a Dimčo Debeljanov
Avevo infranto una regola. Avevo infranto la regola. Una delle più importanti, probabilmente la più importante, mi dicevo. È per questo che mi trovo qui, adesso, per una debolezza carnale, pensavo, sono costretto qui, ora, riflettevo, scorgendo la proiezione drammatica del mio errore.
Mi chiedevo, in piedi fra tutte quelle persone, come fosse stato possibile farsi convincere in maniera tanto idiota ed indicibile, inetta ed idiota ed indicibile.
Avevo infranto la regola. Non una regola. Per questo, soltanto ed unicamente per questa mia negligenza ingiustificabile mi trovo qui, adesso, pensavo.
Imperdonabile, un errore imperdonabile era stato commesso da me stesso. Nel momento peggiore, dicevo a me stesso, nel momento peggiore di tutti, ripetevo e pensavo riflettendo fra me e me stesso.
Non era un semplice invito a pranzo, non lo era per me, non era un semplice invito ad un pranzo, non avrebbe mai potuto esserlo od almeno non avrebbe mai potuto esserlo per me, lo sapevo prima e me ne rendevo conto ancor più ineluttabilemente qui, adesso, pensavo.
Al principio m’era parso di poter assolvere la mia mancanza di spirito, quindi avevo riflettuto, lungamente, pensavo, ed ero giunto invece ad una considerazione ben più severa e cioè che non vi erano giustificazioni, mi ripetevo, Antonio tu non hai giustificazioni, mi dicevo, Antonio tu non hai nella maniera più assoluta alcun genere di giustificazione cui poter addurre per aver accettato tanto inopinatamente un invito, per aver accettato tanto incomprensibilmente un invito a pranzo, per non aver realizzato immediatamente le conseguenze, certamente drammatiche, di aver accettato in modo del tutto inconcepibile un invito a pranzo per il giorno di Natale, mi dicevo.
Avevo dunque infranto una regola. Avevo infranto la regola. Mi dibattevo intorno a quest’unico e dolorosissimo pensiero senza riuscire a liberarmene, pensavo. E come e quando e perché dovrei liberarmene, continuavo a dirmi, come e in che modo e per quale motivo potrei riuscire a liberarmi di un errore tanto imponderabile, consideravo, Antonio, dicevo a me stesso, in che maniera ritieni di poterti liberare di un errore tanto sfasciante e tanto annichilente. Di certo non mi sarebbe potuto accadere nulla di peggiore che un pranzo di Natale, pensavo, nulla mi sarebbe mai potuto succedere di più orribile che un orribile pranzo di Natale pieno di gente orribile e di orribile cibo, in un’orribile casa, piena di orribile gente e di cibo orribile, riflettevo.
Mi dicevo, non consideravo e non comprendevo come avessi potuto, mi dicevo, non capivo e non accettavo come avessi potuto essere talmente debole ed inetto, non capivo e non comprendevo e non realizzavo, mi dicevo, come e perché avessi potuto essere talmente sconsiderato nell’accettare un orribile invito ad un orribile pranzo di Natale.
Non vi erano spiegazioni plausibili, non vi erano spiegazioni di alcun genere, non vi erano spiegazioni punto, pensavo, ormai perduto in un irrimediabile scintillio di sorrisi, travolto da uno sciabordante tripudio di denti e sorrisi e strette a mani sconosciute, in una stanza piena di inutili persone a me sconosciute, piene di denti e di sorrisi e di mani e di dita delle mani, mi dicevo, sommerso dall’andare e dal venire interminabile, dall’andare e dal venire sfinente, dall’andare e dal venire infinito ed infinitamente infinito di inutili persone a me sconosciute, piene di denti e di sorrisi e di mani e di dita delle mani e di capelli e di stomaci enormi ed immani da riempire, e da riempire ancora. E ancora, e poi ancora. Antonio, pensavo, ma come hai fatto, Antonio, mi dicevo, ma come hai permesso a te stesso di fare questo a me stesso, riflettevo, ormai rinchiuso intorno alle pareti di quell’orribile pranzo di Natale pieno di orribili commensali.
