La salma arriva con un certo ritardo. È un venerdì pomeriggio caldo e assolato. Non più anomalo per fine ottobre. Il corpo dentro la bara è di una donna, 66 anni. Di più Cristiano e Zeno non vogliono sapere. Insieme ad altri due operatori, aspettano nel piazzale davanti all’entrata del cimitero, vicino al carrellino allungabile a quattro ruote che servirà a trasportare la salma fino al lotto Q, quello indicato dall’effige di Sant’Anna. Una volta arrivato il corteo funebre, che proviene dalla chiesa dove è stata celebrata la messa per il defunto, le persone si allineano dietro il feretro secondo le modalità consuete: a ridosso i familiari, più indietro gli altri, amici, conoscenti, parenti.
Ascensore che sale al secondo piano. Loculi vuoti, alcune persone davanti a quelli pieni. Il cielo azzurro. Il secchio con la calce e l’acqua. Il coperchio di cemento armato appoggiato da una parte. “Si può procedere?” chiede Cristiano. Una rosa che starà al buio per almeno venti anni.
Due mondi stanno uno di fronte all’altro, quello affettivo, del dolore, e quello delle procedure, della prassi distaccata, necessaria per fare il proprio compito. Meccanismi di difesa, indispensabili quando per lavoro hai a che fare tutti i giorni con la morte ed il dolore.
“Il primo giorno in cui ho fatto un’esumazione ho raccontato a casa tutti i particolari; il secondo giorno ho raccontato il 90% dei particolari, il terzo il 70%. Dopo sei mesi, quando hai fatto dieci esumazioni, non le racconti nemmeno più”, mi dice convinto Cristiano, 43 anni, grossetano, operatore tecnico necroforo presso il cimitero comunale di Sterpeto, nella periferia est di Grosseto. La società per cui lavora, dal nome vagamente enigmatico, si chiama Sistema Srl e gestisce i servizi pubblici della città di Grosseto. La parte dei servizi cimiteriali e funerari è di competenza della professionalità del personale che fino a tre anni prima faceva parte della San Lorenzo Servizi. Un’azienda cosiddetta partecipata, nata nel 2001, di proprietà del Comune, inglobata, appunto dal 2013, nell’azienda madre.
“Per quanto riguarda le onoranze funebri il servizio che offriamo è quasi completo. Tranne i fiori e le corone, a cui noi non pensiamo, per il resto facciamo tutto quello che è necessario: vestizione e sistemazione delle salme, fornitura di casse e arredi, trasporto e servizio cimiteriale”, mi dice Fabio, che svolge questa professione da venticinque anni. Con servizi cimiteriali si intendono, fra le altre, le operazioni di sepoltura, inumazione, esumazione, tumulazione ed estumulazione. “A differenza delle altre imprese funebri noi gestiamo il cimitero e quindi copriamo anche il settore cimiteriale”, nonché le attività legate al patrimonio del cimitero stesso, come la custodia, la pulizia, la realizzazione e la manutenzione dell’illuminazione votiva.
“Facciamo circa 500 funerali l’anno” racconta Fabio, all’interno del suo ufficio al piano terra della palazzina ottocentesca che una volta era l’abitazione del custode.
“Sono i servizi funebri svolti da noi, le persone a cui diamo la cassa. Qui facciamo però anche seppellimenti e tumulazioni di persone i cui parenti si servono presso altre imprese funebri, private. Ci portano la salma e il loro compito finisce qui: inumazione e tumulazione la facciamo noi”.
Fabio mi fornisce anche qualche numero, utile perlomeno a farsi un’idea. A Grosseto, nel 2015, sono decedute 1252 persone. Di queste, circa 800 sono state seppellite nel capoluogo maremmano. Se la Sistema si occupa di circa 450-500 funerali l’anno, gli altri se li dividono le cinque-sei imprese private che esistono in città.
“Sono poche le imprese funebri italiane che offrono i servizi che offriamo noi. Per trovare un’impresa privata che dispone 500 servizi all’anno, devi andare a Roma o a Milano” racconta.
