Iniziamo con spiegare, anche se in pochissime e banali parole, cosa significa organizzare un festival musicale.
Al di là delle dimensioni – ovvero portata di pubblico – che il suddetto abbia, le difficoltà non sono poche: scegliere una linea artistica e mantenerla, contattare gli artisti e contrattare, fino a far tornare i conti. Scegliere la location o le location più adatte, la scelta delle grafiche e dei loghi della promozione, la ricerca di finanziamenti, la messa in sicurezza delle aree adibite al pubblico. Potremmo proseguire con un decalogo piuttosto ampio e, probabilmente, noioso, ma non lo faremo.
Quello che resta è che organizzare un festival musicale è sapere scegliere. Ci sono molti fattori che non puoi decidere, che forse puoi veicolare, ma che non saranno mai dati certi. Anzi, lo diventeranno poi al termine del festival. Alla resa dei conti.
La scelta.
Il MaerzMusik Festival di Berlino le sue scelte le ha fatte bene perché, seppur rischiose a livello di appeal verso il grande pubblico, è un evento che ha sempre portato a casa i suoi numeri. Si parla di 2002-2017, quindici anni. Sempre a braccetto con quella realtà incredibile che è il Berliner Festpiele. Dateci un occhio.
Le scelte rischiose si riferiscono alla proposta artistica, la quale si riferisce ad angolature lontane dal main, ma che riesce ad incastrare – seppur non sempre – con grande qualità. Fino a renderlo curioso anche ad un pubblico meno di nicchia. Ne è l’esempio l’evento più importante del MaerzMusik Festival: The Long Now, di cui parleremo più avanti.
Quindi, nella stratificazione delle cose di difficile fruizione e le cose di difficilissima fruizione, il MaerzMusik, è riuscito, ancora una volta, a prendersi la sua fetta, giocando con la parola minimalismo e regolando i conti rispetto a ciò che realmente si può fare in un festival dove la parte culturale è completamente in primo piano.
E noi ci siamo andati.
L’evento più atteso, lo abbiamo detto poco fa, era The Long Now nella fantastica cornice del Kraftwerk, ma già dalla settimana prima si registrava il sold out alla preapertura, grazie a Catherine Christer Hennix, classe 1948, mezza svedese mezza americana, compositrice, poetessa, artista sonora e visiva, filosofa, matematica.
Accompagnata dal musicista e performer Stefan Tiedje, la signorina prodigio ha presentato “The Electric Harpsichord”, una composizione per tastiere e live electronics. Sicuramente non una cosa semplicissima.
La performance si è consumata nella splendida cornice del Silent Green Kulturquartier ed è stata parte dell’inaugurazione del progetto “Kalam-i-Nur”, una sei giorni dedicata alle composizioni e alle opere della Hennix.
Tutto esaurito.
Si sussegue una serie di eventi simili, lungo tutta la settimana: dal tributo a Julius Eastman, pianista, compositore afroamericano, ballerino scomparso nel 1990, tra i padrini del postminimalismo. Il MaerzMusik Festival gli dedica, per il 2017, una tre giorni alla Savvy Contemporary, il quale diventa uno spazio di documentazione delle opere dell’artista dal 1940 al 1990. Importante anche la rielaborazione dei suoi tre lavori per quartettoi, in una live performance intensa, eseguita alla perfezione dai compositori Hassan Khan e Jayce Clayton, insieme ai PHØNIX16.
Andiamo a vedere Memory Space, al Radyalsystem, diviso in tre parti e dedicate a Claude Vivier, compositore canadese ucciso a Parigi all’età di 34 anni da un escort boy. Alvin Lucier, compositore americano, pioniere della musica elettronica sperimentale, membro del prestigioso Sonic Arts Union. Giacinto Scelsi, genovese e tra i pionieri della musica microtonale. Ana Maria Rodriguez, poetessa di impro, Jeremy Woodruff, co-fondatore della Neue Musikschule Berlin e lo srilankese Ramesh Vinayakam. Ad eseguire l’Ensemble KNM Berlin.
Anche in questo caso il teatro fa il sold out.
Prima parte, Claude Vivier – Learning:
Palco buio, cigolio di porta, entra qualcuno, si sentono passi dirigersi verso il centro del palco. Suona un gong. Si accendono luci rosse. C’è un uomo inginocchiato al centro. Suona dei legnetti. Cominciano i violini, entrano camminando scalzi. Sono quattro, girano in tondo sul palco. Si siedono ai lati del Direttore il quale dà il via ad ogni nuovo brano battendo i legnetti.
