Quando raggiungo la Notübernachtung di Motz, nella Weserstrasse 36 a Friedrichshain, il sole è appena tramontato. Anche se le temperature continuano a restare alte, le giornate cominciano ad accorciarsi, lasciando sempre più spazio all’imbrunire della sera. È la fine di agosto a Berlino.
Sotto il portone ci sono quattro senzatetto, stanno bevendo del vino da un cartone e chiacchierano animatamente. Li supero e suono il citofono. Oltre il cortile, al primo piano, la porta rossa è aperta e basta spingere appena per spalancarla del tutto.
Motz & Co e.V. è un’organizzazione no-profit, fondata nel 1995, che si autofinanzia attraverso una ditta di traslochi, gestendo un negozio dell’usato e promuovendo la vendita di giornali di strada Motz e Motz-life.
Motz si occupa di senzatetto e, in particolare, di dare a queste persone un lavoro che, anche se poco remunerativo, possa reintrodurli nella società e allo stesso tempo possa renderli responsabili del proprio destino. L’organizzazione gestisce, inoltre, la Notübernachtung, ossia la struttura d’accoglienza per persone senza fissa dimora nel cuore di Friedrichshain.
La sede principale, ovvero dove hanno luogo l’attività di redazione del giornale e quella di coordinamento della ditta di traslochi, si trova a Kreuzberg, a Zossener Strasse 56.
L’ufficio fa parte di un complesso industriale sapientemente rinnovato che ospita studi fotografici, aziende e altre associazioni no-profit. La sede viene utilizzata come deposito principale per i materiali che vengono recuperati durante i traslochi. Molte abitazioni vengono sgomberate in fretta, magari alla morte dei genitori, i figli non sanno come disfarsi delle cose che vi si trovano all’interno e Motz si incarica di recuperarle e venderle.
Delle sembianze di un ufficio, la sede, ha perciò ben poco: strati di mobili e oggetti si accumulano su altrettanti strati di mobili e oggetti.
Stefan mi racconta che spesso gli arrivano anche articoli scritti a mano, su pezzi di carta sgualcita
Stefan Peter, uno dei principali responsabili dell’associazione, mi accoglie sorridente. Sposta alcuni scatoloni in modo da liberare una grande poltrona, simile a un trono, sulla quale mi posso accomodare. Lui siede, invece, su un treppiede bianco e, scusandosi dell’allergia che gli fa costantemente colare il naso, mi racconta del suo lavoro.
Stefan lavora a Motz da più di dieci anni. Mi spiega che l’attività di traslochi e sgomberi è molto redditizia, poiché da un lato permette all’organizzazione di finanziarsi e dall’altro consente di reintrodurre nel mondo del lavoro alcuni ragazzi ospiti della struttura d’accoglienza. Come mi sarà spiegato più avanti, è un lavoro duro che richiede impegno ed energia e aiuta a verificare se la loro condizione fisica permette ancora di svolgere un lavoro, o se ci sia bisogno, invece, di sostegno e aiuto per tornare in forze. Più facilmente i ragazzi riacquistano energia fisica, più il loro reinserimento nel mondo del lavoro ne sarà avvantaggiato. La lavagna dietro la scrivania di Stefan è ricoperta di post-it e fogli con annotati i dettagli degli appuntamenti: è la fine del mese e di traslochi ce ne sono molti. Anche il telefono continua a squillare, per lo più sono persone che hanno bisogno di un aiuto immediato nel liberare case e soffitte.
Nella sede di Zossener Strasse ha dimora la redazione di Motz, il giornale storico della capitale tedesca. Nato nel 1995 era redatto da una trentina di persone. Adesso, mi spiega Stefan, la redazione è composta da tre persone fisse, mentre molti articoli arrivano da collaboratori esterni, disponibili a scrivere regolarmente. Il Motz segue da sempre una linea giornalistica precisa: si occupa del problema dell’aumento degli affitti, della gentrificazione, della povertà. Gli argomenti vengono decisi di anno in anno, con lo scopo di risaltare aspetti e problematiche della società berlinese contemporanea. Stefan mi racconta che spesso gli arrivano anche articoli scritti a mano, su pezzi di carta sgualcita. Molte persone s’interessano di questi temi e vogliono esprimere la loro opinione. Il lavoro di redazione, in questo caso, è volto a riesaminarli ed editarli affinché possano essere stampati. Oltre alle regolari uscite bisettimanali di Motz, vanno aggiunti anche alcuni numeri di Motz-life, l’edizione del giornale interamente redatta dai senzatetto, spesso ospiti della struttura d’accoglienza di Weserstrasse.