Fabio è il responsabile dei servizi funebri e organizza i turni per gli undici dipendenti “operativi”. A turno, tutti sono reperibili fuori dall’orario di lavoro.
“Ti chiamano alle tre di notte, ti alzi, vai a fare una vestizione, ritorni a casa e ti rimetti a dormire” spiega Enrico, alla San Lorenzo-Sistema dal 2001.
Conosco bene Enrico, so che chiama le cose con il proprio nome, non usa giri di parole, dice la verità senza tanti fronzoli. I fenomeni percolativi e l’acidità dei liquami cadaverici dai cofani destinati alla tumulazione, che è un argomento della formazione tecnica degli operatori necrofori, sono delle “macchioline che fuoriescono dal tumulo perché la saldatura del coperchio della cassa in zinco magari non è fatta bene.
“E noi esseri umani puzziamo più delle bestie” racconta, marcando con un ghigno eloquente l’ultima parola. Nelle bare destinate alla tumulazione – il metodo di sepoltura dei cadaveri in nicchie o loculi – la cassa lignea deve contenere per legge un’altra contro-cassa in metallo inossidabile – zinco o piombo – con coperchio saldato ermeticamente a stagno, che ha la funzione di trattenere il liquame nerastro, dall’aspetto viscido e dall’odore disgustoso, che si forma dalla decomposizione degli organi e delle viscere. Nei locali del cimitero monumentale di Sterpeto si trova anche una sala autoptica, nel caso la Procura decida di fare svolgere l’autopsia.
Lo fa anche per persone che sono seppellite da mesi: “Si toglie la cassa da sottoterra, si apre, qualche volta il coperchio è sfondato dal peso della terra. La prima volta, i medici patologi mi costrinsero a non andare fuori a prendere aria, perché altrimenti non mi sarei mai abituato all’odore nauseabondo” ricorda Enrico.
Questo pomeriggio il telefono dell’ufficio squilla in continuazione; ci sono quattro funerali che si sovrappongono. Parte del personale è stato richiamato in servizio. Dai monitor delle telecamere di sicurezza sopra la scrivania si vede un continuo via vai nel piazzale antistante.
Mi ricordo distintamente quando mio fratello, all’inizio di questo lavoro, mi chiamava al telefono per placare l’angoscia che lo invadeva nel momento in cui doveva partire per recuperare un cadavere. L’angoscia di trovarsi di fronte a qualcuno che ami, a cui vuoi bene o che solo conosci.
Chiedo a Carla se ci sono periodi in cui si muore di più.
Una signora gentile con i capelli biondo platino, che è nell’amministrazione da oltre quindici anni.
“Noi guardiamo sempre il calendario e ci aspettiamo un aumento dei decessi in determinati periodi. La luna piena, ad esempio, incide molto, come con le nascite”.
Questo venerdì di fine ottobre non segna passaggi di stagione, né vi sono stati cambiamenti di venti, e nemmeno c’è luna piena. Tuttavia, c’è molto da fare oggi a Sterpeto. La stanza in cui mi trovo funge sia da ufficio per i servizi del cimitero, sia da luogo per l’esposizione delle casse dell’impresa funebre. È molto spartana, semplice, come si conviene ad un posto simile. Una tenda a pannello separa le due aree. Tre sedie, una scrivania, un piccolo ripostiglio, una serie di faldoni.
“Le caratteristiche legali delle bare sono contenute nel Regolamento di polizia mortuaria (DPR 285/90)” spiega Fabio “le bare per il sotterramento devono avere uno spessore di almeno due centimetri, quelle per i loculi o per un trasporto fuori dal Comune, almeno due centimetri e mezzo. Se si superano i 100 km, anche la bara che va in terra deve avere all’interno una barriera biodegradabile. E noi non abbiamo il crematorio a Grosseto. Dobbiamo andare a Livorno che dista 150 chilometri”.
E pensare che la produzione italiana di bare è di altissimo livello. Le casse italiane sono migliori di quelle tedesche o inglesi. Ma gli aspetti positivi finiscono qui, come vedremo. All’estero i servizi funebri e cimiteriali sono di qualità più alta e la professionalità è maggiore.