I violinisti girano i fogli dello spartito in sincronia. La musica somiglia dapprima ad una specie di ronzio primaverile, poi i brani diventano più sperimentali. Alcuni sono eseguiti in tonalità altissime e stridule sembra di bere del succo di limone o di sentire le unghie sulla lavagna. Poi inizia una divertente conversazione tra violini. Due donne da un lato che suonano frenetiche. Un uomo dall’altro che suona leggero, pianissimo, come se avesse paura. Applausi.
Seconda parte, Alvin Lucier – Love Song:
Due violini collegati da un Piano Wire.
Inizio straziante, come fosse il fischio della Formula 1, ma costante. Viene da pensare, in un’accezione meno sperimentale e più popolare, che questi compositori sembrano sadici, scelgono determinate tonalità stridenti al fine di far socchiudere gli occhi e tirare le labbra in quell’espressione di fastidio che viene nelle giornate eccessivamente ventose. È una composizione molto difficile da sopportare. Peggio del trapano odontoiatrico. Quando terminano, i musicisti indicano il pubblico, non si capisce se per ringraziare il compositore seduto in platea o se per ringraziare la platea che ha sopportato in silenzio.
Alvin Lucier- Memory Space (berlin- chennai)
Un po’ angosciante, sembra che tutti gli strumenti stiano provando un brevissimo pezzo di intro uno indipendentemente dall’altro, senza sosta. Sempre lo stesso. La sensazione è che il brano non inizi mai. In qualche modo è affascinante, ma alla lunga snerva.
Assolo di viola. Appassionato, cacofonico a tratti, ricorda la sirena di una nave che salpa, ma non fastidioso. la seconda parte è più faticosa.
Virtuosismi al bassklarinett, tecniche strane di respirazione, accompagnati da suoni elettronici. Virtuosismi al kontrabassklarinett che ha un suono che è enorme, accompagnati da suoni elettronici (citysounds), flauto di bambù, percussioni e percussioni mridargam. Esibizione più piacevole della serata.
Durante la conversazione con Ramesh Vinayakam viene chiarito il perché, l’orecchio occidentale trovi più difficile l’ascolto di questo tipo di musica. Nella tradizione occidentale ci sono sette notte e perché esse risultino intonate si deve passare dal centro della tonalità di una al centro della tonalità dell’altra. In gamaka, la musica classica indiana- musica tradizionale indiana- tra una nota e l’altra vengono suonate micro tonalità. Si esita e si oscilla da una nota all’altra.
Nella terza parte l’Ensemble KNM Berlin suona musica classica indiana. Ipnotica.
E così si arriva all’evento più atteso. Talmente tanto hype da non essere nemmeno considerato, per alcuni, nel programma del MaerzMusik Festival 2017: The Long Now.
Iniziamo dalla location.
Il Kraftwerk Berlin è considerato ormai da molti anni, uno dei migliori luoghi di attrazione artistica della città di Berlino. Precisamente da quando, nel 2013, ha ridato spazio al festival di musica elettronica Berlin Atonal. Il Kraftwerk è la fabbrica, letteralmente, nella quale sorge il Tresor Club, tra i più storici locali della nightlife berlinese, fin dalla caduta del Muro.
Una location industriale che ha accolto quello che si può definire l’evento finale del MaerzMusik Festival.
Una due giorni, sabato e domenica, di nomi veramente importanti in cartellone. Basti pensare ad artisti come Brian Eno, William Basinski, Tim Hecker, e il nostro Andrea Belfi, fiore all’occhiello della musica sperimentale italiana.
Certo è che non tutti i nomi erano presenti, alcune erano soltanto installazione e per qualcuno, il prezzo del biglietto, non ha reso giustizia a quello che realmente è stato proposto. Brian Eno non era presente, così come Basinski e Robert Fripp.
Tra i presenti invece Aleksi Perälä con un live intensissimo, Tim Hecker che chiude (quasi) la domenica con soundscapes che sembrano valanghe. Oppure l’overnight concert di cinque ore di Leyland Kirby, pubblico sdraiato e munito di coperte. Intensissimo e… narcolettico.
Ora torniamo a ciò che abbiamo detto all’inizio di questo report, e cioè alla capacità di fare le scelte giuste. Non è così scontato, soprattutto se si ha tra le mani un genere che è materia di studi, un pubblico esigente, degli artisti rinomati. Se sbagli qualcosa rischi di far cadere tutto il castello.
Dal 2002, il MaerzMusik Festival non ha ancora fatto un passo falso.
Immagine di copertina: © Camille Blake / MaerzMusik Festival 2017
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