La Germania è grigia e verde contemporaneamente. Sarà che il più delle volte l’ho vista sotto la pioggia, ma trovo che questi siano i colori predominanti. Quando scendo dal pullman davanti all’Hauptbahnhof di Lipsia ho proprio questo pensiero. Grigia. E verde. Non sta ancora piovendo, ma più tardi lo farà.
Prendo una strada leggermente in salita e mi ritrovo in uno spiazzo dove la chioma di una palma corona un’alta colonna bianca scanalata, eretta di fronte alla Nikolaikirche. La chiesa, romanica in origine ma con rifacimenti prima gotici e poi neoclassici, ha al suo interno delle panche bianche e una doppia schiera di colonne come quella esterna. Non riesco a capire se mi piaccia; credo che il verde pallido di quelle palme che si arrampicano sul soffitto un po’ mi infastidisca. Ma cerco di travalicare l’estetica e di concentrarmi sulla sua importanza storica; pare infatti che la chiesa di San Nicola abbia avuto un ruolo attivo nel contrastare il regime comunista grazie ai sermoni pronunciati durante i lunedì di preghiera: ben seicento sostenitori della DDR inviati per far cessare la messa si convertirono e decisero invece di aderire alle manifestazioni pacifiste promosse dalla chiesa stessa. De Oratore ciceroniano 2.0.
Di fronte alla chiesa si trova l’Alte Nikolaischule. Wagner e Leibniz si formarono qui, mentre oggi gli studenti si trovano solo a pochi metri di distanza, sulla Grimmaische Strasse, dove c’è uno degli ingressi della Universität Leipzig.
In una statua in bronzo sulla destra della piazza del campus il filosofo Leibniz sta in posa come un Luigi XIV. Molti ragazzi sono seduti su delle panche con stecche di legno chiaro dalla forma ondeggiante; ognuno ha il proprio modo di vestirsi: una ragazza porta dei pantaloncini molto corti, un ragazzo ha una gonnellina fatta di catene che indossa sopra dei pantaloni neri. Tintinna entrando per la porta dei disabili, quella sulla destra.
Mi sento leggermente un’intrusa; ho quella sensazione un po’ stupida di quando credi che tutti ti guardino come se stessero pensando che stai facendo qualcosa che non dovresti fare. Come se la semplice curiosità non fosse una motivazione sufficiente per passeggiare per i corridoi dell’università. O per fare pipì senza pagare.
Alla fine mi addentro fingendomi disinvolta, ma so già che se dovessero parlarmi in tedesco la mia copertura salterebbe. Trovo la biblioteca sulla sinistra, come potrei non entrare? Faccio un giro rapido: non mi sembra grandissima a occhio e croce. Uscendo però mi ritrovo su una sorta di ballatoio interno che affaccia su una sala enorme; dalla finestra vedo un bel po’ di capi chini sulle sudate carte. Magari qualche tempo fa, passando di lì, si potevano anche intravedere i ricci fitti di Armando, che ha vissuto qui a Lipsia per diversi mesi durante il suo Erasmus e mi ha raccontato dell’amore che prova per questa città. In lontananza sento una scia di note espandersi nella mia direzione, ed ho quasi la sensazione che potrei ritrovarlo lì fuori a suonare il suo sassofono.
E invece al suo posto c’è un carretto indiano piuttosto variopinto con sopra un ragazzo in occhiali da sole e giacca di jeans, rannicchiato, con l’amplificatore sotto l’ascella destra e la chitarra elettrica a mo’ di scudo protettivo. Suona un rock vecchia generazione, che apprezzo.
Lipsia è piena di artisti di strada, un punto decisamente a favore di questa città. Per ogni attrazione turistica mi è stata donata una colonna sonora diversa. Davanti alla Thomaskirche, a due passi dal Bach Museum, ad esempio, un violino riproduce un folk irlandese che mi fa venire voglia di lanciarmi in una scottish a quattro tempi, ma sfortunatamente mi manca un partner.
Questa chiesa mi piace più dell’altra. Lo stile di fondazione è sempre lo stesso, ma i colori sono un po’ meno tenui e c’è un organo enorme; chi lo suona forse non è neanche un quarto dell’altezza delle canne e la melodia ha qualcosa di piacevolmente inquietante.
A Marktplatz c’è un pianoforte nero a coda con le rotelle. Un uomo brizzolato lo sta suonando: le sue mani, guantate di stoffa bianca, scivolano sui tasti riproducendo Heal the world di Michael Jackson. È al limite della piazza, ma la sua musica rimbalza su ogni sanpietrino, intrufolandosi sotto al porticato del Vecchio Municipio color crema e infiltrandosi in una delle tante gallerie commerciali della città.