“Le bare” mi spiega Emanuele con il suo accento maremmano “ce ne sono di tutti i tipi: si parte da quella base, che costa 1000 euro e si va a salire, perché naturalmente cambia il legno. Il rovere è normale che costi di più. C’è quella in noce, in abete senza nodi, ce ne sono tante. Ci sono quelle lavorate con l’effige religiosa, quelle lisce. La più cara è quella in radica di rovere con tralcio di rose intarsiato, che costa 5000 euro”. Sono poche eccezioni però, il 90% prende quella base.
“La gente ha capito che la situazione non cambia” spiega Carla.
“Questo per quanto riguarda il Nord e Centro Italia.” aggiunge Fabio, perché al Sud la situazione è diversa.
“Al Centro e al Nord ci sono molte cremazioni, al Sud sono esigue. Nel Meridione ci sono poche salme che vanno sotto terra. Al Sud si va nei loculi”.
Anche i servizi funebri sappiamo che sono molto diversi: ”Non dico che vanno coi cavalli, ma il servizio funebre è più curato, più pomposo. Ci sono più persone, costa di più” spiega Fabio, che dai racconti delle sue esperienze fa capire che il giro d’affari del settore è enorme, e non è sempre trasparente.
L’attività funeraria in Italia – il funerario comprende sia il funebre che il cimiteriale – è caratterizzata da una forte componente economica, con un giro d’affari di 3 miliardi di euro e attività collegate a 16000 cimiteri e 6000 gestori cimiteriali, come vengono chiamati. Gianni Gibellini, che è il Presidente di EFI (Eccellenza Funeraria Italiana), una grande associazione che raccoglie molte imprese funebri italiane, afferma, in un’intervista, che di queste 6000 imprese solo la metà ha i crismi della regolarità. Il settore sta pagando lo scotto di una liberalizzazione selvaggia che negli ultimi venti anni ha più che raddoppiato il numero degli operatori, con le conseguenti difficoltà di sostenibilità economica. Nel cimiteriale le difficoltà derivano anche dalla crescita della cremazione, perché ovviamente ci sono meno introiti derivanti dalle concessioni. L’aspetto più deleterio, in un reparto che comunque riguarda la salute e la sicurezza pubblica, è l’improvvisazione con cui molte delle imprese funebri italiane si costituiscono, grazie ad una legislazione frammentata che è una vera giungla, senza norme e regole comuni. La disciplina che regolamenta lo svolgimento dell’attività funeraria in Italia risale al 1990 ed è il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 285/90, che è il Regolamento della Polizia Mortuaria. Con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, le Regioni hanno poi avuto la possibilità di legiferare in materia di Polizia Mortuaria e alcune, a partire dalla Lombardia nel 2003, lo hanno fatto, rendendo così dissimili l’una dall’altra le diverse normative regionali. Le organizzazioni di categoria sostengono ormai da anni il bisogno di ordine, di una legislazione uniforme da Aosta a Palermo e soprattutto intendono perseguire la moralizzazione del settore, il rigore etico, la trasparenza e la correttezza, nonché un equo rapporto qualità-prezzo e la lotta al sommerso. Basti pensare che è grazie al sommerso che alcune aziende trovano i soldi per fare la mancia a qualche infermiere perché gli passi il funerale.
Al fine di ridare dignità a questo settore, dunque, nel Parlamento della Repubblica Italiana, nella sua XVII° legislatura, e in particolare dal secondo governo di questa, quello di Matteo Renzi, sono passati all’esame delle varie Commissioni già tre disegni di legge, che però non hanno trovato il consenso di tutte le parti in causa. Si è giunti quindi ad un testo unificato, il cui relatore è la senatrice Giuseppina Maturani (PD), la quale sintetizza i tre ddl precedenti e che è il testo di riferimento delle future discussioni. Attualmente ancora in corso di esame nella XII Commissione (Igiene e Sanità) del Senato. Sempre Gianni Gibellini, in un’intervista di non molto tempo fa, in occasione della Fiera Tanexpo 2016, dichiara che questo nuovo testo legislativo è una rivoluzione, che avrà bisogno però di 25 anni per andare a regime. Il testo unificato, adeguandosi a norme e standard che sono proprie dei paesi europei, fissa le misure obbligatorie necessarie a qualificare le imprese del settore, come il numero minimo di dipendenti, una minima dotazione di mezzi di trasporto – un’impresa che fa da 300 a 1000 funerali all’anno deve avere sei necrofori e tre mezzi funebri, se ne fa più di mille, dodici e quattro – e l’obbligo di formazione per il personale. Nella nuova legge vi sono contenuti anche aspetti fiscali, come la riduzione dell’Iva per chi investe nel settore e l’aumento della detraibilità delle spese per le famiglie.
