Sorvolando Berlino su Google Maps, ad un angolo di Manteuffelstraße, a un certo punto si legge una scritta: M99, Infoladen und revolutionsbedarf. È il negozio di HG, Hans-Georg Lindenau, attivista da trent’anni, da quando cioè Kreuzberg era l’epicentro rivoluzionario di West Berlin, con i suoi palazzi grigi e stanchi e le case occupate. Quando in strada si incontravano occhi scuri e volti incorniciati da veli, creste colorate, facce miserabili e la polizia era il “nemico”. Quando erano altri tempi, erano altre menti, e Google non esisteva ancora. Il 20 settembre 2016, intorno alle sei e trenta del pomeriggio, mi mischio alla manifestazione contro lo sgombero dell’M99, storico negozio e libreria alternativa della scena autonoma di Berlino, ma soprattutto la dimora che custodisce la vita di HG. In passato sono entrata, di tanto in tanto, in questo posto, attirata dall’aria di rivoluzione e dal disordine. Ricordo che, solo cinque anni fa, di luoghi come questo ce n’erano tanti nel quartiere.
La strada davanti al negozio è sgombra, ma su entrambi i lati del marciapiedi, alcuni gruppi di persone comprendono gli amici di HG, il vicinato e i membri del Bezim Kiez, l’organizzazione di quartiere contro la speculazione edilizia dell’area. Uno degli attivisti si chiama Magnus Hengge. Parliamo a lungo, mi racconta di HG e di come vanno le cose a Berlino. L’organizzazione di cui fa parte prende il nome da un’altra storia di sfratto, quella del fruttivendolo di quartiere Bizim Bakkal (in turco “il nostro alimentari”), in Wrangelstrasse 77. La famiglia Çaliskan, che viveva e lavorava lì da 28 anni, è stata costretta a lasciare il quartiere; il negozio, punto di riferimento per il vicinato, chiuso e dimenticato. “Questo è solo un esempio” dice Magnus, negli ultimi 20 anni la stessa sorte è capitata a tanti edifici, a tante persone. Agli inquilini viene offerta una compensazione, una somma che li convinca a fare spazio, ad andare via. La chiamano lotta all’invecchiamento, mentre significa appartamenti di lusso e profitti per gli investitori facoltosi. Il fenomeno non si limita a Kreuzberg, anzi, il primo quartiere ad essere stato inghiottito e digerito dalla gentrification è stato Prenzlauer Berg, oggi uno dei più cari e ricercati. A seguire sono Friedrichshain, Kreuzberg e, in misura sempre maggiore, Neükolln. Sul sito bizim-kiez.de, compare una lista lunghissima e spaventosa di strade e numeri civici, tutti casi di sgombero legati all’idea di risanamento dei quartieri. Basta un’occhiata per rendersi conto e stupirsi. In fondo alla homepage, questa frase: “siamo sotto assedio e lotteremo per la salvaguardia del nostro quartiere”.
Berlino, una volta metropoli modesta e cheap, si conforma e borghesizza con una disinvoltura inquietante. Le cause della mutazione tornano indietro sino alla caduta del Muro, ventisette anni fa. Una volta demolite le barriere fisiche e politiche che dividevano la più libera e avanzata Germania Ovest dalla difficile zona dell’Est, arrivò il crash economico: il tasso di disoccupazione esplose e con esso la fiducia nelle istituzioni, cui seguì l’esodo degli abitanti verso la parte occidentale della Germania. La conseguenza fu il crollo del mercato immobiliare. Berlino Est era in declino, i suoi palazzi semidistrutti. Molti erano stati costruiti nella prima metà degli anni ‘20, gli Altbau li chiamano, edifici d’epoca sfioriti nel tempo.
Un piano di rinnovamento e implementazione delle infrastrutture fu il primo passo verso l’integrazione della sorella ritrovata. Circa 1600 miliardi di euro arrivarono da Berlino Ovest. Si ricostruirono fabbriche, case, strade, negozi, si cercò di riportare la dignità tra la gente. Era necessario ricomporre la Berlino capitale e costruire un senso di fiducia. Gradualmente, le industrie tornarono in città e anche i berlinesi. Il mondo scopriva un posto a lungo rimasto isolato, che ora si emancipava. L’entusiasmo fu dilagante. Iniziò la migrazione della creative class: artisiti, giovani imprenditori e una vasta gamma di creativi, attratti dal fascino dismesso della città e dal ridotto costo della vita. Comparvero start-up e turisti, in molti sceglievano Berlino come casa. Tra i primi ad arrivare, anche gli investitori immobiliari.