Adesso dovrei sedermi, pensavo, adesso dovrei trovare il modo di sedermi, mi dicevo, adesso dovrei trovare il modo di sedermi lontano e di allontanarmi da tutte queste orribili persone, di restare il più lontano possibile da tali orribili persone. Non ce la farai mai Antonio, mi dicevo, non riuscirai in nessun caso, pensavo, a sfuggire a quest’orribile pranzo di Natale, ritenevo, ormai sei qui e non ce la farai ad uscire, non riuscirai a tornare indietro, riflettevo, Antonio cosa hai fatto, mai, non ce la farai, mai, non ce la farai mai a tirarti fuori da quest’incuboso pranzo di Natale, da questo drammatico pranzo di Natale, da quest’incontro claustrofobico e terribile di cose e parole e cibo ed orribili persone che è ormai diventato tale tragico pranzo di Natale.
Le luci, mi dicevo, pensa alle mille luci di Berlino d’inverno e al loro scintillio triste, al loro luminoso scintillio triste e grigio e freddo, pensa alle mille luci di Berlino d’inverno e a quanto paiono più interessanti di tutte queste orribili persone, riflettevo, a come sembrano più vive e curiose di ognuna di queste orribili figure che si accalcano qui, adesso, ora, intorno a te.
Ma di luci non c’e n’erano in quella casa diventata triste, consideravo, piuttosto avrei potuto concentrarmi sulle conversazioni, mi dicevo Antonio concentrati sulle conversazioni, Antonio cosa hai fatto, Antonio come hai potuto permettere che te stesso facesse questo a se stesso, riflettevo, piuttosto avrei dovuto concentrarmi sulle conversazioni, pensavo, forse avrei addirittura dovuto provare ad avviare una conversazione inutile con una qualsiasi di queste inutili ed orribili persone, rinchiuso in questo luogo orribile, privo d’uscite e di luci e d’interesse, mi dicevo.
Diventare un insetto avrebbe risolto le cose, la trasformazione pubblica di me stesso in un insetto, in un qualsiasi insetto, ed avrei abbandonato questo terribile posto pieno di orribili persone
Quanto tempo è ormai passato dal mio arrivo qui, ragionavo, dal mio arrivo in questo bruttissimo posto, un posto bruttissimo e dal quale non posso andare via, non adesso, ma dal quale vorrei soltanto andare via, un bruttissimo posto, un posto bruttissimo, pensavo, nel quale sono prigioniero, dal quale non mi è possibile scappare essendo in verità possibile scappare, riflettevo.
Un insetto, avrei potuto cercare di trasformarmi in un minuscolo insetto, pensavo, in un insetto minuscolo ed andare via, via da qui, via da questo luogo orribile che è diventato ormai per me tale terribile pranzo di Natale, un abbaglio incomprensibile ormai mutatosi in comprensibile ossessione, una mancanza inimmaginabile che lentamente stava logorando ogni mia resistenza, mi dicevo, ogni mia forza ed ogni mia resistenza, consideravo.
Diventare un insetto avrebbe risolto le cose, la trasformazione pubblica di me stesso in un insetto, in un qualsiasi insetto, ed avrei abbandonato questo terribile posto pieno di orribili persone, un insetto qualsiasi ed avrei definitivamente ripreso i miei pensieri chiusi e la mia solitudine, pensavo, i miei pensieri chiusi e la mia solitudine e la mia ansia di riprendere i miei pensieri chiusi e la mia solitudine, ritenevo.
Per quanto mi sforzi, però, non riuscirò a trasformarmi in un insetto, pensavo, non vi è alcuna possibilità concreta che io riesca davvero a diventare un qualsiasi insetto, comprendevo, in che modo dunque abbandonare questo posto, in che maniera, quindi, abbandonare tale orribile pranzo di Natale, popolato da orribili persone, dicevo a me stesso.
