Il programma è quello di arrivare al palazzetto dello sport con largo anticipo, direttamente dall’ufficio. Pensavo di vestirmi con i colori del Berlin Recycling Volleys, ma non ho niente di arancio, così ho optato per un look sportivo, tutto in azzurro. Per questo evento mi sono fatta prestare una macchina fotografica professionale da un mio collega. Me la porta con un obiettivo da 500 euro, nonostante gli avessi chiesto l’aggeggio meno impegnativo possibile. Provo a scattare delle foto, ma la macchina salva solamente l’ultima. “Manca la memoria”, mi spiega il collega, ma se voglio posso farmela prestare dal reparto produzione della mia azienda, che ne ha a bizzeffe. Decido di lasciar perdere e di farmi portare la mia da casa, ma me ne dimentico fino al momento in cui sto per prendere l’autobus per andare a vedere la partita. Chiamo in fretta e furia Fabian, che mi accompagnerà allo stadio, sperando non sia ancora uscito. Dopo il quinto squillo ancora non risponde. Quando il panico mi ha ormai assalito, sento finalmente la sua voce: per fortuna è ancora a casa.
Ci incontriamo alla U-Bahn di Schönhauser Allee. Mi chiede se ho mangiato. “Sì“, rispondo, mi ero preparata un bel panino a casa, prima di andare al lavoro. Lui no, lui si è scordato. Ci fermiamo a prendere della pizza accanto al cinema Colosseum e gliene rubo pure un morso. Poi ci accodiamo alle gambe lunghe di una comitiva di ragazzine con dei badge al collo, prendendo la strada meno trafficata, la Gaudystraße: saranno delle giovani promesse della pallavolo berlinese, penso. Arrivati davanti alla Max-Schmeling-Halle il traffico è intenso. Chiedo al botteghino dove posso ricevere l’accredito stampa, la ragazza dietro al vetro prima mi guarda interrogativa, poi mi suggerisce di provare dall’ingresso laterale, dentro il parcheggio. Chiedo al mio accompagnatore se in tedesco esista la parola Akkreditierung e mi risponde che si, è una parola tedesca, non sto sparando parole completamente a caso. Il primo ingresso che troviamo è quello VIP. Mi metto in fila, ma il guardiano mi raggiunge da dietro, chiedendomi qualcosa che non riesco a capire. “Siamo giornalisti”, spiega Fabian, e il signore ci indica l’entrata seguente, dove il cartello recita: Presseeingang. Ci presentiamo con i cognomi, ma siamo registrati soltanto con i nomi. Faccio lo spelling, ma la signora al tavolo mi lascia orfana di una “R”. Glielo spiego e lei mi dice che così suona italiano. Le dico che “sì, sono italiana” e lei mi risponde che l’allenatore ne sarà contento. Scopro che è italiano pure lui, Roberto Serniotti si chiama. Con il cartellino al collo ci avviamo a caso tra i larghi corridoi, mostriamo il nostro accredito a un secondo ingresso e dopo un attento controllo di sicurezza riservato al mio zaino, ci ritroviamo nell’enorme palazzetto, ancora mezzo vuoto: mancano più di 40 minuti all’inizio della partita.
Io comincio a montare l’obiettivo, Fabian va a dare uno sguardo in giro e cerca di capire dove dobbiamo sederci. Mi metto a fotografare il camion dell’immondizia che fluttua leggero per il palazzetto, le mascotte che passeggiano ai bordi del campo, i giocatori che si riscaldano e i poveri disgraziati che tirano delle palle enormi piene d’aria al pubblico, sperando di scaldare l’ambiente.
Sul cartellino c’è scritto che i nostri posti solo nell’area 5 e 6, vale a dire l’arena e i punti di lavoro + zona mista. Ci indicano tutto il lato di fronte, dicendoci che possiamo sederci dove vogliamo: scelgo un posto a caso, finché non mi rendo conto che in prima linea c’è un lunghissimo tavolo e un po’ di gente davanti al computer con delle macchine fotografiche che a confronto il mio obiettivo sembra un giocattolo. Vado alla ricerca di due posti liberi e, facendo spostare di qualche centimetro un collega giornalista, riesco a insinuarmi insieme al mio compagno d’avventure. Siamo seduti esattamente davanti ai tifosi del Berlin Recycling Volleys, che, uno alla volta, tirano fuori grossi e minacciosi tamburi per accompagnare i cori.