C’è una storia, quella della palazzina in Linienstraße 118, nel cuore del quartiere di Mitte, a riassumere sommariamente le dinamiche che il mercato immobiliare di Berlino ha visto svilupparsi nel corso degli ultimi vent’anni. Nel 1997 un privato acquista l’intero edificio per 70000 euro, all’irrisorio prezzo di 290 euro al metro quadro. In sette anni recupera la spesa soltanto attraverso gli affitti degli inquilini. L’investitore mantiene la proprietà per quasi 15 anni, portando a casa un profitto del 200%. Gli inquilini non si vedono aumentare gli affitti, tutto fila liscio. Finché, nel 2011, arrivano gli investitori internazionali. Una società di Vienna offre al proprietario dello stabile 2 milioni e 400.000 euro. 1000 euro al metro quadro, un vero affare: il proprietario accetta. I nuovi acquirenti non vogliono però aspettare 20 anni per rientrare del loro investimento e cercano quindi di svuotare gli appartamenti, per destinare la struttura a un nuovo uso. Non ci riescono, ma poco male, perché gli va ancora meglio. Appena un anno dopo il loro acquisto, nel 2012, una coppia di imprenditori berlinese offre 5 milioni e 520.000 euro per acquisire lo stabile. Il prezzo è salito in poco più di un anno di oltre il doppio, adesso siamo a 2300 euro a metro quadro per il palazzo in Lininestrasse 118 ed i suoi venti appartamenti. I nuovi proprietari riescono, nel giro di breve tempo, a fare in modo che gli inquilini lascino le loro case e nel 2013 vendono di nuovo la palazzina per 8 milioni di euro, a 3.500 euro al metro quadro: ad oggi, gli appartamenti dello stabile risultano essere tutti di proprietà individuali. Vendi, compra e rivendi, in quindici anni, il valore di un immobile è cresciuto oltre dieci volte il prezzo iniziale.
Berlino è oggi un mercato dinamico, ancora vantaggioso sia per i vecchi proprietari che per i nuovi acquirenti. Tra i fattori determinanti l’interminabile richiesta di case in affitto, per cui il Senato ha previsto la costruzione di oltre 22000 nuove abitazioni; la tassa di speculazione abolita per chi rivende dopo 10 anni; un’economia, quella tedesca, che nonostante qualche flessione resta la più stabile tra i paesi europei.
A rendere le cose ancora più interessanti ci pensano provvedimenti di legge come l’Energy Conservation Act, che assegna appalti sulla base di criteri ecologici, o i programmi KfW, acronimo di Kreditanstalt für Wiederaufbau (la Banca della Ricostruzione), che concedono sovvenzioni e prestiti per le ristrutturazioni ad alta efficienza energetica di edifici residenziali, meglio ancora se antichi: tutte opportunità piuttosto allettanti.
In trent’anni di esistenza, l’M99 è stato ispezionato dalla polizia oltre cinquanta volte. Nello stesso lasso di tempo, il palazzo che lo sovrasta è stato venduto, da un proprietario all’altro, per ben otto volte
Se guardiamo dall’altra parte della medaglia ci accorgiamo che l’80% degli abitanti di Berlino vive in case in affitto, praticamente quattro su cinque. Per quanto la capitale tedesca sia oggi sulla cresta dell’onda, rimane però, ancora, una città povera, dove gli stipendi della popolazione media sono fermi da diversi anni, mentre il costo della vita si dilata. In questo modo accade che molti non possano più permettersi la casa in cui hanno vissuto per decenni, ormai trasformata in un appartamentino ecologico di élite. A complicare le cose c’è la cultura di un popolo, quello berlinese, che porta con sè l’esperienza di anni intensi e per certi versi paradossali, un popolo rigido e pretenzioso in merito ai diritti, i propri e quelli degli altri. Una comunità, nel senso vero del termine: una cosa non da poco. Magnus Henge, ad esempio, durante la nostra conversazione mi ripete spesso come quello dell’alloggio sia un diritto alla vita, e che per questo sia di fatto incompatibile con il principio di sfratto: il punto insomma non si riduce alla questione abitativa.
M99, Gemischtwarenladen mit Revolutionsbedarf (M99, negozio di merce combinata a una rivoluzione necessaria) è il nome con cui, nel 1985, venne aperta la copisteria e libreria alternativa di HG, in Manteufelstrasse 99, appunto. Un giornale chiamato Interim veniva pubblicato clandestinamente, delle comunicazioni non distribuite erano consultabili solo all’interno. Un luogo di aggregazione per la classe sovversiva di Kreuzberg e, più ampiamente, un valido alleato della vocazione rivoluzionaria di Berlino. Una notte di ottobre del 2010, il posto andò in fiamme, mentre HG dormiva al suo interno: non è mai stato chiarito cosa sia accaduto, ma a quei tempi molte librerie progressiste e diverse riviste di settore venivano chiuse o perseguitate, perché accusate di istigare reati criminali.
In trent’anni di esistenza, l’M99 è stato ispezionato dalla polizia oltre cinquanta volte. Nello stesso lasso di tempo, il palazzo che lo sovrasta è stato venduto, da un proprietario all’altro, per ben otto volte, l’ultima nel 2013. La più recente richiesta di sgombero è arrivata a dicembre 2015 dal proprietario attuale che, con delle motivazioni, si possono facilmente immaginare, spinge per la chiusura del negozio e la fine della storia. Il gennaio scorso il vicinato si è organizzato in una protesta, mentre il responsabile degli interni del Senato di Berlino, Frank Henkel (CDU), ne ha confermato la chiusura entro la fine di febbraio 2016.
