Nel lato meridionale di Rigaer Straße, là, quasi dove questa sfocia ad ovest in Bersarinplatz, la linea continua dei profili dei palazzi moderni intonacati di giallino, celeste, bianco e rosso è interrotta ad un certo punto, all’altezza del numero 9, dalla silhouette di guglie e pinnacoli gotici che si stagliano verso i tetti verdi rame della Galiläakirche, la chiesa di Galilea. La strada stretta fa risaltare ancora di più l’imponente facciata con i suoi laterizi rossi e le finestrelle tipiche dello stile neogotico del 1910, anno in cui l’edificio venne edificato.
Museo della [resistenza] giovanile, ‘Jugend[widerstand]museum’, con la parola Widerstand in rosso, sta scritto in bianco su sfondo nero, su un cartello appeso un po’ di sbieco nel mezzo del soffitto a volta dell’ingresso della chiesa, che oggi non svolge più nessuna funzione religiosa. Dopo la porta, ci si ritrova in un’area intermedia un po’ dismessa: pancali, cartelloni e un calcio balilla paiono appoggiati lì per caso. Una porta a vetri a sinistra costituisce la vera e propria entrata al museo ma una volta superata, l’impressione di avere sbagliato posto non svanisce. Una cellula fotoelettrica segnala con un suono il nostro ingresso nella grande sala, ma nonostante questo, dentro non riusciamo a vedere nessuno. Non nel senso che non ci sono visitatori, ma proprio nel senso che non si vede anima viva. Non vi sono persone dietro la reception che dovrebbe accogliere il visitatore. Non vi sono addetti alla sorveglianza o custodi che gironzolano per la sala. Naturalmente non vi sono visitatori. Nessuno. Trascorro dunque quaranta minuti buoni, da solo, nell’atrio della Galiläakirche, in Rigaer Straße 9. Qui, dal 2008, dal 9 di novembre, ha sede il “Museo della resistenza giovanile nella DDR”, il cui scopo è quello di testimoniare e documentare le esperienze di ribellione dei giovani a Friedrichshain al tempo della dittatura comunista della SED (Sozialistische Einheitspartei Deutschlands), il Partito di Unità Socialista della Germania.
Durante gli anni del regime comunista bastava infatti avere i capelli lunghi e la voglia di esprimere le proprie idee per essere definiti come asociali, pericolosi e finire nelle liste nere della SED e del MfS, acronimo di Ministerium für die Staatssicherheit, Ministero per la Sicurezza dello Stato, la famigerata Stasi. La resistenza contro un sistema sempre più oppressivo cresceva di anno in anno e molti di questi giovani oppositori trovavano ospitalità sotto i tetti delle chiese e comunità evangeliche di Friedrichshain, in particolare la Galiläakirche e la vicina Samariterkirche, creando rapporti, legami e reti di contatti che hanno rappresentato i primi segnali di quella che sarà poi la rivoluzione pacifica del 1989. Non potrebbe esserci posto più autentico, quindi, della chiesa della Comunità di Galilea come luogo per l’esposizione di fatti e avvenimenti della “piccola” storia quotidiana del quartiere che si intrecciano con le vicende della grande Storia e tessono insieme ad essa una trama fitta di rimandi reciproci.
La singolare atmosfera che avvolge il luogo è creata anche da una cantilena ripetuta, monotona, mai sentita prima, che si ode provenire da dietro la porta della biblioteca sulla sinistra. “È una preghiera africana”, mi rivela il signor Lothar Knötig, berlinese di 67 anni, un uomo alto e dinoccolato, che dopo un bel po’ si accorge della mia presenza e gentilmente si mette a rispondere alle mie domande.
