[di Manuel Lieta]
La “difficoltà”, in musica, non ha connotazione oggettiva. Possono essere difficili le strutture armoniche, i suoni, l’uso della voce, i testi e tante altre variabili ancora.
Nel caso di Mark Kozelek, songwriter americano già nella storia della musica meno mainstream con i Red House Painters, la difficoltà non è mai stata costituita da sonorità particolarmente ostiche. Al contrario, la sua cifra è sempre stata quella di una tendenza alla dilatazione delle parti, uno stretching strutturale che porta strofa, ritornello e ponte a sfumare in qualcosa di non immediatamente identificabile, tenuto insieme da pochi, pochissimi strumenti che suonano poche, pochissime note. A corredo, un cantato pigro e indolente, appiccicato, ma sempre diverso sia da una linea melodica che da uno spoken word.
Il disco appena uscito, in cui Kozelek collabora con il pianista Ben Baye e il batterista Jim White (dei Dirty Three, ma già al fianco di Cat Power e Bonnie Prince Billy) di tutto questo è contemporaneamente quintessenza e estremizzazione: non si può dire nemmeno più che esista la canzone, piuttosto una narrazione musicale free-form affine a certo jazz, o al Van Morrison di Astral Weeks. Il tocco impressionista di White non è l’accompagnamento di un batterista, ma più spesso il perno del brano, con cambi di tempo che ispirano i cambi modali dei cluster pianistici. Un tappeto perfetto, che si (e ci) prende tutto il tempo necessario per la annoiata autofiction di Mark, viaggi verbali piani e semplici in episodi sommessi e minuzie importantissime: il gatto della sua ragazza scocciato per tutte le volte in cui sente la parola Trump durante il giorno, una bambina che vuol diventare una astronoma, “Hotel California” suonata in un bar di Trieste (“Topo Gigio”, la canzone-manifesto), il suicidio di Chris Cornell, tra mugugni rimuginati che ammiccano all’hip-hop in stile Kate Tempest e scuotimenti che indulgono all’onomatopea e destrutturano come l’ultimissimo Nick Cave.
Mark Kozelek è in tour con i Sun Kil Moon: passerà da Berlino, alla Festsaal Kreuzberg, il 12 novembre 2017. Non suonerà, verosimilmente, i brani di questo disco, ma se volete un assaggio della sua umbratile chansonnerie è l’occasione giusta.
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