Morire infatti ha un costo.
“Qualcuno mi ha chiesto di pagare a rate”, mi dice Carla. Entrare, da morto, in uno dei cimiteri comunali di Grosseto costa 130 euro. Tassa di ‘diritto fisso’ si chiama. Il seppellimento costa 366 euro, la tumulazione 146,40. La tumulazione delle ceneri 39,04 euro.
Poi ovviamente c’è il costo della cassa. Per l’inumazione la cassa di legno scadente va bene, perché tanto si deve degradare. Il funerale base costa almeno 1700 euro. E poi paghi la concessione del terreno che è di proprietà del Comune: “Il terreno non si acquista, si va in terra e ci si rimane per un periodo minimo di 10 anni, poi il Comune può fare l’esumazione. Nel loculo, invece, paghi la concessione per 50 anni, in altre zone 30 o addirittura 100, e hai il forno per tutto quel tempo” spiega Fabio.
Poi c’è la parte vecchia del cimitero, con arcate antiche e sepolcri in cui le date di nascita sono di tre secoli fa. Lì la concessione è perenne. La legge prevede un tempo minimo di 10 anni prima di recuperare i resti sepolti nel terreno, perché dopo dieci anni dovrebbe essersi completato il processo di mineralizzazione. Per l’estumulazione, l’operazione che consente di recuperare i resti mortali sepolti in un loculo, occorrono minimo venti anni – o comunque alla scadenza della concessione – perché ovviamente è più lento il processo di decomposizione del corpo.
Quest’ultimo può durare dalle due settimane a vari mesi, secondo la temperatura dell’ambiente circostante. Ovviamente, più è caldo e più è veloce. Il processo inizia con l’autolisi, il fenomeno biologico di auto disintegrazione delle cellule mediante enzimi da esse prodotte. L’autolisi causa anche la rottura dei capillari, che dà al cadavere il tipico colorito viola pallido. Un processo lungo, complesso, incredibile, affascinante. Enzimi, batteri, gas, liquidi. L’odore terribile che attira le mosche carnarie, che rilasciano uova, le quali diventano larve, finendo il corpo.
È la fase cruciale del processo. Era in questo stato, pieno di larve, il corpo di una donna che Enrico è dovuto andare a prendere alcuni anni fa, nel 2004. Era il corpo di una vittima che un maniaco assassino aveva cercato di nascondere.
“Certo babbo, potevi almeno prenderne un po’ per andare a pesca”, ci scherza su Filippo, suo figlio tredicenne con gli occhi azzurri e i capelli biondi, che sta ad ascoltare meravigliato suo padre che racconta.
“Bachi! Il corpo era pieno di bachi” dice Enrico. Gli chiedo cosa facciano in quei momenti.
“Che fai? Niente. Prendi le larve, le spazzi e le butti” come se fosse una cosa che si fa tutti i giorni.
“Dopo, naturalmente, viene la ASL a fare la disinfestazione”.
Enrico e i suoi colleghi hanno visto già molte delle facce della morte. C’è una parte del lavoro di queste persone, in cui il morire presenta il suo volto più raccapricciante. È la parte relativa al recupero salme: “La legislazione dice che tutti i Comuni in Italia sono obbligati a togliere il morto dal territorio, altrimenti chi lo toglierebbe? Se il mare rende il corpo di uno sconosciuto, chi lo va a prendere? E noi siamo l’unica struttura presente in provincia reperibile 24 ore su 24” mi spiegano Michele ed Emanuele.
