Sono seduto su un sedile laterale di un piccolo autobus, accanto al finestrino. Sono partito alle 11.00 da Odessa, in Ucraina, per raggiungere Chişinău, in Moldavia, a nemmeno 200 km di distanza. Dopo avere oltrepassato la frontiera ucraina, con i soldati armati in mimetica militare a effettuare i controlli, restiamo fermi di fronte al successivo posto di blocco. I poliziotti non hanno però l’effige della Moldavia sui giubbotti: hanno uniformi nere. Stiamo per entrare in Transnistria, la regione autonoma e separatista che si trova in territorio moldavo, a est del fiume Dnestr, ma che è rimasta legata al suo passato russo-sovietico. Sposto la tendina ed è un attimo: vedo l’autista andare incontro a un poliziotto, si danno la mano, ma non hanno nemmeno la cura di non farsi notare nell’evidente passaggio di denaro. Corruzione.
«Trasportavate della merce?», mi chiede Vitalie Sprinceana, un giornalista, sociologo e attivista moldavo, che incontro il giorno seguente nella sua abitazione nella periferia meridionale di Chisinau, città capitale della Repubblica di Moldavia.
Sì, gli rispondo, c’erano tessuti e vestiti sparsi un po’ sotto tutti i sedili. «Beh, è chiaro. Sicuramente è merce cinese, comprata al Seventh- Kilometer di Odessa (uno dei più grandi mercati all’aperto d’Europa, solo container che coprono 170 ettari di terreno) e che arriva poi a Piaţa Centrală, il mercato centrale di Chisinau ed è venduta almeno al doppio».
Nonostante i capelli e la barba brizzolati, Vitalie Spinceana è giovane e molto operoso: conduce un programma televisivo ed è membro fondatore di Platzforma.md, uno spazio online dedicato a riflessioni e analisi di fenomeni sociali, culturali e politici. Platzforma.md è nata con il supporto della Friedrich Ebert Foundation, la più antica fondazione politica tedesca, creata nel 1925 e legata al Partito Socialdemocratico tedesco.
È il sospiro rassegnato della voce di Vitalie che mi fa pensare che l’episodio della frontiera sia solo una normalità da queste parti, un’abitudine acquisita, una “seconda natura”, quella della corruzione e del malgoverno. Lo sconforto e la rabbia del popolo moldavo hanno ragione di essere, quando si leggono alcuni dati socioeconomici relativi all’andamento dell’ex Repubblica sovietica. L’Indice di Percezione della Corruzione (Corruption Perceptions Index) di Transparency International, per esempio, che misura la corruzione nel settore pubblico e politico di 176 Paesi nel mondo, nell’edizione del 2016 vede la Moldavia in 123a posizione. Ben oltre il 60° posto dell’Italia. Conflitti d’interesse, illeciti finanziari e corruzione sistemica rendono inevitabile nel paese la violazione continua dei diritti dei cittadini, dei lavoratori, delle persone anziane, dei poveri e dei malati.
«Le scuole e gli ospedali fanno schifo», mi dice senza giri di parole Lilia Nenescu, la compagna di Vitalie.
Ha i tratti delicati e raffinati, Lilia, i capelli biondi colorati di blu che s’intonano con il marrone dei suoi occhi vispi e intelligenti. «Il 95% delle scuole in aree rurali ha il bagno fuori. Immagina come deve essere per un bambino fare la pipì d’inverno con dieci, quindici gradi sotto zero», mi dice.
Il quadro che descrive il suo compagno è sconsolante:
«Naturalmente è molto difficile fornire dati esatti, ma solo per darti qualche indicatore: il livello di sussistenza è di 2000 Lei, che corrispondono a 100 euro. La pensione media è di 1000 Lei. Il salario minimo è qualche centinaio di Lei sopra il livello di sussistenza, 105-110 euro. Lo stipendio medio in Moldavia delle persone ufficialmente impiegate è di circa 200 euro. Il problema è che poche sono le persone ufficialmente impiegate. Molti di queste lavorano in nero, senza avere nessun tipo di contributo pensionistico e copertura sanitaria. Se parliamo di fenomeni sociali collegati alla povertà, allora dobbiamo dire che quasi ogni famiglia in Moldavia ha qualcuno che lavora all’estero. Questa povertà di base influenza altri aspetti dello sviluppo sociale: quasi tutti i giovani stanno cercando di lasciare il paese. È una fuga non solo di cervelli, ma di forza lavoro giovane, di uomini adulti e anche vecchi. Di base, qualsiasi persona abbia una famiglia da sostenere, deve emigrare».
