Ogni mese raccogliamo il meglio di quello che è stato proposto da Yanez e lo riproponiamo. A novembre ne abbiamo combinate di tutti i colori. Questi sono gli articoli che avete apprezzato di più, raccontati attraverso stralci e citazioni (cliccando sul titolo verrete rimandati direttamente all’articolo):
Portami a ballare dove gli altri non possono entrare
di Mattia Grigolo
con le illustrazioni di Francesco Gulina
“Fabrizio è gay e un giorno, quasi per gioco, mi disse che mi avrebbe portato al Lab.Oratory, “sezione distaccata” del Berghain/Panorama Bar. Quest’ultimo è tra i club più importanti al mondo.
– Andiamo al Lab.Oratory –
– Non posso –
– Perché? –
– Perché sono eterosessuale –
Rise.
E risi.”
“I due ragazzi si facevano penetrare per trenta, quaranta minuti, forse di più, e non si voltavano mai, con le mani e gli avambracci poggiati al muro che trasudava. Quando il ragazzo di turno terminava il suo lavoro, quello immediatamente dopo di lui in coda prendeva il suo posto e ricominciava da dove l’altro aveva finito. Il ragazzo al muro continuava a non voltarsi anche al cambio del partner.”
Il più grande bordello d’Europa
di Mauro Mondello
“Da noi arrivano quasi 60.000 persone ogni anno, da Asia, America e anche dal mondo arabo: i nostri clienti hanno le idee molto chiare su quello che vogliono e le nostre ragazze ormai sono così esperte e preparate da poter soddisfare anche le richieste più stravaganti.”
“Io sono venuta qua convinta di lavorare in un ristorante o in un albergo a fare le pulizie, o almeno questo è quello che mi avevano promesso. Ora lavoro in un bordello e cosa dovrei fare? Farmi marchiare a vita per sempre?”
“Dal 2004 ad oggi il numero di donne impiegate nel mercato della prostituzione tedesco è più che raddoppiato: è il risultato della crescita esponenziale del turismo a scopo sessuale. Oltre il 65% delle ragazze che lavorano nei bordelli di tutta la Germania proviene da paesi dell’Est o dei Balcani, principalmente Estonia, Romania, Croazia, Bulgaria.”
Berlino – Bologna A/R
di Margherita Seppi
illustrazioni di Luca di Battista
“Casa” era un appartamento situato al secondo piano di Via dell’Orso Nonmiricordoilnumero. Via dell’Orso è un’arteria sottile che si snerva dalla Centralissima Aorta Via Indipendenza, con tutti i suoi negozi chic, pedoni eleganti, e ristoranti costosi. La flora e la fauna cambiano completamente se ci si sposta a piedi di quindici minuti verso Via Zamboni, Piazza Verdi, Via Petroni e tutto il centro universitario, insomma. Man mano che si procede i graffiti occupano sempre più spazio sui muri delle case, la difficoltà nell’evitare le merde di cane per terra raggiunge livello #Expert, e i signori con la ventiquattrore lasciano lo spazio a studenti dagli occhi arrossati e personaggi che sostano a vari stadi di barbonaggio.”
“Il mio innamoramento per Berlino dura da quasi tre anni, il che è spettacolare, perché di solito il mio innamoramento per una persona dura dai tre ai quattro mesi.”
“Sto ascoltando i Bad Religion di “Generator”, il primo album che ho scaricato – giusto qualche giorno prima – da un vecchio programma P2P. Ora, mentre mi infilo in Via Indipendenza, schivo una merda di cane sul marciapiede e mi fermo un secondo ad accendere una sigaretta, non ho idea di quanti album seguiranno, di quante cartelle si riempirà il mio computer o di quanto tempo spenderò ad organizzare tutta quella musica di cui andrò così fiera. Ma soprattutto non so di quando sposterò tutta la mia collezione su un hard disk esterno e di come, un giorno, quell’hard disk volerà contro una parete in un appartamento di Berlino, causando la perdita di tutti i dati.”
Gli stregoni di Siquijor Island
di Edoardo Bluma
illustrazioni di Magda Richiusa
“I filippini hanno la grande capacità di farti sentire a casa anche se sei dall’altra parte del mondo. Sono un popolo meraviglioso, seppur pieno di contraddizioni, ma chi non ne ha.”
“Quello che si respira è un clima da festa popolare. Sembra la Sagra del Tortello del circolo anziani di San Lazzaro, senza tortello. Non mi aspettavo di vedere maghi lievitare o evocazioni di demoni, mi bastava giusto un po’ più di spiritualità, ma tant’è.”
“– Benvenuto a China Town!
Appeso a delle travi di legno c’è un cartello che recita la stessa frase.
– China Town?
– Questa è casa di Pang, Pang è cinese quindi questa è China Town.
Non fa una piega.