Per Enrico e i suoi colleghi, nei primi giorni del 2012, la morte ha avuto il volto deturpato e irriconoscibile dei cadaveri della Concordia, la nave naufragata davanti alle coste dell’Isola del Giglio, la sera del 13 gennaio 2012. Un caso che ha suscitato scalpore a livello mondiale. L’incidente costò la vita a 32 persone, più quella di un sommozzatore impegnato nei lavori di rimozione del relitto.
“Parlo dei secondi corpi, di quelli recuperati nelle settimane successive al naufragio. I Vigili del Fuoco li hanno portati con l’elicottero a Grosseto e noi li abbiamo tolti dai sacchi, spogliati, messi dentro le casse di zinco in attesa dell’autopsia. Erano tutti gonfi, bianchi, mangiati dai pesci, non si riconosceva se erano uomini o donne”.
Paola è la moglie di Enrico, è di Piombino e fa l’infermiera a Grosseto. Conosco bene anche lei. È mia cognata. Si sono conosciuti proprio quando Enrico iniziava questo lavoro.
“Un po’ te lo porti dietro, è ovvio. A casa hai bisogno di parlarne, per liberarti in qualche modo. Hai bisogno di scherzarci” mi dice, circondata dall’affetto di due splendidi bimbi; Filippo e Gianluca, i miei nipoti, di 7 e 13 anni. Mi ricordo distintamente quando mio fratello, all’inizio di questo lavoro, mi chiamava al telefono per placare l’angoscia che lo invadeva nel momento in cui doveva partire per recuperare un cadavere. L’angoscia di trovarsi di fronte a qualcuno che ami, a cui vuoi bene o che solo conosci.
Nell’ufficio, intanto, squillano telefoni e cellulari. Risuona in continuazione un beep; è l’apertura centralizzata della sbarra del cancello, azionata in maniera quasi meccanica, mentre parlano, da Carla e Fabio: sono i ragazzi che tornano da un servizio. Non hanno potuto fare la vestizione della salma di una donna perché i parenti non hanno voluto che fossero degli uomini a farla. Ma alla Sistema srl non ci sono donne che svolgono i servizi.
“Non è mai successo in 20 anni che sono qui. Ora hanno chiamato una donna, un’esterna. C’è ancora da incassarla” rivela Carla, che poi continua “Per fare questo lavoro bisogna avere la testa, ed averla lucida, perché ci sono moltissimi passaggi importanti cui tenere conto. Ci sono degli orari da rispettare dopo il decesso. Se qualcuno muore in casa, per esempio, noi abbiamo l’obbligo di avvertire il medico necroscopo che deve passare dalla casa fra la 15° e la 30° ora dopo la morte a controfirmare il verbale del medico di base. Organizzare un servizio funebre non è una stupidaggine”.
Le chiedo com’è trovarsi quotidianamente di fronte al cordoglio, al dolore: “Anche per questo occorre essere lucidi, perché questo lavoro ti mette duramente alla prova. Soprattutto quando ci sono persone che conosci. Ti estranei fino ad un certo punto. Da come le famiglie mi si siedono lì davanti, poi, capisco quanto gli importa della cosa. Oramai riesco ad inquadrarli”.
Nell’ufficio entrano di continuo persone che chiedono informazioni su questo o quel funerale, sull’ubicazione di questa o quella tomba. A tutti, Carla si rivolge con sensibilità e comprensione, attraverso i suoi modi e le sue parole.
Anche Fabio, nel sobrio completo blu ministeriale, con camicia celeste e cravatta rossa, trasmette serietà, professionalità, ma anche tanta umanità e dignità.
“A scuola, nessuno dice che da grande vuole fare il becchino” racconta “ma fatto in un determinato modo, anche questo è un lavoro che ti può dare delle soddisfazioni. Non economiche, ovviamente. Se dopo 25 anni c’è gente che viene ancora a cercare te, perché quando è morta la mamma 25 anni prima tu hai fatto un buon lavoro, vuol dire che sei stato bravo. Ecco, queste sono le soddisfazioni di cui parlo”.
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