Seguendo questa scia, in questo incrocio di passaggi di catene di negozi, mi ritrovo nel Mädlerpassage dove Mefistofele promette al Faust goethiano una nuova vita. Un complesso statuario in bronzo li raffigura, il primo col braccio destro proteso verso l’alto, il secondo col piede sinistro che avanza. La punta è completamente consumata: pare che porti fortuna lisciarla, come la tetta di Giulietta a Verona. La guida del Touring Club dice che nell’Auerbachs Keller, una birreria risalente agli anni ’30 del Cinquecento che si raggiunge scendendo le scale, le pareti sono affrescate con le scene del poema ottocentesco perché Goethe ne era un assiduo frequentatore. Purtroppo però è pomeriggio inoltrato e il locale è chiuso.
Trovo invece aperto il Zeitgeschichtliches Forum, il museo della storia contemporanea tedesca. Forse è solo un’impressione personale, ma i musei di questo genere, di documentazione e conservazione, qui in Germania sono molti. Una sorta di memento per le nuove generazioni.
All’interno dello Zeitgeschichtliches c’è un riassunto visivo del passato storico alemanno: i prodotti d’uso di epoca nazista, gli effetti personali recuperati dai campi di concentramento, le immagini della caduta del Muro di Berlino tratte dai telegiornali dell’epoca, la sigla dell’eurovisione in diffusione, le scenette pubblicitarie della seconda metà del Novecento.
Prima di tornare alla stazione, girando un po’ a caso senza la mappa, mi ritrovo sul Martin Luther Ring. Mentre ridacchio per il gioco di parole – che mi diverte pensare non sia casuale – due blocchi architettonici di parallelepipedi perpendicolari mi si parano ingombranti in mezzo al campo visivo, stonando completamente col contesto. È la Trinitatiskirche, costruita nel 2009 dal duo di architetti Schulz & Schulz al posto della vecchia struttura distrutta durante la guerra. All’esterno una lunghissima finestra a nastro corre in orizzontale, incastrata tra bande rosee di porfido levigato. Una volta varcata la soglia mi sento sul set di uno spot pubblicitario di Ikea: l’odore è lo stesso, e il colore chiaro del legno anche. Mi siedo in un silenzio per nulla fastidioso e rifletto sul fatto che se non fossi atea, in fondo, non mi dispiacerebbe venire qui per comunicare con Dio. Ma forse è solo perché amo l’Ikea.
In Augustusplatz c’è il teatro dell’Opera, anch’esso distrutto durante la guerra e ricostruito negli anni ’50. La facciata è uno schema di finestre rettangolari ripetute con rigida regolarità. L’aspettativa di un quartetto d’archi che mi accolga affacciato dal balconcino di mezzo viene tristemente disattesa; le mie orecchie assorbono invece, con un po’ di sorpresa, l’ultima traccia del soundtrack della giornata: la sigla in tedesco di “Mila e Shiro” (utilizzata in Germania per il cartone “Mila superstar”). Tre campi di beach volley sono stati allestiti nella piazza intorno a un’ampia fontana circolare. Un bambino seduto sul bordo immerge i piedi nell’acqua fin sopra alle caviglie e un pallavolista ne approfitta per mandarlo a ricogliere una palla che è decisamente finita fuori campo con un sordo plof.
Girando la testa a sinistra incontro un edificio blu a specchi che si propone come integrazione di un’ex chiesa grigio tenue, sulla quale predomina senza seguirne più le linee originali. È il Neue Augusteum che, ancorato al Paulineum, costituisce una parte del complesso universitario che si affaccia sulla piazza, realizzata da Erick van Egeraat nei primi anni 2000. Ne rimango talmente incantata da poter affermare che questo edificio da solo valga la visita alla città.
Contro ogni previsione spunta un po’ di sole; eppure vorrei che piovesse leggermente, che la gente si rintanasse da qualche parte e che i tram smettessero di passare. Vorrei il silenzio, per restare da sola davanti a questa enorme struttura blu, che sembra quasi mi racconti di un futuro che ancora non so contemplare e che mi dà un po’ la piacevole sensazione di quando il cuore viene assorbito all’interno dei polmoni.
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Foto di copertina: ©Adina Bitterlich, 2014, Uni Riese & Universität Leipzig
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