Il 90% dei bambini moldavi vive con i nonni. Madri e padri vengono a trovarli una volta l’anno, se va bene.
La Moldavia oggi
La Moldavia ha poco meno di 3,5 milioni di abitanti. Un quarto di questi vive e lavora all’estero, soprattutto in Russia e in Italia, ma anche Romania, Israele e Stati Uniti.
Il denaro spedito a casa dai lavoratori moldavi all’estero, le rimesse, costituisce una parte importante dell’economia del paese. Per molti in patria, questa preziosa risorsa rappresenta l’unica possibilità di riuscire a tirare avanti (il 20% delle persone comunque vive sotto la soglia di povertà). In uno Stato che ha un Prodotto Interno Lordo di solo 6,7 miliardi di dollari, i cittadini moldavi ne trasferiscono dall’estero ogni anno qualcosa come uno e mezzo. Secondo una statistica della Banca Mondiale, aggiornata al 2016, si tratta del 21.6 % del PIL complessivo, la più alta in Europa (segue il Kosovo, ben staccato, al 14.6%): due terzi di questi flussi finanziari arrivano dalla Russia.
La Moldavia è un Paese che nella sua essenza presenta ancora caratteri rurali (la popolazione urbana è solo il 41%). Percorrendo in vecchi autobus malmessi la strada che da sud-est va verso la capitale Chisinau, il paesaggio è pianeggiante, leggermente ondulato da colline, con ettari ed ettari di “terre nere” coltivate a mais e grano, intervallate da campi di alberi da frutto e viti, i cui prodotti, talvolta di pregio, sono destinati prevalentemente all’esportazione.
Il 64% del PIL, tuttavia, è prodotto dal terziario, che impiega oltre la metà di chi lavora. Il resto è agricoltura (15%) e industria (21%), gran parte della quale legata alla produzione agricola e alle attività di trasformazione collegate. Quasi la metà delle esportazioni moldave (45%) è costituita da prodotti agricoli e agroalimentari.
Il settore industriale è caratterizzato da un basso livello d’infrastrutture e occupa solamente il 12% della popolazione. Una delle ragioni sta nel fatto che la quasi totalità dell’industria della Moldavia, in particolare legata alla produzione di energia elettrica, si trova in Transnistria, il territorio collocato fra il fiume Dnestr e il confine con l’Ucraina, considerato de jure parte della Repubblica di Moldavia, ma che invece, dal settembre 1990, de facto ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza come Repubblica Moldava di Pridnestrovie.
Questo lembo di terra fantasma, per il quale nel 1992 si è combattuta una guerra fra secessionisti e forze armate moldave e rumene che ha lasciato sul terreno oltre mille vittime fra i civili, è governato da un’amministrazione autonoma che risponde solo a Mosca. Ha sede a Tiraspol, la capitale, ma non è riconosciuta dalla comunità internazionale. Dopo l’occupazione della Crimea da parte della Russia, il 18 marzo 2014, la Transnistria ha chiesto l’adesione alla Federazione Russa: pochi giorni dopo, le truppe russe della 14° armata hanno iniziato nella regione manovre militari.
A Tiraspol si trova la maggiore azienda della regione, la Sheriff, che detiene il monopolio in molti settori chiave dell’economia (commercio, petrolio, edilizia, comunicazioni e sport). Alla compagnia appartengono anche la squadra di calcio, il FC Sheriff Tiraspol (il cui allenatore è al momento l’italiano Roberto Bordin) , e il suo avveniristico stadio da 200 milioni di dollari, costruito pochi anni fa. In seguito alla sua crescente potenza economica, la società, fondata nel 1993 da due ex-membri dei servizi segreti, ha sviluppato un’influenza sempre più crescente nella vita dei 500.000 abitanti di questa repubblica secessionista, nella cui bandiera campeggiano ancora falce e martello. Imponenti traffici illegali legati alla mafia russa e alla criminalità organizzata internazionale, contrabbando di petrolio, armi e droga contraddistinguono l’economia di questo territorio, dove, come riporta il Lessico del XXI Secolo della Treccani alla voce Transnìstria “secondo i servizi segreti dei paesi occidentali, vengono a rifornirsi di armi tutte le organizzazioni terroriste internazionali”.
