Ogni mese raccogliamo il meglio di quello che è stato proposto da Yanez e lo riproponiamo. Questi sono gli articoli che avete apprezzato di più nel mese di febbraio 2018:
Perché scegliere è diventato così difficile
di Beniamino Cianferoni
Il dover scegliere, in tutti i campi, appare spesso una limitazione alla propria libertà e felicità. Penso per esempio alla città dove vivere: io sono tornato a Firenze, ma mi manca Berlino; in realtà sto prendendo in considerazione Milano, ma in fondo a Lisbona potrei sempre lavorare in remoto. La città obbliga ad un minimo di continuità, ma alla fine succede che la propria opzione perda il più delle volte il confronto con le altre. Si può confermare l’intuizione con una domanda: che connotazione emotiva accompagna la parola “scegliere”? Penso ai vantaggi o a quello che perdo?
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Una donna chiamata Rivoluzione
di Shendi Veli
Un corpo avvolto in un cappotto pesante incede lentamente sul tappeto di fango e ghiaccio di un cortile. Il cielo è addormentato da un triste chiarore invernale. Il corpo avanza con passi regolari, fino a raggiungere un muro alto di mattoni umidi di neve, poi si volta e torna indietro, ripercorrendo lo stesso tragitto. La figura avanza piegando il busto lievemente verso sinistra, a ogni passo, come se avesse legato alla gamba destra un fastidioso peso. L’aria è pungente, priva di odore.
Dentro quel cappotto c’è una donna, un’ebrea polacca di nome Rosa Luxemburg. Il suo passo claudicante lo deve a una malattia infantile che le ha compromesso per sempre l’utilizzo della gamba destra. La sua lenta e ripetitiva passeggiata è un esercizio che si concede quotidianamente, durante la sua preziosa ora d’aria.
È il 1917. Rosa è rinchiusa nel carcere tedesco di Wronke, 250 chilometri ad Est di Berlino. Fuori da quelle mura migliaia di uomini e donne muoiono come comparse nella tragedia della Grande Guerra.
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Transumare, con lentezza
di Anna Rizzo
Se i percorsi della transumanza sono stati gli avamposti di scambi, di culti religiosi, di abitudini alimentari, di dialetti e di tante forme di produzione culturale, lo dobbiamo alle grandi autostrade del sapere pastorale che per secoli hanno intersecato l’Italia, antiche viabilità rimaste intatte per millenni. Sono le vie della transumanza, cammini di genti e di pecore che hanno attraversato il nostro territorio seguendo il ritmo delle stagioni, in cerca di pascoli fertili: uno dei processi economici che dall’addomesticamento degli ovicaprini fino ai nostri giorni è rimasto pressoché invariato.
L’economia pastorale ha contraddistinto l’Europa, definendo le sue base rurali. Persistente in forma residuale e marginale, la pastorizia, nella sua forma stanziale, sopravvive in lacerti di territorio.
La trasversalità con cui si incardina la transumanza ci permette di raccontare un’Italia interstiziale, di percorsi e di scelte di vita. Come le storie intercettate dai registi che, negli ultimi anni, si sono confrontati con uno dei temi storicizzati dell’antropologia e della sociologia rurale.
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Berlin, Wild Wedding
Di Francesco Somigli
Foto di Cesare Zomparelli
C’era una volta un quartiere di frontiera, rebus irrisolto di complicata integrazione e problematiche sociali; questo sarebbe il perfetto e scontato inizio di un qualsiasi articolo su Wedding. Ed è già un buon motivo per non iniziare così questo articolo su Wedding.
Abito a Berlino dal 2012 e prima dello scorso anno avevo messo piede in questo distretto (che dal 2001 è entrato a far parte del quartiere di Mitte) solo un paio di volte, ospite a casa di conoscenti per delle feste. Una di queste due feste era nella casa che poi sarebbe diventata la mia, cosa che all’epoca non avrei mai immaginato. Il mio arrivo qui è stato totalmente in linea con le caratteristiche storiche di Wedding: nella metà del diciottesimo secolo in quest’area si rifugiavano le persone che volevano nascondersi da qualcosa o che avevano loschi affari da portare avanti; era un luogo amato da giocatori d’azzardo e puttanieri, per dirla proprio fuori dai denti.
Ora, io non so giocare a carte, ho una discreta sfortuna con le slot machines e, soprattutto, non intrattengo rapporti sessuali a pagamento. Quando sono arrivato avevo semplicemente bisogno di un luogo in cui rifugiarmi, dove sparire per un po’ mescolandomi tra altra gente che a Wedding aveva già trovato rifugio prima di me.
Il biglietto da visita che mi era stato presentato non era dei migliori: delinquenza, disagio umano, sporcizia e tutto quello che può comporre il pacchetto completo del quartiere che la nonna ti sconsiglierebbe di frequentare.
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Madre!
Di Margherita Seppi
Illustrazioni di Magda Richiusa
Se il mio sentimento per i bambini fosse un paesaggio, sarebbe una grande e desolata landa deserta. Un territorio poco ospitale, dove quasi niente prospera. Non ho mai avuto nessun interesse per loro. Ho quattro nipoti a cui voglio molto bene, ma mai vorrei essere la loro madre, nonostante loro siano creature educate, intelligenti e – per la loro specie – addirittura silenziose. Non è una questione di astio o malevolenza. È una non-predisposizione caratteriale, un’indifferenza congenita che non nutro nessun desiderio di cambiare, un tratto della mia personalità con cui serenamente convivo.