Una volta stampati, i due giornali, vengono venduti ai senzatetto stessi al costo di 0,40 centesimi la copia. Questi saranno poi rivenduti a 1,20 euro, garantendo un guadagno immediato di 0,80 centesimi ai rivenditori. I giornali vengono distribuiti in differenti luoghi della città: presso la sede stessa della redazione a Zossener Strasse, dal lunedì al venerdì dalle ore 9.00 alle 16.00, nella struttura d’accoglienza, aperta tutti i giorni dalle 07.00 a mezzanotte, e all’interno di un bus situato dinnanzi la U-Bahn di Nollendorfplatz. Il bus è aperto ogni giorno dalle 9.00 alle 19.00, mentre la domenica rimane aperto dalle ore 12.30 alle 18.30.
Motz è il giornale di strada più antico e forse più amato di Berlino.
Oltre a Motz, anche il bisettimanale Strassenfeger viene venduto da senzatetto o persone bisognose all’esterno dei supermercati o sulle banchine delle metropolitane.
Entrambi trattano temi sociali, con un particolare riguardo alle questioni più spinose, che possono interessare chi è in difficoltà, come problematiche riguardanti i sussidi di disoccupazione o il mercato del lavoro. Lo Streem invece è un giornale che si occupa prevalentemente di arte, ad uscita trimestrale, e che le persone in difficoltà ottengono gratuitamente. Lo scopo di Streem, oltre a permettere ai venditori di tenere interamente il guadagno di 1,50 euro, è promuovere eventi di arte e cultura in una maniera differente, avvicinandosi a un pubblico più vasto.
Stefan si fa largo tra alcuni scatoloni per regalarmi delle edizioni passate di Motz.
Sono disposte ordinatamente su uno scaffale, dietro il quale la vetrata lascia intravedere la rossa Heilig-Kreuz-Kirche. Il massiccio tavolo di legno che vi si trova davanti è ricoperto di libri. Stefan mi spiega che per finanziarsi, Motz & Co e.V., si occupa anche della vendita on-line di libri antichi. É un’attività che non frutta molto: dal prossimo autunno i libri saranno venduti al mercatino domenicale di Boxhagener Platz, dove, secondo Stefan, il ricavato potrebbe essere maggiore.
“Motz è completamente autofinanziato” ribadisce, spiegandomi che spesso gli aiuti che vengono offerti alle associazioni no-profit sono limitanti.
“Preferiamo essere poche persone, non guadagnare molto, ma essere sicure di ciò che facciamo e di come possiamo aiutare chi ha bisogno” continua.
Mi racconta che nella casa d’accoglienza sono loro stessi ad offrire un primo servizio di assistenza, indirizzando chi ha bisogno presso medici, servizi sociali e centri di disintossicazione, senza bisogno di intermediari o intervento di terzi.
Il telefono riprende a squillare e nella stanza cominciano ad entrare alcune persone, probabilmente i traslocatori di Motz. La giornata si preannuncia frenetica, lascio Stefan al suo lavoro ed esco. La temperatura è decisamente elevata per la capitale tedesca, in strada solo pochi turisti accaldati. Chi ha potuto, oggi, ha trovato refrigerio nei laghi e nelle piscine.
Lascio alle mie spalle la sede di Motz e mi dirigo verso un altro punto cardine dell’associazione, il negozio dell’usato nella centralissima Friedrichstrasse, al numero 226.
Andreas apre il negozio, come tutti i giorni, alle dodici in punto. Fuori si sono già radunati un gruppo di clienti che impazienti sbirciano attraverso le vetrine. Il locale è abbastanza grande, oltre a vestiti e libri si possono acquistare anche mobili pregiati. Ci sono piatti, tazzine, peluche e puzzle in vendita. Dei ragazzi di origine rom sono i primi ad entrare, l’unica ragazza è incinta e la pancia è evidente; comprano una collana di bigiotteria per due euro ed escono soddisfatti. Il negozio, gestito da Andreas e altri collaboratori, si regge sul principio della solidarietà. Chiunque voglia donare qualcosa può portarlo direttamente lì: il ricavato della vendita sarà utilizzato in toto per finanziare Motz e la struttura d’accoglienza di Weserstrasse.
La mobilia provengono in gran parte dall’attività di traslochi e sgombera-cantine, mentre vestiti, argenteria e giocattoli sono frutto di donazioni di singoli oppure resti di qualche negozio chiuso. Uno stock di magliette bianche con stampata la bandiera d’Italia e la scritta ‘Bye Bye Berlusconi‘ richiama la mia attenzione mentre, al mio fianco, un’anziana coppia di signori tedeschi rovista dentro una cesta di vestiti di diversi colori e tessuti: ‘un pezzo due euro, tre pezzi cinque’.