A parlare è El Capitan, un omone con i baffi, il più carismatico del gruppo. Gli altri sono Josh, un chitarrista che vanta di fare parte della migliore band dell’isola, in quanto l’unica; Cop, lo sbirro, di nome e di fatto; Marino un professore di agraria, affabile e dai modi gentili, l’unico un po’ serio; e Pang, ovviamente. Il proprietario della casa è il solo a non parlare, ma i suoi sorrisi senza denti bastano a farmi empatizzare con lui. Sono tutti volontari nel servizio di sicurezza e monitoraggio di Siquijor, e questa spiaggia è l’area che devono sorvegliare. Tutti tranne Pang e, considerato che qui non viene mai nessuno, se non per errore, fondamentalmente è lui che devono tenere sotto controllo. Pescano, bevono, e di tanto in tanto dicono ‘tutto bene’ alla ricetrasmittente de El Capitan. Quando c’è bisogno tornano alle loro vere professioni ma non sembra che, a China Town, il lavoro occupi un gran ruolo. Invidio la loro mancanza di frenesia, anche se adattarmi a questi ritmi mi viene piuttosto naturale. Finisco con l’ubriacarmi, tra risate, aneddoti, e lezioni di Bisaya, il dialetto del posto. Prometto di tornare a trovarli e, dopo le dovute raccomandazioni sullo stare attento nel guidare ubriaco, li saluto e me ne vado.”
di Mauro Mondello
Illustrazione di Simon Rizzi
“La motovedetta della Guardia Costiera si prepara ad uscire che già sono le 3.45. La segnalazione è arrivata una mezz’ora prima. Dalla capitaneria di porto hanno mandato l’allarme in caserma e in quindici minuti la truppa al completo è già al comando. Negli occhi dei ragazzi si intravede un’insofferenza nitida; non si capisce se dipenda dal fatto di essere stati svegliati, ancora una volta, nel cuore del buio, o se sia invece la rabbia per l’ennesima notte di fuoco e violenza in cui stanno per lanciarsi.”
“In appena quattro mesi Brega ha affogato 120 profughi, violentato nelle nuove Strutture di Stupro Temporaneo approntate sull’isola 28 giovani donne e venduto oltre 200 bambini ad ospedali e cliniche europee in necessità di organi per interventi di trapianto. “Ci tengo a dire che le donne erano tutte somale ed eritree” precisa mentre la sua imbarcazione segue a breve distanza la linea d’acqua solcata dai natanti militari.”
“L’oscurità è ancora totale, il mare praticamente immobile. Si sentono solo le voci dei militari che si scambiano ordini e rispondono ai comandi, mentre sui gommoni civili non vola una mosca: i ragazzi si concentrano per portare a termine il “salvataggio” nel migliore dei modi.”
Radiantismo Days
testo e foto di Sandra Simonetti
“Spengo il registratore e rivado con la mente a quel periodo che va dalla seconda metà degli anni Settanta fino alla seconda degli anni Novanta e che solo in parte ho vissuto. La liberalizzazione delle frequenze radiofoniche, i baracchini e le antenne, anche abusive: “Erano anni in cui tutti erano in qualche modo sulle frequenze, l’unica forma di raggiungimento di comunicazione pura. C’era un traffico inimmaginabile! Quando io ero piccolo ed abitavo a Brescia, la sera come niente c’erano attive 300-400 persone.”
“Gli episodi sismici degli ultimi mesi hanno riportato alla luce la bravura dei radioamatori. “Tendenzialmente uno che è radioamatore ha sviluppato una sensibilità umana che lo porta ad avere un occhio di riguardo verso queste situazioni. Perché un radioamatore bravo deve essere intelligente, curioso e sensibile.”
“Sono due i radioamatori che si raccontano al microfono: padre e figlio, con un pizzico di spirito del tempo che ha permesso loro di portare avanti per anni la passione del radiantismo. “Stai fotografando un apparato radioamatoriale in HF. Questi” – si gira indicando sagome scure con tasti e manopole – “sono altri apparecchi radioamatoriali. Questo qui sopra invece è un ricevitore multibanda, quest’altro un ricetrasmettitore.”
Febbre da cavallo
di Daria Tombolelli
“È il primo aprile del 1979. Da un luogo appartato, appena sotto una delle piazze più trafficate – per quanto possano esserlo quelle di una cittadina di provincia alla fine degli anni ‘70 – arriva un vociare costante. Disturbante per chiunque. Ma non per lui. Non per mio padre che è lo spacciatore diurno e autorizzato di una folla di uomini drogati, che lo amano e lo odiano e che, a sua volta, lui stesso ama e odia.”
“Mio padre lo immagino mentre attraversa la saletta e non si aspetta di fare quel lavoro per tutta la vita.Il Proprietario lo guarda da dove sta seduto e sorride, incorniciando con la bocca rugosa i denti ingialliti che stringono una sigaretta. Vuole davvero correre il rischio di diventare così?”
“E quando Varenne va a vincere tutti i giocatori che sono sotto al televisore esplodono agitando le braccia in aria con i loro pezzettini di carta stretti in una mano, imitando Giampaolo Minnucci, il guidatore, che nel frattempo esulta sullo schermo.”
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In copertina: Jacke La Motta
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