Indistintamente per uomini e donne, la domenica è la fine di un ciclo mestruale, che ricomincia il lunedì.
La mia finestra, qui dove sto ora, si affaccia su di una strada tranquilla, di una zona traquilla, dove le macchine che passano sono poche e pare che cerchino di fare meno rumore possibile, quasi si sentano obbligate a rendersi invisibili, o quasi, in questo angolo leggero di Milano.
Davanti alla mia finestra c’è un’altra finestra, una palazzina di soli due piani. Dentro quella stanza, una minorenne spesso si spoglia consapevole che io la sto guardando, atteggiandosi come le teen caricaturali dell’esordio alla regia di Catherine Hardwicke. Forse pensa che mi arrapo ma sono timido, quando la guardo e poi volto la testa, in realtà ogni volta penso che quelle tettine acerbe che ha, m’inquietano e quel sedere sodissimo e minuscolo mi fa sorridere al pensiero di quando cadrà. Perché cadrà. Io lo so.
Così oggi c’è il sole ma anche l’ombra e il vento è l’alito di un giorno nullo per quelli come me, e mi viene da prenderlo tutto.
Così oggi metto in loop una canzone soltanto, Dueto de Ivonne y Tino, dei Calexico, dalla colonna sonora di El Circo. Dura solo un minuto e quaranta, poi è loop.
Per un attimo m’immagino a quando non riuscirò più a vedermi il cazzo, perché la pancia lo coprirà e quando scoperò dovrò trattenere il fiato per sentirmi appagato.
Non so perché lo penso, forse per colpa di quella minorenne che mi fa sentire così vecchio.
Forse dovrei mettermi qui e farle vedere il mio pene e allora avrei vinto. No, non credo.
Sentirsi appagato è una bugia, ma a volte le bugie ti fanno stare meglio. Non bene. Meglio ecco.
Penso a quella volta che ho litigato con lei e sono andato via, lasciandola lì nel suo broncio e in un freddo maledetto. Ricordo che mi sono infilato in una chiesa, una a caso, lontana chilometri da dove avevo abbandonato lei.
Nella chiesa c’erano delle persone che pregavano e le sentivo così lontane da me, in quel silenzio che mi pare oggi. E io mi sono infilato gli auricolari e ho ascoltato della musica, lì dentro la chiesa e durante le pausa tra una canzone e l’altra sentivo questa vecchia recitare il rosario.
Che mi sembrava un dj set o qualcosa del genere.
Poi lei mi ha scritto dove sei e io ho scritto al suo smartphone, perché con lei non ci volevo parlare, che stavo in chiesa.
E lei mi ha trovato. Tra tutte le chiese che potevano esserci, l’ho vista arrivarmi alle spalle e fermarsi di fianco a me, guardandomi torva e poi girandosi verso l’altare e l’enorme crocifisso appeso lì, davanti ai nostri occhi.
Che mi sembrava un film.
Che forse lei mi ha seguito quando me ne sono andato ed ecco perché sapeva in quale chiesa stavo, che forse no, e allora era strano e ho sorriso a Gesù che stava malissimo inchiodato e torturato.
Che strana la vita. E anche la non vita.
E’ un giorno leggero la domenica, quasi sempre. In cui ci finisce il ciclo e siamo tranquilli e stanchi e pronti, che domani ricomincia. Il ciclo intendo.
Ho pensato anche che per spezzare gli equilibri, basterebbe togliere la domenica. Togliere un giorno di una settimana per creare il caos.
Comunque tra qualche mese andremo tutti al mare, come formiche che s’inseguono credendo di allontanarsi e allora il ciclo terminerà per un po’, giusto il tempo per affezionarsi ad una domenica infinita, che viene solo per ricordarti che se ti dimentichi l’assorbente, ti sfracelli al suolo in una pozza di sangue che di domenica non chiamiamo mai mestruo.
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