Andreas è di corporatura robusta, mani forti da lavoratore e sul viso un’espressione sincera. Lo sguardo diretto lascia intendere che, qualunque parola uscirà dalla sua bocca, sarà vera, nuda e cruda, che questo possa piacere o meno. Indossa una canottiera nera e un pantalone corto, regala un sorriso a chiunque entri nel negozio. È lui ad invitarmi quella sera nella struttura di accoglienza di Friedrichshain, vorrebbe preparare la pasta fatta a mano e ha bisogno di aiuto.
La struttura è aperta ogni giorno dell’anno e ad ogni ora del giorno, questo la differenzia da molte altre strutture berlinesi, dove i senzatetto vengono ospitati solamente per la durata della notte.
“Da Motz vogliamo garantire almeno otto ore di sonno tranquillo ai nostri ospiti” mi dice Andreas “e oltre al riposo, c’è sempre un pasto caldo che li aspetta”.
Andreas è seduto in cucina, insieme a lui c’è Christophe, un ragazzo francese dai capelli neri corti e occhi chiari. Mi racconta che è un fotografo e sono buoni amici. Anche lui è stato per un po’ uno dei rivenditori di Motz; i soldi scarseggiavano, mi dice, e ha preferito trovare un modo onesto per racimolare qualcosa, invece di dover chiedere prestiti e favori ai suoi genitori. Adesso collabora con il giornale, curando la parte fotografica e scrivendo, di tanto in tanto, qualche articolo. Christophe è di casa a Motz, tutti lo conoscono e affettuosamente lo scherniscono poiché per lui, vegetariano, utilizzare la cucina comune è spesso un problema.
“Molte persone vengono qui anche solo per mangiare” mi dice “spesso non hanno la cucina dove vivono, oppure non hanno un altro posto dove andare”.
Andreas mi mostra il contenuto del frigorifero più grande, chiuso da un lucchetto. É il frigorifero che contiene gli ingredienti per cucinare: per lo più carne, uova, verdure. Estrae fiero due cassette di champinones che ha ricevuto come offerta da Edeka e con i quali vuole preparare una salsa ai funghi.
“Ci sono altri due frigoriferi qui in cucina” mi dice “uno per gli ospiti che contiene, ad esempio, il latte per la colazione e uno per chi è solo di passaggio, ma che comunque ha fame”.
Anche chi non pernotta nella casa d’accoglienza può accedere alla struttura.
“Vengono ragazzi a comprare il giornale, oppure solo per lavarsi” continua Andreas.
“Il terzo frigorifero serve a loro, lo riempio con yogurt e cibi preconfezionati e di solito non rimane pieno mai a lungo”.
É entrato un ragazzo che di anni potrebbe averne venti come cinquanta, scuro di pelle e senza denti. Sta a malapena in piedi e biascica parole in un tedesco.
Mentre Andreas m’illustra la cucina, dove le spezie sono pazientemente ordinate in fila l’una accanto all’altra, entra una ragazza. Non più di trent’anni, carnagione olivastra coperta da piercing e tatuaggi. Vuole sapere se è ancora possibile fare una doccia, la giornata è stata molto calda e vorrebbe potersi rinfrescare. A patto che i suoi tre cani restino in cortile e non salgano in casa, Andreas acconsente e lei in un attimo sparisce dietro la porta bianca del bagno.
Il bollitore e la macchina del caffè provengono dal negozio dell’usato, e nel complesso la cucina è ordinata e non manca nulla.
“È molto importante che i nostri ospiti possano cucinare, tenere pulito e avere cura degli spazi comuni” mi dice Andreas.
La struttura è organizzata, come una grande famiglia, ogni ospite ha un compito e un dovere. Ognuno ha un ruolo, chi si occupa di preparare la colazione, chi il pranzo e chi della pulizia del bagno comune. Inoltre bisogna preoccuparsi della vendita dei giornali che avviene tutti i giorni nella Weserstrasse.
Accanto alla finestra, un comodino funge da scrivania. Seduto sulla poltrona nera di pelle, un ragazzo dai capelli scuri. Quella sera tocca a lui distribuire il Motz, ha il turno serale, dalle 19 alle 24. Di lavoro ne ha parecchio, in cucina è un via vai di gente: una ragazza, poco più che maggiorenne e dai capelli viola, entra di corsa a comprare quattro euro di giornali.