“Dal 2009 qui non vengono officiati più culti religiosi; mettiamo a disposizione le stanze per incontri e associazioni di vario tipo. Di religioso però non è rimasto nulla, solo questa preghiera africana, ma è una persona sola che viene qui il mercoledì”. Dobbiamo volgere lo sguardo in alto, verso il grande bellissimo organo posto nell’abside per ritrovare qualche traccia del luogo sacro che questo posto è stato. Delle vecchie panche, di quelle che si trovano giustappunto nelle chiese, verniciate di bianco, stanno ordinate di fronte ad un palco, che occupa il posto che una volta era dell’altare, a segnalare che la grande sala viene utilizzata anche per altri scopi, oltre a quello museale. “Affittiamo il posto a vari circoli e associazioni, spesso di tipo politico ma anche per concerti. Venerdì abbiamo un concerto di musica classica”, racconta il signor Knötig.
Dal punto di vista dell’arredamento e della struttura, il museo è estremamente semplice e conforme all’idea di far nascere un’esposizione nel luogo storico, originale che è stata la chiesa fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, ovvero il punto di incontro di giovani e ragazzi che non erano conformi al Comunismo della DDR. Lungo la parete di fronte al palco sotto l’organo si notano delle teche in cui si vedono documenti e saggi di Erich Mielke, il capo della Stasi. Accanto, in maniera che sembra casuale, un grande frigorifero, una panca e un estintore, appoggiato in terra.
“Al momento”, mi spiega Lothar Knötig, “ospitiamo due esposizioni temporanee. Quella sulla Guerra fredda e quella sulle donne neonaziste nella DDR”. Sono documenti, fotografie e tavole illustrative appese su pannelli disposti a zig-zag appresso alle colonne delle navate laterali della chiesa, quasi a formare dei corridoi con le pareti di fianco. Lungo queste, invece, una serie di ponteggi e impalcature assemblate insieme fungono da supporto per le oltre 30 tavole descrittive dell’esposizione permanente il cui titolo recita: “Non aspettare tempi migliori: resistenza e opposizione giovanile nella DDR, 1946-1989”, il focus del museo. La scelta di disporre il materiale dell’esposizione in un modo che appare provvisorio, precario non è casuale. Dietro vi è l’assunto teorico dei curatori che concepiscono la ricostruzione storica sempre come momentanea e dunque in grado di fornire spiegazioni ed interpretazioni temporanee e non legate a un’idea della Storia eterna e immutabile. L’intenzione degli autori della mostra, a capo dei quali vi è lo storico Dirk Moldt, berlinese, Zeitzeuge, cioè che ha vissuto in prima persona gli eventi della Galiläakirche negli anni Settanta e Ottanta, è proprio quello di incoraggiare il visitatore a elaborare una propria idea della storia rappresentata, a partire già dall’impatto visivo con i contenuti.
La seconda esposizione permanente documenta i vari aspetti della resistenza di Friedrichshain e dei berlinesi dell’est al Nazionalsocialismo. Si trova nella biblioteca del museo, che funge anche da sala riunioni adatta per corsi, seminari e conferenze. Nella biblioteca sono contenuti più di mille volumi di letteratura politica oltre a molta documentazione raccolta relativa alla Stasi.
“Se però vuole informazioni più precise sul museo torni quando c’è il signor Baumann, lui potrà aiutarla” mi dice con cortesia Lothar Knötig, con la sua parlata un po’ biascicata. Quando torno al museo, Lutz Baumann dà l’impressione iniziale di uomo assai scorbutico. Con i suoi pantaloni marroncini e la giacca di velluto dello stesso colore, la lunga barba bianca, gli occhialini di metallo tondi, il berretto basco di lana sembra uscito direttamente da un’assemblea universitaria degli anni Sessanta e non cela per niente la sua irritazione quando gli dico che gli vorrei fare qualche domanda. In realtà Lutz Baumann è gentile e buono, è un impiegato del museo, è nato a Berlino Est nel 1953, ne ha viste e fatte tante e dal 1988 vive a Kreuzberg, “nel settore americano”, tiene a precisare, con il suo strettissimo accento berlinese difficile da seguire. Mi spiega, Lutz Baumann, che “l’80% delle persone che visitano il museo sono accademici, che vengono qui per consultare gli atti e i testi. Molti sono italiani, francesi, spagnoli. Non ho mai visto greci per esempio, o arabi”. Dal 2008 avrà parlato con 2000 persone, professori universitari americani e giornalisti di tutte le testate. Ogni giorno, mi dice, ci sono fra gli zero e i venti visitatori.
