Sono andata dall’omeopata perché non riesco a dormire. Lei mi ha chiesto, ‘E con il piangere come va?’ Le ho risposto che non lo faccio molto spesso, ma che ogni tanto guardo dei film per indurmi il pianto.
‘Che film?’
‘Più che altro serie, Grey’s Anatomy, lì tanto muore sempre qualcuno.’
Ieri sono andata al planetario perché mi sentivo un po’ ansiosa. Ho pensato che vedere le stelle, i pianeti, le galassie avrebbe rimesso un po’ le cose in prospettiva. Invece mi sono messa a piangere.
In sottofondo c’era la musica dei Pink Floyd, che in genere associo con ricordi felici. I viaggi in macchina da Pescara a Milano per andare a trovare i nonni. Le canne in camera del mio migliore amico. Giocare a poker con le targhe delle auto, le battute stupide di mio padre. Le dita sudaticce di Alessandro che mi sfiorano i palmi e le risate di quando sei fatto.
Ero al Planetarium am Insulaner, doppiamente in ritardo. Non solo sarei dovuta arrivare mezz’ora prima per ritirare i biglietti, ma ero arrivata anche un quarto d’ora dopo l’inizio dello spettacolo.
L’edificio é convenientemente posizionato nelle vicinanze dell’osservatorio Wilhelm Foerster, sulla Munsterdamm. Sulla facciata si staglia una scritta al neon azzurrina che dice ‘Zeiss-Großplanetarium’.
Zeiss è il nome del proiettore, inventato, nella sua prima versione, dall’omonimo ingegnere Carl a Jena nel 1924. Riesce a proiettare sul soffitto della cupola ben 4000 stelle.
Il programma del planetario è meraviglioso, sono organizzate non solo conferenze scientifiche accessibili ad un pubblico non specializzato e classiche proiezioni delle immagini dai satelliti, ma anche serate in cui vengono trasmessi radiodrammi, nella fattispecie il prossimo sarà Solaris di Stanislaw Lem, serate in cui vengono lette storie, ad Aprile sarà la volta di fiabe della tradizione irlandese, e come oggi, serate in cui vengono proiettate immagini create da studi di produzione ed effetti speciali, con sottofondo di musica psichedelica.
Sto pensando di diventare membro, ma adesso non ho tempo. Mi agita essere in ritardo. Non vedo la mia amica, che da quanto avevo capito era già alla reception ad aspettarmi. Faccio troppe cose insieme, parlo con la cassiera per trovare la prenotazione, cerco una email per provarle il fatto e mando messaggi ad Alba. Gestisco tutto male e l’evento è iniziato da venticinque minuti. Faccio per pagare due biglietti quando la signora dietro il bancone decide di farmi entrare gratis, forse stavo stressando anche lei. Chiamo Alba. Dove sei, dove non sei, l’avevo mandata a Prenzlauerberg. Ed io ero a Steglitz. Non avevo idea che ci fossero così tanti planetari a Berlino. Entro accaldata, stanca. Per non dare fastidio mi infilo lateralmente e scelgo uno dei posti più esterni. Idea non brillante. Reclino il sedile, le proiezioni sono su uno schermo sferico poco più ampio di 180° e dalla mia posizione angolare la visuale fa schifo. Mi contorco per riuscire a vedere di più. Così può andare. Non comodo, ma vedo. Mi rilasso. Dieci secondi di una traccia che neanche riconosco e mi iniziano a scendere lacrime. Niente singhiozzi, né annaspi, solo secrezioni discrete.
Piangere in pubblico è imbarazzante, ma forse è uno dei posti in cui mi viene più facile. A casa da sola mi vengo a noia. Con un’amica che mi abbraccia mi sento in dovere di smettere per porre fine al disagio. In mezzo alla gente che fa finta di niente posso fingere anche io e andare avanti finché mi va. L’unica controindicazione è che non mi sento di fare rumore. Mentre a volte è proprio uno di quei pianti con i grugniti e gli sbuffi che serve per buttar fuori tutto.
Non chiudo gli occhi perché voglio vedere i visual, che però date le circostanze risultano un po’ appannati. Sono anche piuttosto pacchiani, li ha fatti uno studio di Salt Lake City, mi aspettavo qualcosa di più all’avanguardia. Forse è questo il problema, le aspettative. E la pazienza, santa pazienza. Credevo che tornare a casa mi avrebbe fatta sentire a casa. Dopo anni di spostamenti da una nazione all’altra, amici che trovi, amici che lasci, amori che iniziano, amori che finiscono, abitudini che crei, abitudini che disfi, avevo voglia di fermarmi e di tornare. In un posto familiare, che a mio modo amo. Di sicuro l’ho presa sottogamba, immaginavo che sarebbe stato facile, a Berlino ci ho vissuto tanti anni, la conosco. Vado in giro e non la guardo con gli occhi di chi cerca di capire come funzionano le cose, penso di saperlo. Ma che cosa dovrei sapere?
Le lacrime non smettono, scendono veloci e creano piccole pozze nelle concavità delle mie clavicole. Il respiro lentamente si fa più regolare, meno affannato. Parte ‘Money’ che é un pezzo che non ho mai apprezzato particolarmente, ma stavolta non mi dispiace. Forse è tutta l’idea di tornare che è sbagliata, sono qui per ricominciare. O meglio cominciare del tutto. È questo che non è facile. Pensavo che il solo desiderio di costruire qualcosa di duraturo, di volere finalmente stare fissa in un posto, di diventare stabile, in tutti i sensi, avrebbe fatto sì che succedesse, velocemente. Che l’entusiasmo per questo nuovo progetto lo avrebbe reso spensierato. Che allontanarmi geograficamente da un periodo in cui tutto è stato all’ennesima potenza, mi avrebbe reso più calma. E che lo avrebbe fatto subito. Mi viene quasi da ridere per la stupida constatazione che io sono sempre io, ovunque.
Le immagini si fanno più interessanti, la musica é da The Dark Side Of The Moon. Costruzioni geometriche di colori sgargianti si compongono e decompongono, mentre ruotano, scivolano, fluttuano. Mi viene la nausea. Forte, peggio che in barca, ma è quasi piacevole. Fa il paio con la confusione di pensieri che mi sballotta da un umore all’altro. La voce di Gilmur è bellissima.
Guardo il pubblico e sono tutti uomini cinquantenni che cantano sottovoce e dondolano la testa.
Mi asciugo le guance e appoggio una mano sul petto, come per dire al cuore di rallentare, che va tutto bene. Finalmente arrivano le riprese dello spazio e funzionano. Lo so che è tutto normale, che è diventare adulti e che il futuro è incerto per tutti. Lo so che è una fase, che le cose prenderanno una direzione ed anche io eventualmente. Lo so che dovrei stare tranquilla che non c’è niente che non vada; per questo guardo le stelle, la Terra, la notte: sono ancora lì.
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