Immaginate di trovarvi catapultati in un sotterraneo, avete dieci anni, vi chiamate Isaac e, spaventati a morte, vi trovate nudi ed in lacrime. Non potete tornare da dove siete venuti perché un enorme pericolo vi aspetta e la vostra unica possibilità di salvezza è di andare avanti nel buio verso l’ignoto. Attraversate la prima porta e si apre un’altra stanza, uguale alla precedente, ma piena di cacche che si muovono sorridenti e vi attaccano appena entrati. Solo in quel momento scoprite che le vostre lacrime, lanciate contro i nemici li possono uccidere, salvandovi la vita. Tre porte si aprono e vi ritrovate in un’altra stanza, Zombie, non potete scappare perché le due porte presenti si chiudono appena entrate, dovete combattere. Vincete, altre porte, altri mostri. Ecco immaginate tutto questo graficamente come potrebbe disegnarlo un bambino di dieci anni ed avrete: The Binding of Isaac (TBoI) di Edmund McMillen.
La storia comincia con una rievocazione in chiave moderna della storia di Abramo ed Isacco con al centro “Mamma”, la madre di Isaac. A lei, una donna dalla profonda e bigotta fede cristiana, Dio raccomanda la purificazione del figlio dal peccato tramite l’estremo sacrificio di quest’ultimo. Prima dell’infanticidio, però, Isaac riesce a scappare tramite una botola ritrovandosi in quello stesso sotterraneo dove l’abbiamo trovato.
Da qui in poi, il gioco è una continua discesa nell’abisso, sotterraneo dopo sotterraneo in un labirinto popolato di cacchine e zombie, ma anche, fra gli altri, bambini grassi e scorreggioni, ragni, diavoli e vermi. Isaac può essere ucciso facilmente e la sua unica speranza sono io – il giocatore – e i tesori che troverà lungo il percorso. Allontanandosi dalla tradizione del fantasy, questi tesori non corrispondono ad armi e magie, ma oggetti di uso comune – colla, forbici, coltelli – riferimenti all’immaginario infantile – il pigiama – e al mondo horror anni 80, fra cui troviamo Necronomicon di “Evil Dead” ed un GameBoy capace di trasformare Isaac in PacMan. Nel totale ci sono più di 400 oggetti ed ognuno corrisponde ad un indizio sulla storia o ad una parte di un immaginario estremamente realistico ed identificabile dal giocatore, che garantisce quel necessario distacco dal fantastico e rende il gioco assurdamente reale ed evocativo.
Entra in gioco anche la componente autobiografica che McMillen ha inserito in TBoI, ovvero l’essere cresciuto in una famiglia ultra-religiosa dominata dalla figura della madre e dalla sua ossessione per il “non fare la cosa sbagliata”. Una situazione che si è tradotta in un’infanzia costellata di attacchi d’ansia, malattie psicosomatiche e attacchi di panico. McMillen trasporta ed estremizza questi traumi in Isaac, facendolo diventare il proprio alter ego di un’avventura che è sia un viaggio nella fantasia del protagonista che una sorta di autoanalisi anticonvenzionale dell’autore.
La stessa storia procede per fasi, attraverso diciotto finali, che vanno sbloccati partita dopo partita e che, progressivamente, scendono sempre più in profondità nel subconscio di Isaac-Edmund. Nella prima partita ci aspetta il confronto con “Mamma”, la quale cerca di schiacciarci continuando a urlare, con tono di rimprovero, il nome del figlio. Dopo il primo finale, l’avventura ricomincia da capo e la nostra discesa nel labirinto ci porterà, fra l’altro, ad affrontare sia i sette peccati capitali che i quattro cavalieri dell’apocalisse, in un percorso che, dopo Mamma, ci porterà in un livello chiamato “Utero”, per affrontare e sconfiggere il “Cuore di Mamma”. Questo chiude il cerchio del conflitto madre-figlio, ma apre quello del senso di colpa e del peccato. Ora Isaac si ritrova nuovamente nel labirinto bloccato, in un loop senza fine che descrive perfettamente quello stato di ansia e disperazione che accompagna la sua tragica figura.
La discesa nella psiche continua e, nella partita successiva, il boss finale è lo stesso feto di Isaac e, per converso, la colpa di essere nato. Sono temi forti che McMillen, grazie al medium del gioco, riesce a trattare con quell’irriverenza del teatro dell’assurdo, pur sempre trattandosi di un gioco in cui si sparano costantemente lacrime a mostri assurdi, ma è proprio per questo mix stridente fra il tema trattato e lo stile del gioco che TBoI ti prende. Esso difatti non è solamente un viaggio nella psiche di McMillen o nelle fantasie distorte di Isaac, ma un’opera che rievoca l’infanzia del giocatore e spinge a chiedersi: io ho mai provato queste cose? E, nel caso di una risposta affermativa, perché?
Cercando una riposta a quest’ultima domanda, Isaac, sconfitto il suo feto, ci porta davanti ad un bivio: vogliamo scendere all’Inferno, affrontare Satana e distruggere la fonte stessa del peccato, o vogliamo invece accettarlo, salendo in Paradiso per uccidere la nostra versione angelica? Qualunque sia la via, la vittoria ci porterà all’interno di un baule di legno: l’ultimo vero livello del gioco, finora apparso solo nei vari finali come posto dove estrarre oggetti speciali o, più avanti, dove Isaac si è nascosto in compagnia del gatto morto. Nonostante questo, e i vari indizi che ci vengono suggeriti nelle altre partite, quanto accade nel baule è un pugno nello stomaco: il boss finale non è più una rappresentazione della paura o del peccato del nostro protagonista, ma il Blue Baby, ovvero il cadavere stesso di Isaac che giace in quello stesso baule dove egli si è nascosto.
La verità ci viene rivelata. Se nella fantasia che abbiamo giocato, Isaac è l’eroe capace di affrontare il suo stesso trauma, nella realtà è solo un bimbo impaurito e depresso che si è rinchiuso in un baule, in preda ai sensi di colpa ed ossessionato dall’idea di essere malvagio: in fondo, nella sua mente di infante, è lui il responsabile della precaria salute di Mamma. Chiuso in quel baule, non risponde ai richiami della Madre e, immerso in quelle stesse fantasie che abbiamo giocato finora, poco a poco si spegne diventando quel Blue Baby che la madre troverà, avvolto dalle mosche, quando finalmente aprirà quel baule.
Questa è la storia di The Binding of Isaac, un gioco Indie che ha venduto oltre 3 milioni di copie e che, grazie al genio del suo autore ed alla componente auto-biografica, a trattare un tema così crudo come l’uscita dall’infanzia, il trauma di una religione oppressiva ed il conflitto madre-figlio, mescolando il tragico al comico, fino a spingersi verso la volgarità e la blasfemia, ma conservando proprio per questo una profonda leggerezza.
TBoI riesce a connettersi con i ricordi più profondi di chi lo gioca, trascendendo il proprio stesso medium, il videogame, ed evocando situazioni ed emozioni che sono parte del processo di crescita.
In fondo, se possono farlo libri, film e canzoni, perché non un gioco?
SIMONE BONZANO: Archeologo, analista e scrittore dal tanto tempo perso, si interessa di politica e frequenta il mondo dei nerd da prima che diventasse una moda. Fra viaggi in medioriente e una vita passata a saltare su funghetti e coccinelle per salvare la principessa di turno, decide di sedersi davanti ad una tastiera e raccontarne il mondo.
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