuna, in campo cala il silenzio, avversari e compagni di Sindelar adesso si guardano, l’incertezza negli occhi. La Germania deve assolutamente lanciarsi in avanti alla ricerca del pareggio e a spron battuto parte all’attacco della porta difesa dall’esperto portiere austriaco Peter Platzer. Quando mancano 5 minuti alla fine del match il centrocampista Hans Mock ruba palla al numero 9 tedesco Stiffing e lancia in contropiede Sindelar. Carta velina se ne va lungo l’out di sinistra, salta due difensori e mette in mezzo una palla perfetta per l’accorrente Karl Sesta, che appoggia in rete con un comodo piatto a incrociare: è 2-0. Sindelar abbraccia il compagno e poi va a festeggiare sotto la tribuna in cui sono sistemate le autorità naziste. Lo stadio intona canti austro-ungarici, il Prater trabocca di gioia, Sindelar diventa il simbolo di tutta l’Austria costretta ad accettare il giogo nazista e si rifiuta, per la seconda volta ( insieme al compagno Sesta) di salutare con il braccio alzato le autorità in tribuna alla fine del match. Austria-Germania, 2 a 0, giocata il 3 aprile del 1938, è una partita destinata a rimanere nella Storia. Soprattutto, è l’ultimo incontro ufficiale giocato dal Mozart del calcio, Matthias, Der Papierene, Sindelar.
La sfera compie una parabola lenta, un po’ svirgolata dal piede mal educato del numero 1 della Germania, e si dirige verso il più forte giocatore in campo. Quell’uomo affilato e smunto, con le gambe arcuate, i capelli lisci e biondi e gli occhi azzurri d’acqua, indossa la maglia numero 10 dell’Austria e si chiama Matthias Sindelar.
Quando all’inizio di maggio del 1938 il tecnico tedesco Sepp Herberger lo chiama per i mondiali francesi, Sindelar decide di rifiutare la convocazione. Ha male al ginocchio, dice, e preferisce riposare. Non risponde alla Mannschaft per altre quattro volte e si ritira definitivamente dopo un match amichevole giocato a Berlino fra Austria Vienna ed Hertha, terminato sul punteggio di 2 a 2. La sua è una scelta politica. Quando, il 31 marzo 1938, le leggi razziali del Reich bandiscono tutti i club sportivi ebrei, rimuovendo e arrestando dirigenti e giocatori di origine ebraica, Sindelar compie un gesto di ribellione inaccettabile agli occhi nazisti. L’Austria Vienna viene rinominato Ostmark Wien e il suo presidente, l’ebreo Michl Schwarz, è obbligato ad abbandonare l’incarico. Sindelar, sotto gli occhi attoniti di compagni di squadra e funzionari della Gestapo, lo saluta, contro la legge nazista, così: “Ich werde Sie immer kennen und grüßen, Herr Doktor / Io vorrò sempre conoscerla e salutarla, signor Presidente”.
Sindelar è ancora un grande giocatore, potrebbe andare in Inghilterra firmando un ricco contratto oppure, ancora più facilmente, accettare in silenzio, come molti suoi compagni, di continuare la sua carriera sportiva nei club del Reich. Invece no, Sindelar decide di ritirarsi. Vienna è casa sua, ma a calcio con i nazisti lui non ci gioca. Nell’autunno del 1938 Sindelar acquista il Café Annahof, un vecchio bar scalcinato nel quartiere di Favoriten, dov’è cresciuto. Lo paga una cifra altissima, 20.000 marchi, all’ebreo Leopold Simon Drill, che sarà obbligato a vendere a causa delle leggi razziali e verrà ucciso qualche mese dopo nel campo di concentramento di Theresienstadt, a 60 chilometri da Praga.
Sindelar si mette così a servire birra e caffè. Il governo del Reich cerca più volte di convincerlo a prendere la tessera del partito nazionalsocialista e in cambio si impegna a far diventare il suo bar un punto di riferimento per tutto il calcio viennese. Sindelar si rifiuta. La Gestapo lo tiene sotto controllo, su di lui c’è un fascicolo enorme. Si dice che aiuti gli ebrei, che Annahof sia un luogo nel quale è possibile trovare rifugio per qualche giorno, documenti falsi, un passaggio per lasciare la città.
Il 23 gennaio 1939, alle 10 di mattina, il caffè è ancora chiuso. Gustav Hartmann, uno degli amici più cari di Sindelar, sente che qualcosa non va. Si precipita verso l’appartamento di Sindi, a pochi metri di distanza. Bussa alla porta, ma nessuno risponde. Decide allora di forzare la serratura. In camera da letto, distesi ed inermi, trova Sindi e la sua compagna, l’italiana Camilla Castagnola. Matthias è già morto, non c’è nulla da fare. Camilla resterà in coma per un paio di giorni, prima di spirare in una corsia d’ospedale. Avvelenamento da monossido di carbonio. Un problema alla stufa, una perdita, e la vita di Sindi finisce.
Le indagini sono rapidissime, secondo alcuni frettolose. Le teorie si sprecano.
Alcuni parlano di suicidio: l’orgoglioso, l’idealista Sindelar, non poteva vivere nell’Austria del Reich, ma non poteva nemmeno scappare da qualche altra parte. Altri, molti di più, sostengono la tesi dell’omicidio da parte della Gestapo, che lo teneva d’occhio ormai da diverso tempo e mal digeriva i comportamenti ribelli di Sindi. Di certo c’è che l’incartamento delle indagini sulla morte di Sindelar non si troverà mai più, così come i risultati dell’autopsia.
La Federazione Internazionale di Storia e Statistica del Calcio lo eleggerà miglior giocatore austriaco del XX secolo. Il governo dell’Austria lo nominerà, nel 1999, il più grande sportivo austriaco di tutti i tempi.
“È stato un incidente”, dirà invece un commissario del Reich, in una grigia mattina di gennaio del 1939.
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