Tuttavia, vi sono anche motivazioni etniche, linguistiche e geografiche che fanno sì che in Transnistria si parli e s’insegni russo nelle scuole e ci si senta molto lontani e diversi dalla Romania, l’altro vicino ingombrante della Moldavia a ovest. A sud, la striscia di terra distesa lungo il Mar Nero, fra le foci del Dnestr e del Danubio, non è della Moldavia, ma dell’Ucraina. La regione si chiama Budjak ed è conosciuta anche come Bessarabia del sud o Bessarabia storica.
Modelli sbagliati
Piaţa Marii Adunări Naţionale, la Piazza delle Grandi Adunate Nazionali, è la sede naturale delle proteste del popolo moldavo. È attraversata da filobus vecchi e malandati. Alzando lo sguardo, si nota la ragnatela di cavi neri che corrono dritti lungo Boulevard Ştefan cel Mare şi Sfînt, Santo Stefano il Grande, l’eroe eponimo del paese. Sul lato orientale della grande piazza, in asse con il campanile dell’ortodossa Cattedrale della Natività, si innalza l’Arco di Trionfo, in stile imperiale, voluto dallo Zar Nicola I per celebrare la vittoria russa sull’Impero ottomano del 1812.
Nella nebbiolina e nel freddo della sera, il monumentale Palazzo del Governo, un residuo architettonico di epoca sovietica, occupa tutto un lato della piazza; a poche decine di metri, gli edifici della Presidenza e del Parlamento. Le imponenti costruzioni sono la sede, non solo simbolica, della corruzione e del malgoverno che hanno gettato il paese in una grave crisi politica che persiste oramai da molti anni.
Cerco di farmi spiegare da Lilia e Vitalie quali sono i mali del sistema, di certo non estranei alle nostre società “democratiche”:
«Il governo, con il primo ministro Pavel Filip, è retto da una maggioranza di deputati che sono entrati in Parlamento dopo le elezioni del 2014. Il Partito Democratico (Partidul Democrat din Moldova, PDM) è nominalmente il partito a capo del governo ma in realtà, quanto a voti, è il terzo partito. Alla guida del Paese c’è formalmente un’alleanza di deputati che vengono da tre o quattro fazioni politiche diverse (soprattutto PDM; Partidul Liberal Democrat din Moldova, PLDM e Partidul Liberal, PL) e si fanno chiamare qualche volta “Piattaforma socialdemocratica” o anche “Alleanza per l’Integrazione Europea”, per quanto, in verità, si tratta solo di una collezione di uomini e donne che votano l’agenda politica che ricevono dall’unico oligarca presente in Moldavia».
L’uomo di cui mi parlano è Vladimir Plahotniuc, detto Vlad, poco più che cinquantenne, ed è il vero burattinaio della politica moldava. Possiede un impero mediatico che arriva al 75% delle quote del mercato dell’informazione locale, con cui influenza pesantemente il clima elettorale. Ha portato avanti nel tempo investimenti enormi nel settore immobiliare, bancario e della distribuzione del petrolio.
Vladimir Plahotniuc non fa parte dei “vecchi oligarchi”, coloro che durante gli anni Novanta, nel vuoto di democrazia e nel drammatico passaggio all’economia di mercato, si trovavano in posizioni di potere e in possesso d’informazioni riservate e che in pochi anni sono stati in grado di accumulare, spesso in maniere fraudolente, ingenti fortune, appropriandosi di beni e aziende pubbliche, grazie alle privatizzazioni. Plahotniuc ha iniziato a costruire il suo impero in concomitanza con l’ascesa al potere del Partito Comunista della Repubblica di Moldavia (PCRM), cioè dall’inizio degli anni 2000. Ci è riuscito, in particolare, grazie alle relazioni affaristiche intrattenute con Oleg Voronin, figlio di Vladimir Voronin, presidente della Moldavia dal 2001 al 2009 e primo capo di Stato comunista in Europa democraticamente eletto dopo la fine del blocco sovietico.