L’idea di costituire un museo che testimoniasse della resistenza giovanile nella Germania comunista esisteva già dal 2008 ed è stata patrocinata dalla Hedwig-Wachenheim-Gesellschaft, società berlinese impegnata in attività sociale per i giovani. Per un anno e mezzo un team di storici intorno a Dirk Moldt ha ricercato e scandagliato faldoni di documenti, atti e pratiche, molti dei quali provengono dal Bundesarchiv zur Aufarbeitung der SED-Diktatur, l’archivio federale per lo studio della dittatura della DDR.
A questo punto fermiamoci per un attimo qui e riavvolgiamo il nastro della Storia, facendolo poi scorrere velocemente in avanti a lunghe tappe, seguendo alcune vicende che hanno caratterizzato la storia della resistenza interna alla DDR. Non c’è spazio ovviamente per esporre le diverse forme che l’opposizione al regime ha preso in questi 40 anni, da quelle politiche a quelle delle e degli intellettuali. Prenderemo invece in considerazione i movimenti democratici e pacifisti che si sono sviluppati sotto i tetti delle chiese evangeliche berlinesi.
“Questa chiesa era un punto d’incontro per i giovani che negli anni Sessanta e Settanta non si sentivano conformi allo Stato in cui vivevano. Padre Cyrus si è preoccupato di questi giovani”, racconta Lutz Baumann, riferendosi alla Galiläakirche. Padre Gerhard Cyrus era arrivato nella Comunità evangelica di Galilea a Berlino nel 1976, proveniente da Greifswald e ben presto divenne uno dei protagonisti dei movimenti di resistenza al regime. Quest’ultimo doveva confrontarsi in particolare con due aspetti della realtà sociale che in nessun modo poteva accettare. Il primo era rappresentato dalla inevitabile penetrazione da Ovest, attraverso la televisione, cui la costruzione del Muro nel 1961 aveva conferito grande valore, della cultura giovanile di massa beat, rock, pop, hippy. Definita dagli organi di stampa di regime sbrigativamente come cultura di “teppisti asociali”, in realtà, fin dal 1963, iniziarono a sorgere spontaneamente centinaia di gruppi musicali beat e hippy. La Volkspolizei, la Polizia Popolare, andava in giro con i propri barbieri a caccia di giovani dai capelli lunghi. “Io penso, cari Compagni, che dovremmo farla finita con la monotonia di questo Je-Je-Je, o come diavolo si chiama ‘sta roba”, disse nel 1965 Walter Ulbricht, primo Presidente del Consiglio di Stato della Repubblica Democratica tedesca (Staatsratsvorsitzender), nonché primo segretario del Comitato Centrale del SED, il Partito di Unità Socialista di Germania.
L’altro problema con cui il Partito di Unità Socialista doveva confrontarsi era quello della questione della dottrina della Chiesa all’interno della DDR. Le autorità comuniste miravano alla separazione delle chiese tedesche orientali dalla più ampia comunità delle chiese evangeliche tedesche (EKD, Evangelische Kirche in Deutschland) e questo perché intendevano in questo modo, applicando la dottrina dei due Stati, realizzare una neutralizzazione politica della chiesa. Alcune parrocchie, infatti, avevano cominciato ad accogliere nella loro dottrina del lavoro sociale parte di quei gruppi di adolescenti che non erano organici alla pedagogia della FDJ (Freie Deutsche Jugend), l’organizzazione giovanile della SED, i cui obiettivi erano la disciplina e l’inquadramento ideologico del tempo libero e del divertimento dei ragazzi nella DDR.