Diciamolo semplicemente: i bambini non mi piacciono e a me questo stato di realtà soddisfa pienamente.
Il problema, è che tanti si aspettano il contrario.
Se non ti piacciono il formaggio, o i Pink Floyd, o la neve, nessuno fa tante storie. Nessuno di solito ha delle grandi aspettative verso di te quando ti propone di mettere su The dark side of the Moon, ti chiede di fare un pupazzo di neve, o ti offre un pezzo di fontina. Immaginatevi la scena. Uno arriva con un piatto di formaggio, ve lo offre, voi declinate dicendo “No grazie, non mi piace il formaggio” e il tizio replica con espressione di serio dispiacere “Oh davvero? E come mai? Tranquill*, in futuro cambierai idea, vedrai”.
Come scusa?
Se sarebbe perfettamente comprensibile (nonché ragionevole) rispondere al tizio in questione “Grazie dell’interessamento signor Tizio, ma penso che riuscirò benissimo a vivere una vita appagante senza formaggio”, non lo è altrettanto se in questione ci sono bambini. Più nello specifico, figli, perché è di questo che si tratta, in fondo.
Perché riguardo al fare figli esiste così tanta pressione?
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Deep Panorama
Photodrome di Claudia Ferri
Il paesaggio interiore di Claudia Ferri è il posto in cui luoghi, persone, cose ed emozioni si fondono tra loro e modellano un nuovo scenario.
Claudia Ferri (Pescara 1980). Vive e lavora a Milano.
Ha studiato fotografia presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma, città dove ha vissuto per dieci anni. È stata assistente di Claudio Abate nell’ambito della fotografia di riproduzione di opere d’arte. Il suo lavoro spazia dal ritratto al cibo. Come fotografa freelance collabora, tra gli altri, con Monocle, Corriere della Sera, Rivista 11, Studio, Missoni, GQ, Exploring Taste, Esquire Italia.
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9 Righe
di Redazione
9 Righe è una rubrica mensile di consigli di lettura illustrati, curata da Paola Moretti.
In 800 battute vi raccontiamo delle nostre ultime letture e del perché ci sono piaciute. Una squadra di illustratori interpreta graficamente le mini-recensioni e disegna le copertine dei libri. Le potete vedere a tutto schermo cliccando sull’immagine.
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Caro Diario
di Paola Moretti
Il poeta romantico John Keats aveva elaborato, intorno alla metà dell’Ottocento, la teoria della negative capability, cioè la capacità di alcuni scrittori di essere disposti a ritrovarsi in un luogo di incertezza ed insicurezza intellettuale, pur di perseguire la bellezza artistica.
Lo stesso concetto lo rielabora in maniera leggermente più arrogante, ma allo stesso tempo più chiara, Francis Scott Fitzgerald quando dice che:
“Il banco di prova di un’intelligenza superiore è la capacità di sostenere simultaneamente due idee contrapposte senza perdere la capacità di funzionare. Uno dovrebbe, per esempio, capire che non c’è scampo ma essere comunque intenzionato a far di tutto per trovare una via d’uscita.“
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Sognare è un fiume profondo
di Sandra Simonetti
Soggiornare in Valle Camonica in attesa di una guerra, quando si è giovani e mediamente soli, può rovinare le viscere. Ne sapeva qualcosa il ventiduenne Carlo Emilio Gadda, che di tutto quel mal di pancia mal sopportato sembrava non poterne proprio più. Scriveva rintanato nella sua stanza, all’Albergo Derna di Edolo, quasi trincerato in una mesta solitudine che spesso lo esonerava dalle bisbocce dei commilitoni, per lui forse troppo frequenti.
Sembra di vederlo, mentre impugna la penna e verga il suo Giornale di guerra e di prigionia (che diario di guerra non vuole essere, o forse nemmeno può, come avrà modo di farci intendere in scritti successivi), chino su fogli pregni di parole. Una versione quasi autocensurata rispetto alle lettere, che scrive copiose e in cui non lesina commenti audaci e una lingua più sciolta. Anche sul suo Giornale si lascia però andare ad osservazioni poco simpatiche sui compagni d’arme più sfrontati e perfino su quei generaloni che lontani dal fronte se ne stanno; ne avrai da scrivere di cose in quattro anni Carlo Emilio, eccome se ne avrai! Perciò, non farti distrarre dal fischio del treno che è appena arrivato in stazione portando con sé un carico di nuove reclute, carne da macello per la primavera del 1916 in Adamello. La linea ferroviaria Brescia-Iseo-Edolo è praticamente nuova, quando tu arrivi in Valle Camonica ha solo 6 anni.
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Abbiamo detto no
di Fiamma Mozzetta
Non vi nascondo un certo dispiacere quando, sentendo parlare David Byrne in occasione di una sua recente conferenza tenutasi alla New School University di New York, non ho visto l’artista ballare, o meglio muoversi confusamente, sui ritmi di “Desconocido Soy”. Tra infiniti link, cartelle e schede aperte, l’8 gennaio improvvisamente vedo la pagina Facebook dell’artista movimentarsi più del solito: nuove foto, esce il video del nuovo singolo e di lì a poco parte lo streaming della conferenza, che lascio partire in sottofondo. Il rettore presenta l’artista: Byrne entra, total black e giacca rosa, mentre studenti un po’ intimoriti applaudono e, proprio quando mi aspettavo una Byrniata, lui inizia a parlare con serietà, e a ridere, con nervosismo.
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Foto di copertina © Sara Nicomedi
REDAZIONE
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