Ore 13:03, si parte: finalmente siamo sul Flixbus che ci porta a Lubecca, con 15 minuti di ritardo.
Nonostante il panico causato dalla flemma con cui dalla redazione mi comunicano, la sera prima, di non ricordare se hanno o meno confermato il mio viaggio, arrivati all’hotel Lindenhof tutto passa. Veniamo accolti con molto calore; la stanza è sul lato interno, così non sentiamo la maggior parte dei rumori provenienti dalla strada. Non è grandissima, ma è comunque una delle più ampie dello stabile, come constatiamo dando un’occhiata al piano d’emergenza. Sul tavolo troviamo il plico informativo che l’Ufficio del Turismo di Lubecca ha preparato per noi, compreso di cuoricini al marzapane, ingresso a tutti i musei, la borsetta con lo stemma della città e un blocco profondo due centimetri pieno di informazioni, oltre al buono per mangiare nel miglior ristorante della città, con prenotazione per il giorno dopo, alle 20.
Poggiata la valigia non perdiamo tempo e ci dirigiamo verso il centro: sul litorale del canale c’è un concerto. Non so molto della città, ma ritrovo le casette colorate che avevo visto in foto. Il rosso predomina sulle mattonelle delle chiese, sulle vecchie mura della città e sull’Holstentor, una delle due porte storiche mai smantellate, l’unica rimasta sul lato sud della città, tutta affondata da un lato a causa della sua particolare conformazione: le pareti esterne sono più spesse di quelle interne, visto che dovevano difendere la città, e sono quindi più pesanti.
Al termine di una giornata che mi sembra lunghissima finiamo per cenare al Brauberger zu Lübeck, una birreria artigianale dove proviamo la Brauberger Maibock, una birra rossa buonissima, accompagnata da tipica cucina tedesca. Io prendo Rinderrouladen con Bohnen im Speckmantel e Salzkartoffel, in pratica due involtini di carne ripieni di cetriolo e cipolla, più fagiolini avvolti nello speck, con le patate bollite. Il ripieno dei miei involtini di carne è quasi inesistente, mentre sono buonissimi i fagiolini. Fabian invece, che mi accompagna in questa gita, dice che che le sue Bratkartoffel non sembrano vere patate arrosto, perché non sono cotte nel burro con lo speck e le cipolle e sono tagliate tutte uguali.
Il venerdì mattina, alle 10 in punto, ci presentiamo alla signora Mariella, la guida che ci porterà a passeggio per le successive tre ore. Cominciamo il nostro giro dalla Musikhochschule Lübeck (MHL), che, ci racconta Mariella, viene indicata dal dito alzato della vicina statua di Johannes Brahms, originario proprio di queste zone: si dice serva ad indicare la via agli studenti incerti. La scuola si trova in un palazzo di nuova costruzione, realizzato dentro le mura di una vecchia palestra in stile anni ’20, l’Holstentorhalle, per conservare la facciata dell’edificio storico.
La guida ci spiega come sono state costruite le fondamenta del centro della città, sorto su un’isoletta allargatasi nel tempo grazie al restringendo degli argini del fiume Trave: per riuscire a costruire su una base stabile delle travi in legno venivano incrociate, riempiendo gli spazi vuoti di sabbia e pietre, uno strato dopo l’altro. Su queste fondamenta venivano poi costruite le case con le mattonelle di tufo, tipiche della zona. Questo spiega il perché dei palazzi tutti storti: col tempo sono affondati su fondamenta non del tutto stabili. La nostra accompagnatrice ci racconta di come le facciate dei palazzi nel corso dei secoli siano cambiate, adattandosi ai diversi stili architettonici.
La tipica casa del mercante aveva un largo ingresso, utilizzato dai carri, che trasportavano la merce direttamente all’interno del cortile. Dal carro, attraverso una botola che fendeva tutti i piani fino al sottotetto, la mercanzia veniva trasportata ai piani alti tramite una carrucola.