Nel marzo del 1961 la “Konferenz der Evangelischen Kirchenleitungen in der DDR”, (KKL), il comitato direttivo delle chiese evangeliche nella Germania orientale, che dal 1969 costituirà l’organo più importante della neonata Bundes der Evangelischen Kirchen in der DDR (BEK), incaricò una commissione teologica speciale, la ‘Theologischen Sonderausschuss’, di fornire il proprio parere in merito alla linea sociale che la Chiesa doveva tenere. Questo si rendeva necessario poiché le varie autorità religiose, i parroci e i fedeli stessi avevano bisogno di un orientamento per il loro agire sociale, politico e religioso. Ebbene, il risultato fu un documento, i cosiddetti «Dieci articoli sulla libertà e il servizio della Chiesa», che si rivelò un vero boomerang per lo stato comunista. Il documento, pubblicato l’8 marzo 1963, si richiamava formalmente e contenutisticamente alla teologia ‘der bekennenden Kirche’, la Chiesa confessante, il movimento di opposizione dei cristiani evangelici contro il tentativo del regime nazista di uniformare la dottrina e l’organizzazione della Chiesa all’ideologia totalitaria del nazionalsocialismo. Il fondamento teologico che ispirava la Chiesa confessante erano le idee di grandi personaggi come i teologi Karl Barth e Dietrich Bonhoeffer le cui filosofie religiose affermavano la necessità della libertà della Chiesa da qualsiasi limite imposto da concezioni politiche totalitarie. Il risultato concreto fu la Barmer Theologische Erklärung, la dichiarazione teologica di Barmen del maggio 1934. I “Dieci articoli” rafforzavano l’esigenza di libertà della Chiesa e la sua funzione sociale. Il secondo articolo, per esempio, afferma che “i cristiani non dovrebbero sottomettersi alla pretesa di assolutezza di una ideologia, né tantomeno dovrebbero cadere nell’errore di vedere nei comandamenti cristiani e nella morale socialista la medesima concezione dell’essere umano”. Il concetto di «Offene Arbeit» o anche «Offene Jugendarbeit», coniato dal parroco Claus-Jürgen Wizisla, che alla fine degli anni Sessanta raccolse nella sua chiesa di Lipsia un movimento consistente di giovani “fricchettoni”, divenne negli anni Settanta sinonimo di opposizione anche politica e così molti parroci e chiese finirono nel mirino della Stasi e della SED. Numerosi gruppi di opposizione interni alla DDR, ambientalisti e pacifisti, che si svilupperanno negli anni a venire, come die Kirche von Unten, la Chiesa dal basso, die Umweltbibliothek, e che influenzeranno la rivoluzione pacifica del 1989, trovano tutti le loro radici nell’attività alternativa di lavoro giovanile dell’Offene Arbeit promosso nella Galiläakirche da padre Gerhard Cyrus e nella vicina Samariterkirche da padre Robert Eppelmann. Quest’ultimo era il prete più odiato da Erich Honecker, secondo Segretario generale del Comitato Centrale del Partito (SED) dal 1971 al 1989. Dagli anni Ottanta erano soprattutto i punk quelli che trovavano ospitalità nella Chiesa della Galilea. ”Se sono angosciato o mi sento frustrato”, spiegava padre Gerhard Cyrus alla propria comunità di fedeli, “mi siedo in chiesa e mi lamento in silenzio. L’unica differenza è che questi giovani si lamentano in maniera rumorosa”. Nel 1986 padre Cyrus fece addirittura suonare durante una funzione religiosa domenicale un gruppo punk. All’organizzazione del primo concerto punk in una chiesa della DDR aveva contribuito anche Dirk Moldt, il curatore scientifico della mostra, che dal 1983 faceva parte della cerchia di collaboratori dell’offene Jugendarbeit intorno a padre Cyrus.