In paesi autocratici come la Russia o la Bielorussia, gli oligarchi agiscono sotto il controllo dei capi politici, cioè di Putin e Lukashenko, ma in Moldavia Plahotniuc è l’unico oligarca sulla scena e si muove senza alcun ostacolo. Si è accaparrato, letteralmente, pezzi di Stato e di società. Ha un suo partito, il Partito Democratico (legato al Partito Socialista Europeo) e controlla governo e maggioranza parlamentare, oltre a uomini in posizioni chiave del sistema giudiziario e in quello delle forze dell’ordine.
Circolano alcune voci in Moldavia secondo le quali Plahotniuc è in possesso di video a luci rosse che metterebbero sotto ricatto molti politici del Paese. Così si spiegherebbero, in parte, i clamorosi e frequenti cambi di casacca all’interno del Parlamento.
Di Vlad si sa poi che ha un figlio che studia in Svizzera e che ha ricevuto dal padre come regalo di diciottesimo compleanno un’auto da 100.000 euro. Ma vi sono anche altre notizie, meno amene, che lo riguardano. Lo scorso novembre, l’Economist ha riportato che sette persone sono state accusate di cospirare per ucciderlo e che il capo di questa congiura sarebbe un criminale, noto come “il Bulgaro”, che risiede regolarmente in Russia.
Il New York Times ha definito Vlad Plahotniuc, nel 2016, “l’uomo più temuto della Moldavia”.
Un’altra cosa che si sa di Plahotniuc è che per lui, come per molti altri miliardari saliti ai piani alti del potere, il modello da imitare, per carisma e longevità politica, è Silvio Berlusconi.
Un paese diviso
La Moldavia ha tre anime: chi si sente rumeno, chi si sente moldavo e chi si sente russo. Anche la situazione linguistica riflette queste espressioni identitarie, perché quasi tutti capiscono e possono parlare rumeno e russo, mentre la lingua ufficiale, il moldavo, è come il rumeno, ma con qualche variante.
C’è da aggiungere che la lingua moldava ufficiale – il 56,7% delle persone dichiara il moldavo come lingua madre – non è la versione scritta dell’idioma parlato, bensì ha la stessa forma del rumeno, che è lingua ufficiale della Romania. C’è anche chi parla ucraino, bulgaro e la lingua gagauza, un idioma turco parlato in Gagauzia, una regione autonoma dal 1995 (ma non indipendente), situata nel sud della Moldavia. La Turchia è il principale sponsor economico e politico di questo territorio che conta 150.000 abitanti e ha come capoluogo la città di Comrat (nelle università turche molti posti sono riservati agli studenti gagauzi e numerosi sono i matrimoni fra donne gagauze e cittadini turchi).
La questione linguistica s’intreccia in profondità con l’altro tema fondamentale dell’identità nazionale. La Repubblica di Moldavia è diventata indipendente il 27 agosto 1991, quindi il processo di costruzione della nazione è ancora giovane e immaturo.
Per Vitalie sono due pseudo problemi. Ci tiene a dirmi che è solo una sua opinione personale, ma non faccio fatica a credergli:
«Molte persone in Moldavia credono davvero che il problema maggiore sia quello dell’identità nazionale», inizia. «Qui c’è un dieci per cento di persone che credono che la Romania sia il paradiso. Insieme a coloro che simpatizzano, si arriva a un trenta per cento di moldavi che non vedrebbero male una futura unione con la Romania».
Camminando per le strade centrali di Chisinau, si ha spesso l’occasione di vedere manifesti del Partidul Liberal, uno dei partiti della coalizione di governo, che ha nella sua agenda politica l’unificazione di Romania e Bessarabia (più o meno l’attuale Moldavia), com’è stato dal 1918 al 1940.