Dietro le facciate strette e alte delle case ci sono sempre dei cortili bellissimi, accessibili dalla strada tramite dei lunghi e stretti passaggi.
Durante il periodo più florido della sua storia, la città pullulava di gente in arrivo da tutta la Germania alla ricerca di un lavoro, così vennero costruire delle piccole casette all’interno dei cortili, per ospitare i lavoratori che altrimenti non avrebbero avuto un tetto sulla testa. Attraverso dei passaggi molto stretti si entra così in piccoli giardinetti verdi, dei posti idilliaci, dove spesso gli abitanti hanno sistemato delle panche e in cui si trovano piccole abitazioni, quasi sempre da una sola stanza.
Mariella ci mostra anche tutto un quartiere in costruzione dove l’amministrazione comunale ha tirato giù dei palazzi degli anni sessanta per costruirci altri edifici, ritenuti più consoni allo stile della città, molto stretti quindi, ma a più piani. Non verranno vendute come case di lusso, ma cedute a delle cooperative di cittadini privati, a prezzi accessibili.
Andando in giro mi accorgo di quanta musica ci sia in questa città: le scuole, gli innumerevoli negozi di strumenti, i due organi nella Marienkirche. E poi vedo tanta gente che va in giro scalza. Non posso fare a meno anche di notare come questa bellissima città sia sopravvissuta alla seconda guerra mondiale, a differenza di Berlino. Lubecca, dopo il primo e ultimo bombardamento, nel 1942, venne dichiarata “città della Croce Rossa” e quindi risparmiata da ulteriori attacchi.
Dopo una breve sosta all’ospedale del Santo Spirito e nella chiesa di Santa Maria ci dirigiamo al Café Niederegger attraversando la piazza del mercato, dove una banda di paese attacca il suo concerto con “Mamma mia” degli Abba: siamo stati invitati dall’ufficio del turismo a provare una serie di eccezionali prelibatezze. Ci accolgono un negozio pieno di dolcetti al marzapane, il café al primo piano con al centro una teca contenente una trentina di dolci e una moltitudine di turisti. Siamo nella patria tedesca del marzapane: la torta è buonissima, ma il cappuccino lascia un po’ a desiderare.
Ho con me la mia vecchia macchina Canon ma, in un eccesso di fiducia, stanotte non ho messo a caricare la batteria, che si è ovviamente scaricata appena entrati in centro. Torniamo quindi in hotel per poterne quanto meno usufruire a cena, visto che siamo stati invitati a provare il milgior ristorante storico della città. Usciti dall’albergo ci dirigiamo all’Europäisches Hansemuseum, che ci racconta in modo interattivo la storia di Lubecca. Anche qui una delle mie innate doti naturali non mi abbandona: sono un po’ rimbambita. Entriamo col biglietto in mano e ci fiondiamo nel percorso guidato, rendendoci però conto poco dopo che ci sono delle stazioni interattive che vanno attivate con una carta speciale. L’ascensore automatico con il quale siamo arrivati non ha nessun bottone che possa riportarci indietro: non ci resta che percorrere tutto il museo velocemente, uscire e tornare al punto di partenza. Recuperate le carte col chip, ha inizio l’avventura. Cerchiamo di evitare le compagnie di vecchietti rumorosi e andiamo avanti ascoltando e leggendo tutte le spiegazioni, guardando gli strumenti, le navi, le rotte commerciali, gli scambi di materiali con le terre del nord e quant’altro caratterizzi la storia di Lubecca: dopo due ore e mezza sono sfinita e aspetto fuori che Fabian finisca il suo giro.