Una delle cose più curiose ed interessanti dell’intero museo è rappresentata da otto cartelle da ufficio color marroncino appese nei vari pannelli espositori della mostra, in cui sono contenuti, in fotocopia plastificata, gli atti che la Stasi redigeva per tenere sotto controllo le attività giovanili delle comunità parrocchiali in numerose chiese dei quartieri berlinesi: la mail-art, i movimenti pacifisti indipendenti, i gruppi femminili indipendenti, i punk, le messe blues (1979-1986), i disordini ad Alexanderplatz del 7 ottobre 1977, il concerto dei Rolling Stones del 7.10.1969 sul grattacielo Springer, i giovani negli anni ’60, la Galiläakirche. “Parte della selezione dei documenti l’ho fatta io”, mi dice Lutz Baumann.
L’effetto della lettura, purtroppo solo in tedesco, di questi documenti, ha il potere di proiettarci nel bel mezzo delle atmosfere e della situazione politica, sociale e umana degli anni della dittatura comunista nella Germania Est. Leggere, per esempio, il referto della Commissione preliminare di inchiesta sul presunto concerto del “gruppo beat”, Rolling Stones, fa sorridere per l’ingenuità e inorridire per l’assurdità del caso. Nel settembre del 1969, Kai Blömer, un moderatore dell’emittente occidentale berlinese Rias, aveva annunciato alla radio l’imminente esibizione, il 7 ottobre 1969, in occasione dei venti anni della DDR, dei Rolling Stones. Esibizione che sarebbe avvenuta sul tetto del grattacielo della Alex Springer Verlag, in Leipziger Straße, vicino al Muro, quindi visibile anche ai cittadini di Berlino Est. L’intenzione di Blömer, così è stato accertato, era quella di uno scherzo, che però è costato ad alcuni giovani anni nelle galere della Stasi. Al di là del fatto in sé, che ricorda molto la più celebre “Guerra dei Mondi” di Orson Wells, quello che colpisce, nell’esame degli atti, è, fra le altre cose, leggere che “il 7 ottobre 1969, intorno alle 13.30, nelle vicinanze di Leipziger Straße è stato riscontrato un primo assembramento di giovani dall’aspetto decadente”. Suscita sarcasmo leggere che per la Stasi, la più potente organizzazione di spionaggio del patto di Varsavia, “il nemico è riuscito a trovare l’appoggio di 2000 giovani psicologicamente instabili ed è in grado ora di organizzare azioni pratiche contro il Socialismo”. “Io c’ero al concerto dei Rolling, avevo 16 anni”, racconta Lutz Baumann. “C’è anche un documentario, di Carolina Kleiner, Die Ddr und die Rolling Stones: für die Stones in die Knast“. Gli domando se la polizia gli ha fatto qualcosa e ottengo per risposta il mimo di un uomo che ne pesta a calci un altro sotto di lui.
Il linguaggio usato, le meticolose analisi statistiche sulla provenienza di tutti i Gammler (qualcosa come fricchettoni) e la minuziosa descrizione delle pene inflitte (in alcuni casi prigione per due anni), tutto contenuto anche in questo caso in un dossier di venti pagine, fanno capire gli assurdi meccanismi della dittatura.
Un altro dossier che si può trovare fra le cartelle del museo riguarda l’attività di spionaggio e controllo esercitata dagli agenti della Stasi in occasione di una manifestazione organizzata alla Galiläakirche nella notte fra il 24 e 25 luglio 1981. Il referto osservativo, Beobachtungsbericht, protocollato in data 29 luglio 1981 alla divisione XX del Ministerium der Staatssicherheit (MfS), Ministero per la Sicurezza di Stato, ha come osservato speciale Bert Papenfuß, lirico e scrittore tedesco, il quale, visto che i suoi scritti non erano per niente ben visti dal regime comunista, li trasformava in testi per canzoni. Il protocollo è un papello di 25 pagine dove ora per ora, in certi casi minuto per minuto, si osserva e si descrive cosa hanno fatto, cosa hanno mangiato, cantato, detto le circa 150 persone che si erano riunite nella chiesa evangelica. Colpisce, anche in questo caso, l’assurda vacuità della razionalità contenuta nel testo: “Le persone che sono venute a questa manifestazione si possono suddividere a grandi linee nelle categorie di asociali, pregiudicati, persone di livello culturale basso e, in casi eccezionali, studenti. Il loro vestiario era composto di: T-shirts, ampi maglioni, qualche volta abiti da lavoro, vestiti lunghi e larghi, sandali, scarpe da ginnastica. La maggior parte degli uomini dava un’impressione di trascuratezza, con capelli e barbe lunghi. Le donne portavano prevalentemente capelli lunghi e sciolti oppure tagliati estremamente corti”. Possiamo solo immaginarci lo stato d’animo del povero agente infiltrato quando, come lui riferisce, “in particolare le persone di sesso femminile, nell’atrio della chiesa, iniziano a dipingersi il volto; e anche i bambini, per lo più lasciati a se stessi, si fanno colorare mani e viso”. Si trova costretto ad ammettere che “il comportamento, così come l’aspetto esteriore dei partecipanti, non corrispondono a quelli del praticante religioso medio”.
