Ormai lo sanno tutti: le trattative per un governo Jamaika (CDU-CSU, Verdi e FDP) sono saltate, a rovesciare il tavolo sono stati i liberali. C’è ora un caos inedito per la politica tedesca. Giorni concitati in cui si sta scontrando-incontrando un incredibile concentrato di forze solide e riconoscibili e altre più molecolari e/o meno riconoscibili. Alla fine, vincerà la realpolitik dei numeri. Ma anche basarsi sui numeri è un gioco d’azzardo, soprattutto se i numeri sono quelli dei sondaggi. La situazione è in continuo divenire. Ecco i principali attori in campo, analizzati sul piano prettamente strategico.
Christian Lindner e i liberali rampanti
Il 15 ottobre Christian Lindner, leader dei liberali tedeschi, deve aver visto in televisione la vittoria elettorale di Sebastian Kurz, il golden boy dei conservatori austriaci che in pochi mesi è riuscito a riposizionare il proprio partito a destra, andando a strappare un po’ di voti ai populisti identitari austriaci. Guardandosi il successo di Kurz, il tedesco Lindner deve avere sicuramente pensato: “Ecco, vedi, sto facendo la cosa giusta”.
La cosa giusta è cercare di far saltare Angela Merkel con trattative quasi fasulle per un governo Jamaika che non ci sarà probabilmente mai, tornare quindi a nuove elezioni, fare 3-4 mesi di campagna elettorale da anti-merkeliano realista, affermarsi come nuova destra nazional-conservatrice e libertario-populista, rubare un po’ di voti alla destra identitaria di AfD, piazzarsi come terzo partito in Germania e poi, al massimo, allearsi con la sola CDU-CSU (magari liberata da Merkel) oppure, ancora meglio, godersi 4 anni da primo partito di opposizione (ottimi per formare e testare un apparato politico interno ancora giovane e debole in previsione di una vocazione governativa nel 2022). In confronto a Kurz, però, Lindner ha qualche difficoltà in più: le pressioni e le necessità internazionali della Germania sono enormi, soprattutto se paragonate con quelle dell’Austria, e, inoltre, Kurz si vuole e può alleare con i populisti austriaci, Lindner vuole solo rubare voti all’AfD: non è la stessa cosa.
Martin Schulz e lo psicodramma socialdemocratico
Dopo la batosta elettorale dello scorso settembre, il piano dei socialdemocratici era di farsi 4 anni all’opposizione, sfruttandoli per ritrovare un’identità che abbia un senso, accusando il nuovo Governo di non essere abbastanza attento ai temi sociali (dall’opposizione è più facile farlo di quando si è al governo), lanciando inviti a non dimenticare l’Europa e così via. Insomma, l’obiettivo della SPD era di lasciar governare gli altri e starsene in un cantuccio a leccarsi le ferite, nutrirsi di nuove narrative e ritornare un partito forte, ammesso che sia ancora possibile. Il fallimento delle trattative Jamaika sta invece costringendo i socialdemocratici a guardare negli occhi la propria consolidata crisi d’identità. Una buona parte della CDU e i settori più istituzionali dello Stato tedesco spingono per una riedizione della Grosse Koalition. Da un punto di vista politico, non ci sono reali ostacoli a una nuova alleanza SPD-CDU. Se si escludono le identità e la tradizione che le pongono come storiche antagoniste, le differenze tra SPD e CDU sono di fatto minime, il bacino elettorale dei due partiti è praticamente lo stesso (con la parziale eccezione del tradizionalismo CSU in Baviera). Anche di fronte ai grandi temi nazionali e internazionali, tra i due partiti non ci sono grandi distanze. Eppure, poche ore fa Schulz ha ribadito che non ci sarà una nuova Grosse Koalition. Perché? La motivazione è l’auto-preservazione della SPD. Un ennesimo abbraccio mortale di 4 anni da parte dei cristiano-democratici sarebbe definitivo, dopodiché i due partiti potrebbero pure fondersi in un’unica realtà di centro-qualsiasi-cosa: a quel punto non se ne accorgerebbe più nessuno. Malgrado i rischi per la propria identità partitica, all’interno della SPD si stanno in queste ore ingrossando le fila di chi non è entusiasta dell’urgenza, manifestata da Schulz, di tornare alle urne: per alcuni c’è il rischio di prendere ancora meno voti di prima. La leadership di Schulz potrà provare a risorgere, ma è al momento sotto attacco. In queste ora la pressione sull’ex Presidente del Parlamento europeo cresce sempre di più e la Grosse Koalition è un’opzione sul tavolo sempre più visibile.
AfD: antagonista innominabile
Su una cosa sembrano essere tutti d’accordo: nessuno vuole allearsi con l’AfD, neanche per scherzo. Alternative für Deutschland, però, resta un elemento cruciale, in tutti i calcoli, in tutte le strategie: è da molti considerato l’antagonista estremo, il cigno nero della politica tedesca, la fonte della crisi attuale. Si tratta di un approccio tipico di chi preferisce vedere AfD (il sintomo) piuttosto che affrontare davvero le cause politiche del malessere sociale che l’ha portata in parlamento. Uno dei motivi più solidi per cui SPD si rifiuta di formare una Grosse Koalition è che, in quel caso, AfD, in quanto terza forza del Bundestag proprio dietro ai socialdemocratici, si trasformerebbe nel primo partito di opposizione, con tutti i risvolti pratici e simbolici che ne deriverebbero.