Il giovane sociologo, che parla e scrive cinque lingue, mi spiega molto chiaramente cosa non funziona in questo progetto:
«La Romania non ha qui una strategia molto intelligente. Invece di accattivarsi il consenso e le simpatie delle minoranze nazionali in un paese multinazionale come la Moldavia, hanno esportato una sorta di patriottismo rumeno nazionalistico e xenofobo. In questo modo si sono alienati quelli che parlano russo, e che potevano anche essere “simpatetici” con l’idea di una Romania più vicina, perché questo significa essere più vicino all’Unione Europea. Anche i politici che la Romania manda in Moldavia, come l’ambasciatore, per esempio, sono di scarsa qualità a confronto con quello che fa la Russia per espandere la sua influenza nel Paese».
Mosca ha sovvenzionato l’apertura a Chisinau di molte stazioni radio e i libri russi costano tre o quattro volte meno di quelli in rumeno.
Tirando un filo dell’intricata matassa moldava, vengo a sapere che durante l’era sovietica, con l’intento di competere con il nazionalismo rumeno, alcuni scrittori e intellettuali moldavi sovietici iniziarono a costruire l’idea che c’è una nazione moldava distinta da una nazione rumena. Non solo diversa, ma con differenti radici. La Romania ha radici latine, la Moldavia non è slava, ma è molto vicina alla Russia. I temi dell’identità nazionale sono entrati poi nel dibattito politico e sono stati sfruttati ad hoc, creando fratture e polarizzazioni che riemergono in molti ambiti della società moldava.
«Io non credo nella geopolitica», continua Vitalie Spriceana, «La divisione est-ovest non ha senso per me in Moldavia. Penso che sia una divisione artificiale e falsa, usata dalla politica per governare il paese e mobilitare le passioni degli elettori, con slogan tipo “la Russia ci attaccherà”, “siamo i difensori dell’Europa”. Il paese sta chiedendo un modello di sviluppo economico sostenibile, chiede giustizia sociale e la politica invece propone queste divisioni geopolitiche. Una è quella sull’identità. Chi siamo? Moldavi o rumeni? L’altro tema è quello della lingua. Che lingua parliamo, rumeno o moldavo?»
Nel 1994 è stata promulgata la nuova Costituzione indipendente e vi è stato scritto che la lingua del Paese è il moldavo. La cosa, però, sottolinea Vitalie, fa poco senso, perché la forma letteraria del moldavo è il rumeno.
«I problemi dell’identità e della lingua sono pericolosi, perché sono usati dalla politica per dividere la gente e legittimare un certo tipo di pratiche di governo. Se guardi l’agenda politica di questo Paese, invece di discutere d’economia, di politica sociale, di diritti, si discute d’identità, di lingua, di geopolitica. Nessuno qui ti dirà che il maggiore problema è la lingua o la Russia e l’Occidente. Sono quindi tutte questioni che sono fatte apparire come controverse, ma che non sono per niente controverse».
E poi finisce: «L’aspetto tragico di questa faccenda è che viene usata sia dall’opposizione sia dalla coalizione di governo. Entrambe le parti non hanno un programma economico, una visione in termini di giustizia sociale; stanno comodamente proponendo questo giochino dell’identità, della lingua e della geopolitica».
Europa o Russia?
All’indomani dell’Accordo di Associazione fra la Moldavia e l’Unione Europea, firmato nel 2014 ed entrato in vigore il 1° luglio 2016, la Russia ha imposto un embargo sui prodotti moldavi che non ha mancato di rovinare intere famiglie di poveri contadini e coltivatori. L’accordo costituisce la “fase di prova” prima dell’ingresso della Moldavia nell’UE.