È anche possibile vedere i volti, le espressioni e gli sguardi di questi giovani. Nella parte sinistra della sala della chiesa, infatti, in fondo alla parete, c’è uno scaffale in cui è poggiato un raccoglitore di foto in bianco e nero. Sono ritratti e non solo. Molte sono bellissime e di molte l’autore è proprio Lutz Baumann. “Della mia cerchia di amici molti scrivevano o dipingevano. Io non sapevo né scrivere né dipingere, quindi ho iniziato a fotografare. Le ho sviluppate io stesso le mie foto. Alcune invece sono foto della Volkspolizei. Molti punk erano in realtà spie della Polizia segreta di Stato”, racconta.
Quando usciamo dal museo ci troviamo di fronte il Rigaer 94, uno dei pochi centri occupati rimasti a Berlino, in Rigaer Straße 94. Sembra essere lì a ricordare la grande tradizione di opposizione e resistenza del quartiere di Friedrichshain, che si estende dal parco con il medesimo nome a nord fino alla riva della Sprea a sud. Oggi Friedrichshain è noto per essere la zona della città con la più alta concentrazione di bar, ristoranti e club. La maggior parte della gente che frequenta i locali notturni del quartiere, e anche di chi vi abita, probabilmente non sa nulla della storia movimentata del Bezirk nel corso del secolo passato, anzi a partire addirittura da quello precedente se è vero che i primi scontri con le forze di polizia ci furono già nel 1872, in occasione dell’insurrezione popolare nota come Blumenstraßenkrawalle, quando non vi era nemmeno l’idea di sviluppo urbanistico della Groß-Berlin, idea che nascerà solo intorno al 1920. Originariamente proletario, Friedrichshain ha una grande storia di dimostrazioni e scioperi. La rivolta, ad esempio, che portò ai moti operai del 17 giugno 1953, la prima grande protesta interna contro Mosca, e repressa solo con l’intervento dei carri armati sovietici, nasce qui. Alla fine degli anni Settanta, il fenomeno delle messe-blues, la cui documentazione si trova all’interno del museo della Galiläakirche, fu un capolavoro di ribellione. La vicina Samariterkirche, di solito semivuota, si riempie all’inverosimile di giovani in parka e jeans che accorrono per ascoltare il blues del musicista Günther Holwas, invitato dal parroco Rainer Eppelmann a partecipare alla funzione religiosa. In chiesa si beveva e si fumava e 20 ce ne furono di queste messe speciali. Dettero molto da fare alla Stasi, ovviamente.
A partire dalla caduta del Muro, la presenza a Friedrichshain di punk, artisti, gente colorata e individualisti si è fatta più forte ma la realtà è che il quartiere è abitato da un ceto di cultura medio-alta che dal punto di vista economico si è potuto permettere di risanare le case occupate agli inizi degli anni ‘90. Della grande e lunga tradizione di ribellione sembrano essere rimasti solo episodi isolati e sporadici che cercano di opporsi alla grande marea della gentrificazione avanzante.
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Foto di Copertina: © Emmanuele Contini
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