Lo speaker inizia con l’annunciare i nomi dei giocatori del VfB Friedrichshafen, in tono decisamente dimesso. Subito dopo si spengono le luci, solo le cheerleader (esistono davvero?) sono illuminate. Parte la presentazione dei ragazzi del BRV, che entrano in campo uno ad uno, illuminati da un cono di luce e passando tra quattro colonne dalle quali escono bagliori di fiamme; danno tutti “il cinque” alla mascotte Charly, un tigrotto molto propenso a fare festa. Dietro di noi, i tifosi tirano fuori dei cartelloni con la foto, il nome e il numero di maglietta del giocatore chiamato in campo.
Il fischio di inizio arriva alle 19:30 in punto; il BR Volleys batte per primo, sbagliando. Dopo quattro punti subiti consecutivamente Roberto Serniotti chiama il primo timeout. Fabian mi ha accennato, mentre mangiavamo la pizza, che i berlinesi hanno giocato e perso le semifinali della Final Four della Champions League, al Palalottomatica di Roma, appena qualche giorno fa, contro i russi del Kazam e il Civitanova. A guardarli adesso in campo i giocatori sembrano ancora poco concentrati, mentre il VfB è venuto a Berlino per incassare la vittoria del campionato, dopo aver vinto la prima partita in casa (3:0): la sfida si gioca al meglio dei tre incontri. Al primo punto del Berlino parte il Can Can, accompagnato dai tamburi dietro di noi e dalla gente che sbatte dei ventagli di cartone a tempo. Sembra di essere in una discoteca, ma appena l’arbitro fischia si torna allo stadio: restano solo i tamburi. Mi volto a contarli: sono 16 tamburoni schierati compatti contro la quarantina di Häfler, come vengono chiamati i cittadini di Friedrichshafen, che, dal loro settore, con i loro 7 miseri tamburini a confronto sembrano una piccola banda di paese.
Intanto il BRV rimonta fino al 24 a 23: è un testa a testa. “Eins, zwei, drei”: i tifosi contano i passaggi; le cheerleaders si sono cambiate, passando da un top e pantaloncino neri a un mix con dei capi in jeans. A ogni punto parte la musica fortissima, sempre differente, mentre le percussioni impazzano dietro le nostre povere orecchie: Fabian mi fa notare che all’ingresso si potevano comprare dei tappi. Forse avrei dovuto optare per quelli e non per la birra, a 4 euro più Pfand, che sorseggio solitaria, l’unica al tavolo della stampa. D’altronde, sono da sola anche nel gioire ogni volta che il Berlino conquista un punto: il mio vicino di sedia se la ride, mentre io comincio a sbirciare sul suo monitor e mi rendo conto che sta twittando live la cronaca della partita. Il primo tempo va ai forestieri, 24:26.
Durante la pausa le cheerleaders si cimentano in una coreografia, rivolte al pubblico di fronte a noi: possiamo ammirare 18 sederi muoversi a ritmo di musica a qualche metro dai nostri nasi. Alle 20:04 comincia il secondo set. Ora che i BR Volleys sono dall’altro lato riesco a guardarmi un po’ più intorno. A parte la pubblicità, sugli schermi laterali compare una scritta “GEBT ALLES” (Date Tutto) che si ingrandisce fino a trasformarsi nel nome della squadra, per poi lasciare il posto a una fila di secchi dell’immondizia colorati; adesso è chiara anche a me la connessione tra il Recycling incluso nel nome del BRV e tutti gli accessori mostrati in questo spazio: ci ho messo un bel po’ per capirlo. La partita procede lenta e rumorosa. L’atmosfera si riscalda quando, dopo una ricezione mal giocata, il numero tre berlinese, il capitano Robert Kromm, si lancia in un tentativo disperato di recupero, ma viene ostacolato da un avversario. Il giocatore si lamenta, il pubblico fischia, ma l’arbitro non si lascia impressionare. Sul 16:13 una battuta sembra finire fuori dal campo: ripartono le proteste e stavolta il direttore di gara tira fuori un cartellino giallo per Kromm. Sul 22:21 a Serniotti saltano i nervi: il tecnico italiano si lamenta platealmente per una decisione a suo parere ingiusta e viene espulso, regalando agli avversari il 22:22. Poco male, visto che Berlino riesce comunque a vincere il set per 25:23.