Al di là dell’embargo, Vitalie Sprinceana pensa davvero che la Russia abbia tutti gli strumenti per “far male” alla Moldavia, ma che per ora le convenga lasciare le cose come sono:
«Un terzo dell’emigrazione moldava è in Russia, l’export è consistente e poi la questione Transnistria, con la presenza sul terreno della 14° armata dell’esercito russo. Possono veramente fare brutte cose, ma non le fanno. Mi chiedo perché.» Gli ricordo dell’embargo russo sui prodotti moldavi. «Ok, hanno messo l’embargo su frutta e vino, figurati! Putin qui può fare quello che vuole. Sta giocando come il gatto con il topo. I politici da noi non capiscono che la Russia sta portando avanti una partita su più tavoli, e quello moldavo è molto piccolo. Finora poi, insignificante per Putin. Per la Russia era importante la Crimea e l’hanno presa. Ora si stanno muovendo in Siria, Iran, Cina».
Si mette letteralmente a ridere Vitalie quando mi racconta che sia Plahotniuc e la sua banda filoeuropea, sia Dodon, il filorusso Presidente della Repubblica, si recano regolarmente a Bruxelles e a Mosca a dire quanto è importante la Moldavia, che è la chiave di accesso dell’est all’ovest e viceversa.
«Quello che secondo me sia la Russia sia l’Occidente vogliono qui è una certa stabilità. In questo gli interessi coincidono. La Russia è in Transnistria, ma dietro c’è tutta la questione ucraina. L’Europa non vuole ai suoi confini una regione di tre milioni e mezzo di persone destabilizzata o addirittura in guerra. Cercano di mantenerla tranquilla e per l’Unione Europea questo finora non ha avuto un costo eccessivo, circa un miliardo di euro nel periodo 2010-2015. In sostanza l’Europa vuole mantenere la Moldavia nella sua orbita e sta versando un sacco di soldi sul paese perché rimanga stabile. Anche di rifugiati, qui, non ne mandano neanche uno».
Dalle statistiche ufficiali si viene a sapere che la Moldavia è il Paese che riceve dall’Unione Europea la più alta cifra di aiuti economici procapite fra tutti i paesi dell’UE.
Le relazioni fra UE e Moldavia sono state fissate nel 2014 dalla firma dell’Accordo di Associazione che comprende anche una“Zona di libero scambio globale e approfondita”. L’accordo, insieme alla liberalizzazione del regime dei visti dei passaporti, consente sostanzialmente ai prodotti e alle merci moldave l’accesso a un mercato di 530 milioni di persone (due terzi dell’esportazione moldava nel 2016 sono andati verso Paesi UE), oltre a creare ottime condizioni per gli investimenti delle grandi corporation europee. In questo periodo operano sul territorio moldavo sette ZEL (Zone Economiche Libere) con tutti i vantaggi fiscali che ne derivano.
Va da sé che dietro tutto ciò vi siano le politiche economiche capitalistiche della Troika (cioè Commissione Europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale), per le quali i cittadini e i lavoratori sono soltanto “attori” economici di un mercato e non più soggetti di diritti sacrosanti.
«Si sta procedendo alla connessione del Paese con il libero mercato. La Moldavia è collocata, per così dire, all’estremo più basso della catena capitalistica. Non sta diventando un centro di sviluppo tecnologico, ma è integrato nell’economia globale di mercato come fornitore di forza lavoro a basso costo, specie nell’industria tessile. Molte aziende arrivano in Moldavia con i loro modelli e li fanno assemblare dai nostri lavoratori», spiega Vitalie.
Da questo punto di vista non c’è differenza fra Russia e Europa: «Entrambi sono capitalisti, entrambi si stanno muovendo verso il modello economico neoliberista, dove i servizi sono privatizzati e i diritti dei lavoratori sono indeboliti sempre di più a vantaggio del grande capitale, sia straniero sia locale, e a scapito della piccola impresa».
Futuro incerto
La Moldavia rimane comunque un Paese interessante e pieno di contraddizioni. È multinazionale e multilinguistico, è l’unico ad avere un sistema economico preferenziale con l’Unione Europea e al contempo un sistema di libero scambio con l’area ex-sovietica (fa parte della CSI, la Comunità degli Stati Indipendenti nell’orbita di Mosca e il Presidente della Repubblica Igor Dodon ha dichiarato di voler entrare nell’Unione Economica Euroasiatica, una scelta non compatibile con quella europea).