Per cena abbiamo un buono da 80€ da spendere allo Schiffergesellschaft, il luogo nel quale i capitani di mare si ritiravano dopo lunghi viaggi. Una volta il ristorante adiacente era aperto soltanto a loro, mentre oggi, per continuare a sostenersi economicamente, è pubblico. Dell’edificio originale non è rimasto molto, ma è comunque tutto abbastanza pittoresco, soprattutto il tentativo di riprodurre l’atmosfera dei bei tempi andati. Negli anni degli scambi mercantili i navigatori stavano seduti attorno a questi banchetti, divisi in gruppi secondo il loro porto di provenienza e la corporazione commerciale alla quale appartenevano. Di fronte all’entrata, sul muro posteriore dell’edificio, si trova ancora un ‘banchetto’ un poco rialzato, il così chiamato ‘confessionale’, da dove gli anziani potevano sorvegliare tutta la sala, dare ordini e rimproverare insolenze.
Il menù è “nascosto” dentro un giornale che possiamo portarci a casa: visto l’importo del buono, immaginiamo già quali saranno i prezzi dei cibi. Io prendo Munkmarscher Muschelsuppe e Wolfsbarsch: zuppa di cozze e branzino con insalata e patate arrosto. Fabian invece sceglie due sogliole e un’insalata di cetrioli. Tutto eccellente, accompagnato da un buonissimo Chardonnay tedesco. I camerieri, sapendo che siamo giornalisti, ci riveriscono. Chissà come trattano i clienti “normali”.
Ci risvegliamo dopo una bella dormita. Colazione in hotel e poi via: Fabian è deciso ad approfittare dell’ingresso gratuito a tutti i musei e ad evitare il sole il più possibile, così cominciamo subito con il Buddenbrook Haus. Al piano terra viene raccontata la storia della famiglia Mann e in particolare dei fratelli Heinrich e Thomas, nati propro a Lubecca. La stanza è suddivisa in sei settori, con al centro un lungo divano (coperto ai lati da due grandi teli, uno con stampato la foto della famiglia e l’altro con la genealogia della famiglia fino ai giorni nostri) e diverse cornette da dove si possono ascoltare pezzi musicali storici e le voci registrate dei Mann che alla radio leggevano i propri libri o partecipavano a discussioni critiche. Scopro così un sacco di dettagli sui Mann, fatti che trovo molto interessanti proprio perché parte della vita privata: la madre era brasiliana e non apprezzava molto la vita sul mar Baltico, tant’è che dopo la morte del marito lasciò Lubecca per aprire un circolo d’arte (di successo) a Monaco di Baviera. Vengo inoltre a sapere che le sorelle Mann si sono entrambe suicidate e che Thomas ha avuto una carrellata di figli. Fra questi Klaus, che si abbandonò all’eroina dopo aver assistito agli orrori della seconda guerra mondiale e finì, anche lui, suicida.
Dato che il nostro soggiorno in hotel era circoscritto a due notti e noi siamo qui per tre, andiamo a recuperare le valigie e le spostiamo in un appartamento che ho prenotato un paio di settimane fa. Nonostante la prenotazione preveda una stanza in un appartamento in condivisione, il proprietario ci lascia completamente da soli nella sua enorme casa. È a questo punto che decido che la Günter Grass Haus, come anche la Willy Brandt Haus, sono al di sopra delle mie forze fisiche e intellettuali. Così, consigliati dal nostro padrone di casa, andiamo a vedere il museo realizzato dentro la porta di Holstentor: evito tutte le descrizioni e mi concentro sui vari utensili da guerra, sulle navi, sulla miniatura del centro città, insomma su ciò che richiede un impegno cerebrale minimo.
Usciti dalle torri ricominciamo a girovagare per la città, piena di colori e in un bel pomeriggio estivo; ci fermiamo per un aperitivo all’aperto in un posto chiamato Kandinsky. La zona è poco turistica, un paradiso se penso allo stress di Berlino. La strada è semi-deserta: non si vedono mezzi di trasporto, se non biciclette, non ci sono masse di turisti rumorosi attorno a noi. Il tempo è favoloso e noi siamo in vacanza: dichiaro finita la mia missione di reporter e mi rilasso, godendomi la città e il sole, dopo il lungo inverno appena finito.