Mentre mi preparo al terzo tempo ricordo di avere una vecchia agendina nello zaino. La tiro fuori e comincio a scriverci i miei appunti: i due striminziti fogli di carta sui quali sto scrivendo già da alcune ore sono ormai pieni. Il mio vicino di banco intanto mi chiede se ho capito il perché del cartellino rosso a Serniotti, ma io non so cosa rispondere. Ho sempre gli occhi sulla carta, oppure nell’obiettivo della macchina fotografica: praticamente non guardo quasi più la partita. Quello che mi ricorda la suddetta agendina del terzo set, a parte la vittoria dei BRV (25:16) è:
* l’orario di inizio (20:36),
* lo speaker che incita il pubblico a sostenere la squadra,
* la macchina fotografica che va in stand-by e non riesco mai a rianimare in tempo per cogliere i momenti peculiari,
* la memory card piena,
* le battute corte che toccano la rete e mi fanno agitare,
* il jingle che parte quando un muro (in tedesco Block) ferma una palla: “Meine Straße, mein Zuhause, mein Block, mein Block!”,
* il cartellone con i punti che non avevo preso in considerazione, presa dal fotografare impulsivo,
la ola che parte lentamente per diventare sempre più veloce e forte,
* le musiche che esplodono durante le pause: put you hands up in the air, tu vuoi fa’ l’americano, tun tun cha.
Al cambio campo prima del quarto set i giocatori del BRV corrono lungo il bordo campo e incitano il pubblico. Il giornalista accanto a me viene chiamato da qualcuno con un nome italiano e io mi chiedo se starà leggendo quello che scrivo su di lui nei miei appunti. In attesa che il gioco ricominci, mi metto a cancellare foto vecchie di due anni dalla mia memory card, per poter continuare a usare la macchinetta buona, invece dello smartphone. Le cheerleader sono ricomparse, dall’altro lato del campo, sempre con le “spalle” rivolte a noi, mentre i giocatori corrono da un lato all’altro, rallentano al bordo e poi toccano la striscia di schermo che circonda il terreno di gioco, prima di ripartire a razzo, sfidandosi in velocità.
Il quarto e ultimo set inizia alle 21:05, mentre io mi arrabbio con me stessa per non sapere usare bene la macchina fotografica.
La partita procede poi con un testa a testa memorabile, mentre lo speaker ci informa che siamo in 7.895 dentro il palazzetto.
I berlinesi staccano di qualche punto il VfB Friedrichshafen, che tenta di tenere duro. Al 22:18 l’atmosfera è incandescente e un muro vincente di Felix Fischer, il centrale berlinese con la maglia numero 6, scatena un’esplosione di giubilo. I fan si alzano in piedi, seguono attenti gli ultimi palleggi, finché la schiacciata di Schott segna la fine del match: 25:21. Mentre gli avversari fanno stretching, tutta la squadra berlinese fa il giro del palazzetto, dando il cinque ai tifosi. E’ bello vedere i giocatori fermarsi nelle tribune a parlare con i fan, andare a prendere i figli e portarseli in campo, è bello poter parlare col trainer Serniotti, che l’atmosfera sia così familiare.
Prima di andare a casa seguo i segnali per la toilette: è dalla fine del secondo tempo che devo andare in bagno, ma non ho avuto il tempo di alzarmi dal mio posto. Le security mi dice che devo provare al piano di sotto. Trovo il deserto, oltre alla stanza in cui si tengono i campionati di ping pong: ha un’aria oscura, senz’anima, al buio delle luci spente e con le sedie tutte vuote.
All’uscita, sono le 22, prendiamo la Gleimstraße. Osserviamo stupiti i locali pieni al mercoledì sera. Svoltiamo su Schönhauser Allee per andare a prendere la U-Bahn: l’area è piena di Polizei. Davanti alla Deutsche Bank è tutto transennato, si vedono un furgone portavalori, una ventina di poliziotti che parlano con un ragazzo alto in giacca nera, tre reporter che tentano di scattare delle foto. Proviamo a immaginare cosa possa essere successo: forse un furto al portavalori parcheggiato in seconda fila. Arrivati a casa, scopro che c’è stata davvero una rapina a mano armata: il conducente del furgone, ferito, è stato trasportato in ospedale ed operato d’urgenza, i malviventi sono fuggiti, ma senza riuscire a portare via il bottino.
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