Dice Vitalie: «In Moldavia viviamo una situazione al contempo paradossale e ipocrita. Vlad Plahotniuc è il vicepresidente dell’Internazionale Socialista, quindi ne dovrebbe rappresentare i princìpi socialdemocratici; tuttavia porta avanti un’agenda neoliberale e capitalista e vende ai giornali e ai media stranieri, all’estero, la storia che lui e la Moldavia sono i difensori dell’Occidente contro l’influenza russa. Nello stesso tempo possiede Prime, una televisione generalista, molto popolare in Moldavia, che è uno dei più diffusi canali televisivi in Russia e trasmette solo ciò che decide il Cremlino».
L’alleanza filoeuropea, formata da Liberali, Democratici e Liberaldemocratici, è alla guida del paese dal 2009, dopo otto anni di governo (dal 2001 fino al 2009) portato avanti con la maggioranza assoluta del Partito comunista (PCRM), che rappresenta il partito comunista più influente nell’area dell’ex blocco orientale.
Quello formato da Plahotniuc nel 2016, con a capo Pavel Filip, è in realtà il terzo governo di coalizione, dopo che i primi due erano stati sciolti in seguito alla crisi finanziaria e politica che si è abbattuta nel paese alla fine 2014. In quel periodo, dai depositi delle tre principali banche moldave è sparito, tutto insieme 1 miliardo di euro, che corrisponde al 15% del PIL del Paese. Come ciò sia stato possibile fa pensare fino a che punto sia guasto il sistema. Fra gli accusati di essere responsabili di quello che la stampa moldava ha definito il “furto del secolo”, vi è Vlad Filat, ex primo ministro dal 2009 al 2013 e Presidente del Partito Liberale Democratico di Moldavia (PLDM), partito conservatore affiliato al Partito Popolare Europeo, uno dei leader dell’alleanza filoeuropea, adesso in carcere. Vlad Filat era l’unico altro oligarca sulla scena politica nazionale moldava e molti pensano che sia stato proprio il suo rivale Plahtoniuc a mandarlo in prigione.
Natalia Kravciuk, un’energica e simpatica signora a capo dell’organizzazione non governativa “National Center Gutta Club”, che si occupa da oltre venti anni, fra le altre cose, di sviluppo ambientale sostenibile in Moldavia, racconta: «È stato uno shock per tutti. L’Unione Europea, che fino a quel momento finanziava anche i nostri progetti e quelli di altre Ong, all’improvviso ha smesso di erogare i fondi stanziati a favore della Moldavia per il processo d’integrazione europea. Di quel miliardo che è scomparso, facevano parte anche i fondi europei e fintanto che quel denaro non ricomparirà nell’amministrazione, l’UE non metterà a disposizione alcun euro in più. La risorsa principale delle nostre attività sono i finanziamenti esteri e senza quelli non possiamo fare il nostro lavoro seriamente, non possiamo neanche stampare materiale».
«E questo denaro è ricomparso?», domando a Natalia, ingenuamente.
«L’unico che ha pagato è Mister Filat», mi spiega Natalia, «ma è chiaro che lui non è l’unico responsabile. Chi ci rimette sono le Ong e i cittadini perché il governo ha cercato di trovare quei soldi tagliando la spesa sociale, soprattutto per studenti e pensionati. I prezzi sono aumentati e poi il Parlamento ha varato una legge secondo la quale ogni cittadino moldavo, annualmente, deve pagare una tassa destinata a risarcire questo miliardo di euro».
Con Natalia e i suoi giovani studenti mi ritrovo in un ufficio di una palazzina dell’Università pedagogica di Chisenau. La stanza è piccola, caotica e gioiosa e il tavolo intorno a cui sediamo in una decina, belli stretti, è imbandito di dolci e bibite analcoliche.