La rimozione dell’M99 fa parte di un più ampio piano di pulizia che punta a limitare la presenza nel quartiere di strutture rappresentanti dell’ala radicale a supporto di politiche egualitarie e di giustizia sociale.
In seguito a questi eventi, il sindaco di Friedrichshain-Kreuzberg, Monika Herrmann (Bündnis 90/DIE GRÜNEN), ha istituito e guidato,una tavola rotonda per la negoziazione tra le parti, che si è conclusa ad aprile del 2016. Lo scorso 9 agosto è stato approvato per la prima volta lo sgombero forzato, un’azione fin ora arginata dalle proteste popolari e dalla salute di HG.
“La legge tedesca non tutela abbastanza le realtà come questa” dice Magnus, “è facile cacciare una persona, soprattutto da un negozio, qui il concetto di proprietà ha un valore molto alto e, con la scusa di proteggere e risanare, riescono sempre a trovare dei cavilli a supporto degli sgomberi forzati”. La realtà è che HG paga un prezzo di affitto di 2€ al metro quadro per il negozio e di 4€ per l’abitazione, in tutto 400€ al mese, una cifra folle per il mercato attuale. Mentre c’è già qualcuno pronto a pagarne 1200, e a trasformare il locale in un negozio per acconciature di tendenza.
Mentre diventa sera e siedo in mezzo ai vecchi amici di HG, tutti, come lui, ex membri della scena squat di Berlino degli anni ’80, scopro che inizialmente erano in otto ad occupare il posto e che HG faceva parte di uno degli squat più radicali, che si trovava in Potsdamer Platz. Gli scontri con la polizia allora erano violenti e giornalieri, tempi duri per chi sfidava l’oscurità del dissenso. Un uomo con dei dreadlocks lunghi e sapienti cita un episodio che mi fa capire molto. Racconta di HG ragazzo, e dei suoi amici, di quando una volta occuparono una zona limitrofa al muro, con lo scopo di creare un Wagenburg, uno dei campi – in parte ancora esistenti a Berlino – dove si cerca riparo dalla società, vivendo dentro autovetture e autogestendosi. A quei tempi, la fascia di spazio che correva lungo il muro era sotto la giurisdizione dell’est. Una notte, però, i ragazzi furono sorpresi da una retata della polizia e per scappare alle divise presero una scala e saltarono aldilà del muro. Purtroppo ad attenderli dall’altra parte, trovarono la Volkspolizei, la polizia nazionale della Repubblica Democratica Tedesca, o Germania Est. Un corpo di polizia formato in seguito alla seconda guerra mondiale, una sorta di secondo esercito, dall’addestramento militare, ma con competenze civili. Riuscirono a tornare ad Ovest solo dopo 24 ore. Dal racconto non è chiaro cosa sia accaduto, ma da quel momento HG vive nel tormento della paura, non si sente mai al sicuro, crede di essere perseguitato. Indebolito dall’inquietudine, un giorno sale in cima al tetto della chiesa Emmaus-Ölberg Kirchengemeinde, nella vicina Lausitzer Platz, e si lancia nel vuoto, sperando di perdere la vita. Il tentativo fallisce, ma da allora è costretto a vivere su una sedia a rotelle.
Magnus intanto ha trovato un nuovo appartamento, al piano terra, con accesso dalla strada, dove HG potrà spostarsi nel maggio del prossimo anno. Anche se lo sgombero era previsto per il 21 settembre, vengo infatti a sapere che la Corte ha sospeso l’operazione e richiesto una nuova perizia psicologica per HG. Per il momento può restare a casa. I neurologi hanno già confermato che è affetto da disturbi d’ansia acuta e raccomandano quindi che gli venga assicurata una situazione abitativa stabile, idonea alla sua invalidità e alla sua condizione psicologica.
È ipocrita non riuscire a capire quanto la chiusura di questo posto significhi. Innanzitutto per lui: la sua rivoluzione, la sua casa, la sua gente e la sua intera esistenza; secondo, per tutti noi. Questo pensiero, mi riporta alla memoria un’immagine trovata on-line, si parlava della storia di Rosemarie Fliess, anche lei sfrattata dalla sua casa di una vita. Era una foto scattata ad una manifestazione organizzata in suo supporto, si vedeva un ragazzo che spingeva in alto un cartello, sopra, stampata, l’immagine di un’anziana signora sulla sedia a rotelle, con una coperta bianca che le copriva e riscaldava le gambe immobili, di seguito c’era scritto:
Rosemaire Fliess
geboren am 28 August 1945 (nata il 28 agosto 1945)
zwangsgeräumt am 9 September 2013 (sgomberata il 9 aprile 2013)
gestorben am 11 April 2013 (morta l’11 aprile 2013)
Con la speranza che la storia non si ripeta e augurando lunga vita ad HG.
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