Se quindi è vero che ci sono diversi esponenti di AfD che invocano genericamente le elezioni e si rallegrano della dimostrazione del fallimento del sistema politico tedesco, è vero pure che la Grosse Koalition sarebbe una manna dal cielo per i populisti. L’opposizione in un paese democratico, si sa, è divertente, soprattutto se sei un partito di protesta, soprattutto in periodi di crisi culturale, soprattutto nei prossimi anni in Europa.
Per AfD le nuove elezioni potrebbero quindi essere un rischio inutile: perché rimettere in discussione il successo dello scorso settembre e il terzo posto in Parlamento? Abbiamo già detto come, in caso di nuove elezioni, i liberali di FDP potrebbero andare a caccia dei voti di AfD, e a questo va aggiunto che i populisti si sono già spaccati internamente dieci secondi dopo l’entrata al Bundestag, con la fuoriuscita dell’ex leader Frauke Petry.
Tuttavia, potrebbe anche succedere l’opposto: con nuove elezioni AfD potrebbe prendere ancora più voti; tutto è possibile, al momento. Moltissimo dipenderà dallo spettacolo offerto dagli altri partiti nei prossimi mesi: se si mostreranno incapaci, incoerenti e confusi, AfD dovrà solo raccoglierne i frutti.
Ambizione verde e Linke alla finestra
Chi rischia di restare comunque con un pugno di mosche in mano sono i Verdi. Durante le trattative per un Governo Jamaika i Verdi sono stati pronti a contrattare quasi su tutto, tradendo il peso a tratti imbarazzante dell’ambizione personale di alcuni suoi leader, a partire da Cem Özdemir. Il governo Jamaika era per loro un’incredibile occasione di contare ben oltre un mediocre risultato elettorale. Comodamente alla finestra dello spettacolo siede invece la Linke: la possibilità di una sua partecipazione a un governo è fantascientifica, mentre con nuove elezioni è forse probabile che conquisti qualche nuovo voto in più.
Steinmeier e le istituzioni strutturali
Il Presidente della Repubblica Steinmeier, socialdemocratico, è al momento il più grande oppositore di nuove elezioni. Non è un dato indifferente, visto che la Costituzione prevede che sia lui a dover prendere le decisioni dei prossimi giorni. Una posizione, la sua, che rispecchia il bisogno di stabilità auspicato dall’apparato istituzionale tedesco, dagli equilibri più consolidati del mondo della produzione industriale e del mondo sindacale, così come dall’UE e da numerosi partner internazionali. Altri 3-4 mesi di campagna elettorale tedesca non convengono a nessun partner europeo, a partire dalla Francia, il più importante interlocutore estero di Berlino. Ancora peggio per Parigi (e Bruxelles) sarebbe un esito elettorale trascinato verso destra dalla FDP: l’europeismo formale difeso da Merkel ne risentirebbe enormemente e l’ufficiale tutti-contro-tutti del nazionalismo finanziario potrebbe finalmente presentarsi nel cuore dell’Europa.
Domani, giovedì, Steinmeier parlerà direttamente con Martin Schulz, e qualcosa si dovrà muovere verso un governo di minoranza, una Grosse Koalition o nuove elezioni. La politica tedesca più classica, quella che è palesemente in crisi di fronte alle metamorfosi materiali e ideologiche del Paese, ha di fronte due opzioni: giocarsi il tutto per tutto con le elezioni, o provare ad aggiustare le cose con un governo non ottimale, forse pure traballante, ben poco tedesco.
Nessuno mette Angie in un angolo?
Forse. Certo non è facile. I giornali tedeschi sono di nuovo pieni di titoli che celebrano la fine della sua era politica. Intanto Merkel, però, è andata in televisione e si è mostrata incredibilmente sicura di sé, pronta a nuove elezioni o aperta ad altre soluzioni. L’eterna Cancelliera non ha resistito 12 anni per caso, questo sia chiaro. Qualcuno nel suo partito deve aver apprezzato lo scacco strategico giocatole dai liberali, qualcuno come Jens Spahn, che scalpita per arrivare al vertice della CDU e dev’essere anche lui un fan sfegatato del metodo vinciamo-a-destra dell’austriaco Sebastian Kurz. Nella CSU bavarese, invece, scalpita Markus Söder, che sta concludendo la liquidazione politica del leader CSU Seehofer, in previsione delle delicate elezioni dello stato della Baviera, tra meno di un anno. Eppure, al momento, il resto dei cristiano-democratici è abbastanza compatto dietro a Merkel, forse perché i sondaggi lo dicono chiaro: sono ancora tanti i tedeschi che la vorrebbero Cancelliera o che, se non altro, la sopporterebbero senza troppi fastidi, come traghettatrice verso un futuro decisamente incerto. Non solo: da anni Merkel fa di tutto per non far emergere un reale competitor nel proprio partito, una strategia che la rende spesso la sola alternativa a se stessa, una tecnica che rischia di pagare anche a questo giro. Merkel sa che più il caos si diffonde, più può provare a proporre di nuovo la sua leadership calma, spesso immobile, mai imprevedibile, ostinatamente ponderata. Non è però escluso che i socialdemocratici pongano la caduta di Merkel come condizione per una nuova Grosse Koalition, una mossa che potrebbe far saltare in un solo colpo sia Merkel che Schulz.
Come detto, tutto è in divenire e le stesse speculazioni che si rincorrono e si sovrappongono in queste ore sono parte integrante dell’intricato gioco di strategie che ha ora apertamente inondato la politica tedesca. Chi pensava di vincere potrebbe perdere e gli sconfitti delle prime ore potrebbero approfittare della situazione. Una cosa è certa: l’inquietudine sociale e culturale della Germania, a lungo ignorata dalla politica, sta entrando direttamente nelle stanze del potere.
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