Istanti di interviste che catturano sensazioni e associazioni legate ai mezzi di trasporto di una città. La rete a Berlino è una delle più estese d’Europa; non si ferma mai, giorno e notte. Nel suo passaggio continuo sembra possedere una vita autonoma, una presenza fisica e immaginaria che si connette, come le fasi del giorno, alle persone e al loro unico desiderio.
Marco, 30 anni: “Nächste Station: Hauptbahnhof.” Voce di uomo reale, non è fredda né metallica. La sento di nuovo arrivando da Alexanderplatz. Sono passati cinque anni, ma è la stessa e ha un effetto espansivo su di me: mi ricorda di quando ci sedevamo nel piano più alto della stazione, la stazione con più livelli e binari di tutto il paese. Partendo dalla sua casa a Wedding, alle prime luci dell’alba, d’estate, attraversavamo un’area verde abbandonata; unici abitanti delle panchine deserte dell’ultimo piano. Lei non poteva dormire, ma socchiudeva gli occhi tra il fragore sommesso dei primi treni in arrivo e le mie braccia.
Daniel, 38 anni: Il regionale in partenza da Alexanderplatz e diretto a Stralsund emette alla partenza sempre lo stesso tipo di rumore. Un fischio stridente, un’esuberanza meccanica senza conseguenze, della durata di circa tre secondi poco dopo essersi messo in movimento, alle sette e trenta. Lo sento soltanto le mattine che arrivo da Mariannenplatz, da casa sua. Lavoro da dieci anni come ingegnere per un’azienda americana, organizzo conferenze. Per me è diventato un sorta di richiamo e in quel momento immagino di ritrovarmi sul binario sbagliato, quello esattamente di fronte, e di salire, come se fosse un programma diverso per la nostra vita e potessimo fare un viaggio.
Katja, 28 anni: Abito tra Görlitzer Bahnhof e Kottbusser Tor, vicino a Mariannenplatz, in quel palazzo geometricamente di traverso con un murales di un uomo nello spazio che copre tutta la murata antincendio e, so che sembra ridicolo, ma la mattina presto, al passaggio delle prime U1 vicino a casa mia, provo un sentimento di estensione, di libertà, qualcosa ritorna dall’esterno. So invece che non dovrebbe avere molto senso quel fragore in alto, che fa vibrare le finestre e che arriva fino a me in cucina, che sto facendo colazione da sola, con le tende scostate sulla strada in vita.
Sebastian, 45 anni: Le dieci del mattino. Un silenzio acustico ovattato, compatto, dentro un numero inspiegato di volti sconosciuti. Non è un momento facile per me, non mi stanno arrivando conferme per i finanziamenti della mia ricerca, ma l’altro giorno credo di aver avuto un attacco nella U5, poco prima della fermata di Alexanderplatz dove hanno finito da poco i lavori. Il silenzio acustico delle metropolitane sotterrane è la vegetazione perfetta. Preme sui timpani, sul collo, sui polmoni, sulle braccia, sui piedi. È come restare chiusi in casa per giorni, non pensi? Soltanto tu e la tua parte. Inoltre, nessuno con cui farla fuoriuscire, nonostante ci sia un mondo di persone, lì intorno. Prova con dei respiri profondi, altrimenti scendi di corsa.
Andrea, 60 anni: La metropolitana di superficie sembra che corra su cuscini invisibili. Un’assenza acustica che si riempie degli impulsi visivi della luce esterna. Lo percepivo con forza proprio ieri sera, mentre stavo tornando a casa, dalla fermata dello zoo fino a Warschauer Straße, attraversando tutta Berlino. Mi rilassavo nel silenzio espanso nelle immagini, nel defluire della città dentro di me. L’Isola dei Musei guadata da uno spazio quasi invisibile, da sopra e alle spalle di tutto, e poi il lungo Spree, le temperature non respingenti di maggio, le prime persone distese sulle sdraio.
Martin, 27 anni: Notte. Autobus N40, diretto da Friedrichshain, dove sono uscito, a Wedding. Si ferma. Rumore di sfiatatoio mentre si abbassa di fronte alla pensilina illuminata dove siamo. Entro. Il ragazzo davanti a me saluta l’autista con un “morgen”, l’inverno è lungo, ma adesso sono le prime luci del suo capolinea in alto; le quattro, sta schiarendosi, tonalità che degrada. Entro, cenno di saluto. Dietro di me un leggero clamore di moneta, segno acustico di emissione di biglietto; una ragazza di circa vent’anni. Rimango in piedi. Sul freddo del vetro mi addormento; rumore di velocità nella notte, uno scendere in cui le fermate si perdono. Un battito di mani che mi risveglia, è l’autista, ci metto un po’ a capire. Poi scendo.
Vera, 25 anni: Per me sono come animali che corrono in città. Nessuno li guida. Hanno una coscienza propria. Sono come fiumi. E ci puoi salire sopra. Non è questa l’impressione che si ha guardando il Maps dell’applicazione? Tutto si muove, respira, sale all’aperto e scende nel buio.
Sarah, 23 anni: Le cinque. Mentre lui si spoglia, dalla strada proviene lo sferraglio di un tram che si arresta. Il numero tredici, fermata di Seestrasse, Wedding, dall’altro lato del parco per bambini che si distende sotto la mia finestra, a sud. Poco dopo ancora, un fragore sordo, lontano e vicino, è l’alba. Coscienza di una ripetizione che si dilata, i miei e tuoi organi degenerativi. È quasi finita. Sono distesa e con gli occhi aperti.
n.d.a: Marco sono io e Sarah era lei. Sebastian e Andrea mi hanno presentato Martin, che ha incontrato Sarah una notte. Voi siete Daniel e Katja, che ho conosciuto poco dopo il mio arrivo. Loro sono Vera, un’amica.
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