Ho ormai perduto ogni cognizione temporale, riflettevo, ho perduto del tutto ogni cognizione temporale seduto al tavolo di quest’orribile pranzo di Natale pieno di orribili persone, pensavo. Antonio, da quante ore sei qui, Antonio da quanti giorni sei qui, Antonio da quanti mesi, da quanti anni sei qui, mi chiedevo, ma non riesco a trovare una risposta da dare a me stesso, non riesco ad incontrare una risposta in mezzo a tutti i miei pensieri ormai irrimediabilmente compromessi, dicevo, non riesco a considerare una risposta da dare a me stesso in mezzo a tutti questi miei pensieri imprigionati in questo terribile pranzo di Natale pieno di orribili persone.
Anni, sono qui da anni, mi convincevo, sono qui ormai da cinque lunghi anni, sono qui ormai seduto al tavolo di questo orribile pranzo di Natale pieno di orribili persone da cinque lunghissimi ed orribili anni, pensavo; come ho potuto fare tutto ciò a me stesso, dicevo, Antonio come hai potuto condurre te stesso a questo terribile appuntamento mondano, ripetevo, Antonio come hai potuto essere tanto stolto ed inetto da accettare un invito ad un orribile pranzo di Natale pieno di orribili persone, riflettevo.
Avevo infranto la regola. Non una regola. Avevo infranto la regola. Non sarei mai andato via da qui, comprendevo, non avrei mai trovato la maniera di uscire da questa maledettissima casa, da questo maledettissimo pranzo di Natale, pieno di orribili persone. Me ne sto seduto al tavolo con tutte queste orribili persone, dicevo, devo solo rimanere seduto qui al tavolo con tutte queste orribili persone, pensavo, e prima o poi se ne andranno, prima o poi si alzeranno e se ne andranno, prima o poi termineranno di riempire gli abominevoli stomaci delle loro orribili persone, si alzeranno e se ne andranno, mi convincevo, liberandomi da tale drammatico pranzo di Natale, liberandomi da questo sconvolgente e drammatico pranzo di Natale pieno delle loro orribili persone, riflettevo.
E poi però viene la notte, e dal corridoio cominciano ad udirsi voci sconosciute, dal corridoio della casa piena di orribili persone si ascoltano urla, grida e poi di nuovo voci sconosciute, dal corridoio della casa adesso appaiono animali strani ed affamati, mi rendevo conto. Mi dispero, pensavo, Antonio disperati con ogni tua forza, mi dicevo, Antonio scappa e dimentica tutta questa orribile serata piena di orribili persone, scappa, dimentica e non accorgerti di questo orribile pranzo di Natale pieno di orribili persone. Ma non lo sentivo, me stesso, forse più in là lo sentirò, pensavo, ma adesso non lo sento, mi accorgevo, posso certo aspettarlo per ore, ritenevo, fors’anche per mesi, consideravo, ma adesso non lo percepisco, comprendevo.
Gli animali strani ed affamati si lamentano, sentivo, gli animali strani ed affamati si lamentano perché non hanno da mangiare, riflettevo, e allora scappo via, dicevo, via da qui, finalmente realizzavo, e poi entro in macchina, sono in macchina, metto in moto la macchina, non metto in moto la macchina, rimetto in moto la macchina e le metto sotto con la macchina, tutte queste orribili persone di quest’orribile pranzo di Natale, finalmente risolvevo, le metto sotto con la macchina, riflettevo, perché un minuto fa l’ho messa in moto e adesso posso quindi metterli tutti quanti sotto la mia macchina, pensavo. E gli animali strani hanno fame, ascoltavo, e gli animali strani ed io abbiamo fame.
Le orribili persone di quest’orribile pranzo di Natale, tutte quelle orribili persone e i loro abominevoli ed orribili stomaci, ormai schiacciati sotto la mia macchina, non più, pensavo: gli ho tolto la fame.
Tutte quelle orribili persone, in quel terribile giorno di Natale, giacciono adesso sotto la mia macchina, riflettevo.
È una Golf bianca del ’93. Ha una cacata di colomba sopra al parabrezza: è del ’93 persino lei.
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