Per cena riusciamo a trovare un tavolo al Lübecker Hanse, un ristorante regionale dove non eravamo riusciti ad entrare due giorni prima. Ordiniamo subito la birra del posto: la Lück. Io voglio provare qualcosa di nuovo, per cui mi affido al cuoco e vado su una specie di antipasto della casa a sorpresa. Arrivano una zuppetta di pera servita dentro un bicchierino da vodka, un carpaccio di vitello, un’altra fetta di vitello su un letto di lenticchie nere e un bel pesce su purea di patate e ratatouille. Sono soddisfatta, ma non mangio la verdura: i condimenti al pomodoro non li sopporto e spesso le melanzane mi vanno di traverso. Anche Fabian è contento della sua Sauerfleisch mit Remoulade, della carne in gelatina con maionese alle erbe.
Domenica non avrei voglia di far nulla, ma Fabian è risoluto: dobbiamo andare a visitare Travemünde, la cittadina sul mar Baltico di cui tutti parlano benissimo. Sulla strada principale, che dà direttamente sul porto, osserviamo l’enorme nave passeggeri attraccata al molo mentre un cargo si fa largo verso la banchina. Sono affascinata da questi mostri del mare, immagino le lunghe tratte verso i mari del Nord, le rotte mercantili scoperte nelle spiegazione dell’European Hanseatic Musem visitato il giorno prima: che vita condurranno le persone che vedo affacciate dalla balaustra, rinchiuse per settimane o mesi in quel mondo finito?
Quando arriviamo finalmente in spiaggia scopriamo di dover pagare 2,80€ per poterne usufruire: non c’é nessuno ingresso, solo delle macchinette per fare i biglietti, come nei parcheggi in città al lato della strada, sparse sul litorale. 1,60€ se arriviamo dopo le 3 del pomeriggio. Come fare soldi sul territorio pubblico, penso un po’ infastidita. Prendiamo il biglietto e ci piazziamo a qualche metro dal mare. Il sole è coperto da delle nuvole sottili, così stare in spiaggia, in maniche corte e pantaloni lunghi, non è fastidioso. Immergo i piedi in un’acqua di ghiaccio: 13 gradi, mi diranno poco dopo. Torno a stiracchiarmi e osservo due uomini dal fare circospetto. Uno dei due indossa una maglietta nera con la scritta security ad avvolgergli le larghe spalle: controllano che tutto sia tranquillo, penso. Dopo qualche minuto una voce maschile mi chiede di mostrargli il biglietto d’ingresso: è uno dei tipi circospetti, con il bodyguard al seguito, ad assicurarsi che tutti abbiano diritto a stare sdraiati su questa spiaggia.
Quando le nuvole si diradano comincia a fare davvero caldo. Sono già le 2 e vogliamo prendere la via del ritorno entro un’ora, di modo da arrivare senza patemi al bus che ci riporterà a casa. Decidiamo così di rifugiarci in un locale che possa venderci i tanto agognati e famosi panini con il pesce. È da prima di partire che ne parliamo: siamo sulla costa Nord della Germania e qui la cosa più naturale da mangiare è il Fischbrötchen. Fabian opta per un panino con l’ipoglosso affumicato, io mi perdo tra gamberetti grigi e sgombro, ma alla fine scelgo un panino col filetto di salmone e mi risiedo al nostro posto, al fresco.
Arriviamo alla fermata del bus con largo anticipo. Mezz’ora prima della partenza un messaggio mi avvisa che la nostra partenza è ritardata di quaranta minuti. L’autobus arriva da Berlino e l’autista è un simpatico signore del Brandenburgo; ci racconta delle strane storie sugli dei dell’autostrada che, secondo quanto sostiene lui, decidono quando due macchine vogliono conoscersi, o quando un bus vuole incontrare un’utilitaria (e raramente finisce bene). Alcuni dei passeggeri sono molto disturbati da queste storielle, mentre Fabian e io passiamo quasi 6 ore a sghignazzare.
Siamo felici. Nonostante la stanchezza, ne è valsa la pena.
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