[di Edoardo Bluma]
“I want to get out of here”, ripete ossessivamente in uno dei pezzi centrali dell’album e, probabilmente, c’è riuscito. Non si spiegherebbe altrimenti come sia finito sotto quel bus che ha messo fine a una delle più controverse figure del panorama musicale del ‘900. Un uomo con una storia fuori dall’ordinario, alla quale vi rimando attraverso l’unica sua biografia.
Ci sono voluti quarant’anni da quel tragico giorno, prima che The Asylum Tapes vedesse la luce. Come per il precedente lavoro The Legendary Marvin Pontiac – Greatest Hits, si sa giusto quel poco che il sito ufficiale riporta: “Marvin Pontiac was anonymously sent a 4 track tape recorder during the years he was held at Esmerelda State Mental Institution. This is what he did with it.”
Non si sa chi dobbiamo ringraziare per quell’inaspettato dono, l’unica cosa certa è che Pontiac con quell’aggeggio ha realizzato ventiquattro brevi perle pregne di genialità e di follia. Ventiquattro brani dove armonica, banjo, chitarra, campanacci e altri strumenti improvvisati si alternano per supportare la voce calda che già avevamo apprezzato nella sua prima raccolta.
Si è perso molto di quell’anima africana ereditata dal padre – originario del Mali – che caratterizzava il Greatest Hits. Nel suo ultimo lavoro sono chiare invece le radici americane del blues (Pontiac nacque a New York nel 1932), quello bello di Junior Kimbrough e Robert Johnson, e quando la voce si fa più roca non può che venire in mente il Tom Waits di Rain Dogs.
E poi c’è tantissimo di quell’altro, di cui adesso non mi viene il nome. Quello che in una scena di Down by Law cantava assieme allo stesso Waits e a Benigni “Ice scream, you scream, we all scream for ice cream”, anche loro rinchiusi in una prigione ma senza l’attenuante della pazzia, e anche loro a ripetere, tipo mantra, angosciose melodie di speranza. Perché per lo più The Asylum Tapes è questo: voce incisa sopra alla sua stessa voce che ripetendosi fa da base per cantilene che ci ricordano – citando lo stesso Pontiac – quanto sia incredibile la bellezza e l’orrore di questa vita.
C’è il dialogo surreale con un orso, c’è Babbo Natale che si presenta in casa ad Aprile e senza pantaloni, c’è Godzilla, ci sono importanti dubbi esistenziali quali “I don’t have a cow. Why would I need a cow?”, ci sono gli uomini rana, e in qualche modo c’è Lurie.
Sì, ecco, è così che si chiamava quell’altro: John Lurie.
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