Andreas mi spiega che la vendita è molto importante nella realtà delle persone che frequentano la struttura. Permette di riacquistare un ruolo attivo all’interno della società, di ritagliarsi uno spazio e ottenere dei soldi onestamente. Mi dice che se ci s’impegna si riescono ad ottenere fino a trenta euro a settimana, dei quali, togliendone almeno cinque per le sigarette, ne restano in tasca circa venticinque.
“É importante che le persone si rendano conto che possono cambiare modo di vivere e che non è tutto perduto” dice Andreas “la cosa che conta è la voglia di cambiare”.
Motz si propone di aiutare concretamente chi ha deciso di migliorare le proprie condizioni. È il punto di partenza per una nuova vita.
Andreas stesso ha vissuto per molti anni sulla strada.
“L’alcool” afferma “è la peggiore droga di tutte, peggio della cocaina, dell’eroina. L’alcool ti trasforma e ti rende schiavo”.
Mi racconta che Motz l’ha aiutato a cambiare; ha venduto anche lui i giornali per quasi otto anni, riuscendo a risparmiare abbastanza soldi per potersi comprare un computer con il quale ha ripreso a lavorare. Anche se ci tiene a precisare che lui non è il capo, Andreas lavora sodo ed è diventato un punto cardine della struttura. Con il suo computer scrive anche articoli di Motz.
“Mi piace poter scrivere su questo giornale” dice sorridendo “perché posso dire tutto ciò che davvero penso e provo”.
L’aria in cucina è viziata, si è riempita di fumo di sigarette e delle nostre parole. Ci alziamo e percorriamo il corridoio che conduce alle stanze da letto. Alle pareti sono appese fotografie senza cornici che ritraggono un cane lupo e quello che, probabilmente, è il suo padrone. Le stanze sono abbastanza spaziose, i letti semplici, in legno, ospitano le vite di quattro persone a camerata. La prima è dove dorme Mike, di origine svedese, vende il Motz sulla Friedrichstrasse da più di quindici anni. La televisione è spenta, una tazza di caffè abbandonata su una mensola, il suo profumo riempie la stanza. Un poster dei Simpson e una cartina d’Europa colorano la parete principale. Mike è alto e robusto, il viso pulito e lo sguardo diretto e sorridente. Lui è ospite fisso della struttura di Motz, anche grazie al loro supporto ha smesso di bere.
Nella seconda camera giace sul letto un ragazzo a petto nudo. Andreas m’informa che è polacco e che entro qualche giorni dovrà lasciare la struttura. Purtroppo non ha smesso di bere.
“Per poter dividere la camera con altre tre persone” spiega “è fondamentale che tutti seguano gli stessi comportamenti. Droga e alcool sono proibiti nella struttura, chiunque ne faccia uso deve essere allontanato”.
“I senzatetto parlano tra di loro. Spesso si avvicinano a Motz grazie al passaparola. Non possiamo, però, accogliere chiunque. Noi offriamo un servizio di consulenza, indirizziamo presso enti di disintossicazione, entriamo in contatto con il Job Center e cerchiamo di far ottenere una copertura sanitaria. L’importante è che le persone siano motivate a cambiare i loro comportamenti. Non possiamo permetterci che qui dentro entri anche solo una bottiglia di vino, altrimenti chi è riuscito a disintossicarsi, prima o poi, ci potrebbe ricadere”.
Proprio a rafforzare il discorso di Andreas, dalla cucina arriva della confusione. É entrato un ragazzo che di anni potrebbe averne venti come cinquanta, scuro di pelle e senza denti. Sta a malapena in piedi e biascica parole in un tedesco che fatico a comprendere. Andreas alza la voce, lo incita ad andarsene; ha il divieto di entrare nella struttura. Il ragazzo insiste, ride, gira su se stesso, finché non viene accompagnato fuori.
Andreas mi ripete che non tutte le persone possono essere aiutate e che gli ospiti della struttura vanno in qualche modo tutelati. “La cosa peggiore al mondo” dice “sono le bugie che raccontiamo a noi stessi”.
L’aiuto concreto e psicologico che la struttura offre serve solo se accompagnato alla sincera volontà di cambiare.
Le luci del giorno si sono ormai definitivamente spente su Berlino. Di fare la pasta Andreas non ha più voglia. Prima che io vada, affetta un grosso salame che conserva nel frigorifero più grande, ne incarta grossolanamente un pezzo e me lo regala. Lascio la casa di Weserstrasse mentre gli ospiti si apprestano a coricarsi. C’è ancora qualcuno che vuole entrare e si affretta a salire le scale.
Quando la frizzante aria serale m’investe, mentre mi dirigo verso casa, ho la netta impressione di stare portando con me molto più che un semplice pezzo di salame incartato alla buona.
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foto copertina: © Christophe Gateau
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