A Natalia non mancano certamente energia e passione per trasmettere voglia di vivere ai suoi ragazzi: «Gutta vuol dire goccia in latino. Come goccia dopo goccia si può levigare una pietra, anche noi vogliamo essere come le gocce e piano piano aprire speranze per i nostri giovani ragazzi». Natalia Krovakic svolge una funzione preziosa per il suo paese. Oltre che con i ragazzi, Gutta Club lavora anche nelle campagne moldave per insegnare alla gente l’uso delle energie rinnovabili e l’efficienza energetica. Il carattere aperto ed espansivo di questa signora è davvero contagioso e per questi timidi ragazzi è una fortuna averla come guida. «Io la penso così: è giusto rimanere in Moldavia, aiutare a sviluppare il paese, etc. Ma… dico sempre agli studenti. Abbiamo una vita e dobbiamo riuscire a realizzare appieno la nostra personalità, i nostri talenti, per il genere umano, diciamo, per il mondo. È la massima aspirazione di una persona, quella di essere realizzata al massimo. Se non lo possono fare qui, che lo facciano da un’altra parte».
Tuttavia, è proprio una donna pragmatica e positiva come Natalia Kravciuk a esprimere bene il sentimento di sfiducia e sconforto dei cittadini moldavi verso la propria classe politica, incapace di sconfiggere la corruzione e i favoritismi: «L’Europa ha investito diversi milioni di euro nelle riforme della giustizia in Moldavia ma il settore della giustizia qui da noi è un buco nero. Noi stiamo provando a cambiare qualcosa ma è veramente difficile. Ci sono stati scioperi, manifestazioni, ma alla fine non succede niente. A un governo corrotto subentra un altro governo corrotto».
La sfiducia dei moldavi verso questa classe politica e il fallimento dei partiti europeisti sono fotografati dagli ultimi sondaggi effettuati in vista delle prossime elezioni politiche che si svolgeranno nel novembre 2018. Se, solo alcuni anni fa, oltre il 70% della popolazione sosteneva di essere per l’Europa, nel giro di poco tempo i favorevoli sono diventati una minoranza. Solo il 4% di loro si fida ancora di Plahotniuc e del suo Partito Democratico. Anche l’Unione Europea si è stufata dell’oligarca moldavo e non è disposta più a sostenerlo. Nell’ottobre 2017 la Commissione Europea ha sospeso il pagamento di un pacchetto di 28 milioni di euro di aiuti economici alla Moldavia dopo che Bruxelles aveva chiesto più volte e invano l’attuazione di riforme urgenti nel corrotto sistema giudiziario.
La progressiva erosione della credibilità dei partiti di governo ha aperto la strada all’ascesa dei partiti filorussi, come il Partito Socialista del Presidente della Repubblica Igor Dodon, che nelle ultime presidenziali di fine 2016 ha vinto al ballottaggio contro la rivale Maia Sandu, ex economista della Banca Mondiale e leader filo-occidentale (ma contro il governo) di “Alleanza per dignità e solidarietà”. Secondo Vitalie, «Il Presidente è socialista, ma solo di nome».
Negli ultimi anni il consenso di Dodon è cresciuto molto, la gente si fida di lui e i sondaggi danno il suo partito al 36%. Il Presidente della Moldavia considera Putin un modello. La sua prima mossa, dopo essere stato eletto, è stata quella di andare al Cremlino ad annunciare di voler revocare l’accordo economico con l’Unione Europea ed entrare nell’Unione Economica Euroasiatica, di cui fanno parte Bielorussia, Russia, Kazakistan e anche Armenia e Kirghizistan.
L’ultimo messaggio per il suo amico Putin invece è di poche settimane fa, quando, tramite Facebook, Dodon ha chiesto alla russa Gazprom uno sconto del 10-15% per le forniture di gas.
Fra le tante immagini della Moldavia che si sono impresse nella mente, due si affacciano in particolare in questo finale: la prima è l’espressione sorniona, fredda, cinica, di Putin, che aspetta tranquillo che nel 2018 Dodon e i filorussi gli consegnino il Paese.
La seconda è quella di una donna ferma su un marciapiede presso un incrocio, all’interno del reticolo regolare di strade che corrono a fianco del Boluverardul Ştefan cel Mare şi Sfînt, il salotto buono di Chisinau. Dal volto che si scorge sotto il foulard che le copre la testa sembra giovane. Da com’è vestita, invece, pare più vecchia. Sta piegata in avanti, la metà del corpo dentro un bidone della spazzatura. A cercare qualcosa da mangiare.
Segui Alessandro Borscia su Yanez | Facebook
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin