Forse non tutti lo sanno, ma Belfast, nel cuore della civiltà europea, è una città squarciata. Peace Lines le chiamano, Linee di Pace. Sono muri, barriere, cancelli, strade interrotte, checkpoint militari e zone di coprifuoco controllate dalla polizia, come se fossimo in guerra. Tagliano in due i quartieri più caldi della città, Shankill, Ardoyne, Short Strand, aree di interfaccia, per utilizzare il termine tecnico con cui vengono definite, localizzate nei “punti territoriali con forti connotazioni politiche, etniche e religiose“. Sono passati più di quindici anni dal 10 aprile 1998, la data in cui governo britannico ed irlandese firmarono il famoso “Accordo del Venerdì Santo“ (Good Friday Agreement), cercando di mettere una parola finale al processo di pace in Irlanda del Nord, eppure è ancora questo il clima di tensione che si respira a Belfast. Una convivenza difficile fra due comunità separate, divise, ancora troppo distanti, un sistema sociale profondamente permeato da un meccanismo di segregazione religiosa la cui natura ideologica è ormai percepita come naturale. Da una parte i cattolici repubblicani, che si sentono irlandesi e vorrebbero unirsi a Dublino, dall’altra i protestanti unionisti, fedeli alla madre Inghilterra e determinati a restare sotto il comando di Londra.
Per anni ho pensato che tutto questo sarebbe diventato più semplice una volta cancellato il ricordo, la memoria, una volta che avremmo potuto mettere da parte il passato, che è una ferita difficile da chiudere
“C’è qualcosa in questo conflitto, in questa separazione, che anche noi che operiamo sul campo stentiamo spesso a comprendere. È il processo, in un certo senso perfetto, attraverso cui il senso di identità, di appartenenza, e contemporaneamente la sensazione di distanza degli uni dagli altri, è stato trasmesso, viene trasmesso, attraverso le generazioni. Per anni ho pensato che tutto questo sarebbe diventato più semplice una volta cancellato il ricordo, la memoria, una volta che avremmo potuto mettere da parte il passato, che è una ferita difficile da chiudere, ripartendo da zero con i ragazzi più giovani, ma mi sbagliavo: spesso i figli sono più duri e determinati dei padri nel voler conservare il loro punto di vista“. Roisin McGlone è una pioniera del lavoro di mediazione sociale nella capitale nordirlandese. Inter-Action Belfast, di cui è direttrice, cerca di sostenere le relazioni fra le comunità e di ridurre i numerosi episodi di violenza e conflitto su base religiosa e politica, purtroppo ancora all’ordine del giorno. Grazie ad un gruppo composto da più di 30 referenti sparsi in ogni quartiere della città, Roisin ha dato vita ad MPN, Mobile Phone Network, una rete che previene e monitora costantemente gli incidenti e le situazioni di tensione che si sviluppano lungo le zone più a rischio:”abbiamo cominciato nel 1996 con due cellulari che pesavano un quintale l’uno. Sembrava una trovata stupida e invece abbiamo scoperto che funzionava. Il nostro referente ad Ardoyne (uno dei quartieri caldi di Belfast) si accorgeva che qualcosa non andava, che so, una bandiera dell’Eire sventolata nel posto sbagliato, oppure l’inizio di una rissa, ci chiamava subito e una nostra unità si dirigeva nel quartiere e metteva d’accordo le parti. È così che abbiamo deciso di costruire il network e che ancora oggi svolgiamo la nostra opera di pace“. Roisin crede ciecamente nel dialogo ed anche per questo dal 2000 si è impegnata nell’organizzazione di quelli che chiama Interface Meeting Integration, delle riunioni settimanali in cui le comunità cattoliche e protestanti si incontrano condividendo la cena e chiaccherando delle loro vite:”è il progetto più difficile che abbiamo portato avanti come organizzazione– spiega Roisin – ma ci crediamo, perchè non si può teorizzare l’íntegrazione a parole. Purtroppo in tanti ritengono che la soluzione passi solo per la politica, mentre io resto convinta che sia possibile cambiare le cose innanzitutto partendo dal basso. Se ci pensiamo un attimo, i partiti hanno in verità tutto l’interesse affinchè la situazione resti immobile, la loro forza risiede nella divisione, negli estremismi, per questo il cambiamento va costruito a partire dalle persone”.
La visione della Mcglone è quella dei tanti nordirlandesi moderati che guardano alla situazione in maniera equilibrata. Negli ultimi 10 anni nè il Sinn Fein, il maggior partito cattolico e nazionalista irlandese, nè il Democratic Unionist Party, la sua controparte protestante e unionista fedele a Londra (vale a dire i due partiti che secondo un complesso sistema di suddivisione ideologica degli incarichi reggono insieme l’esecutivo nazionale) hanno infatti implementato alcuna seria politica di normalizzazione della vita quotidiana a Belfast. Per questo anche il successo del progetto di rimozione delle Peace Lines entro il 2023, sottoscritto nel maggio 2016, appare un provvedimento di facciata, buono per sostenere le pressanti richieste di dialogo giunte da parte della comunità internazionale, ma al momento impossibile da raggiungere.
a me piace il calcio gaelico, ma tu sai che qui è considerato uno sport cattolico e nazionalista, uno sport irlandese, quindi devo fare attenzione, perchè se andassi in giro con una maglia di un club di calcio gaelico, allora tutti mi considerebbero un provocatore nazionalista
“Vivere a Belfast significa entrare in un meccanismo per cui ogni decisione, ogni scelta, assume un carattere politico. Chi vive qui lo sa, ed anche se non è interessato alla battaglia idelogica deve farci i conti nella vita quotidiana. Per esempio a me piace il calcio gaelico, ma tu sai che qui è considerato uno sport cattolico e nazionalista, uno sport irlandese, quindi devo fare attenzione, perchè se andassi in giro con una maglia di un club di calcio gaelico, allora tutti mi considerebbero un provocatore nazionalista. In molti si chiedono come sia possibile, in fondo si tratta solo di uno sport, ma qui davvero il conflitto ha messo radici profonde dentro tutto il tessuto sociale, pensa che anche alcuni centri commerciali sono divisi su base religiosa.” A parlare è Ray Mullan, direttore della comunicazione del Community Relations Council, una grande organizzazione nata nel 1986 che si occupa della promozione della diversità culturale e delle relazioni fra cattolici e protestanti ad ampio raggio, operando sia con progetti sul campo che a livello istituzionale. “Io sono fiducioso. Noi finanziamo progetti, lavoriamo dentro le chiese con i gruppi religiosi, cerchiamo di incoraggiare il dibattito con delle campagne istituzionali di grande portata ed i risultati, anche se lentamente, arrivano”- spiega Mullan – “In alcuni quartieri a North Belfast siamo riusciti, lo scorso mese di ottobre, a convincere i rappresentanti delle comunità di zona a lasciare aperti due cancelli di accesso che limitavano il traffico fra aree unioniste e nazionaliste. Ci sono centinaia di queste barriere in tutta la città e noi dobbiamo sbloccarle una dopo l’altra, perchè la rimozione di queste separazioni fisiche opera anche a livello mentale ed allontana quella paura che continua ancora oggi ad alimentare la distanza fra comunità. Certo è complicato, ed in questo senso la questione della segregazione scolastica, dal mio punto di vista, rappresenta il problema più spinoso.”
Secondo i dati del Ministero dell’Educazione, il 90% dei giovani nordirlandesi frequenta scuole separate per credo religioso, una condizione che evidentemente non aiuta il processo di integrazione e favorisce, secondo gli studi portati avanti dalla Cambridge University, le unioni matrimoniali interne al proprio gruppo di appartenenza, oggi stimate intorno all’86% dei riti celebrati ogni anno in Irlanda del Nord. “Abbiamo bisogno di modelli per i giovani, di esempi di condivisione, e il sistema scolastico attuale invece non fa altro che fomentare le divisioni. Si è provato a creare delle scuole integrate, ma i numeri dicono che non funzionano, e io so perfettamente perchè: l’approccio è sbagliato. Se si vuole cercare di mettere insieme le due culture, allora è opportuno dialogare con le comunità, coinvolgere le chiese e capire come si possa strutturare un nuovo sistema a partire dalle fondamenta. Creare delle scuole dal nulla, gestite dallo Stato, è inutile, perchè le famiglie non ci manderanno mai i propri figli e tutto seguirà nello stesso modo. Anche il modello proposto dalla chiesa cattolica non funziona. Loro dicono “mandate nelle nostre scuole i vostri figli, anche se non sono cattolici“, ma è chiaro che non si troveranno mai delle famiglie protestanti disposte a farlo ed è comprensibile, perchè non c’è dialogo in questo modo, ma solo imposizione. Noi dobbiamo lavorare insieme per integrare le culture fra esse, non per farle assimilare sterilmente da una parte o dall’altra. Lo sport ci ha dato alcuni modelli, in questo senso, che possiamo e dobbiamo seguire.” Mullan si riferisce al rugby, uno degli sport che insieme a cricket ed hockey mette insieme irlandesi e nordirlandesi in un unico team nazionale, con una bandiera congiunta ed un inno, Ireland’s Call, appositamente composto nel 1995 e diventato oggi il motivo simbolo di tutti coloro i quali sostengono la causa di un’isola irlandese finalmente libera da qualsiasi conflitto politico e religioso.
È a partire da questi piccoli segnali che Belfast sta cercando di rifondarsi dopo anni di lotte. The Troubles (I guai), come sono stati soprannominati gli scontri andati avanti dal 1960 al 1998, hanno lasciato sul campo quasi 4.000 morti e 50.000 feriti, numeri enormi per un territorio ridottissimo come quello dell’Irlanda del Nord, che raccontano meglio di qualsiasi altra descrizione la ferita profonda di tutto un paese che non ha ancora finito di fare i conti con il suo passato. Appena fuori dal centro, camminando al limite dell’imbrunire su per Artrim Road, l’arteria che da Belfast arriva sino al piccolo centro di Dunadry, si avverte una tensione silenziosa fatta di bandiere che sostengono formazioni paramilitari, murales commemorativi e giganteschi cancelli che si chiudono fra i viali, a dividere gli uni dagli altri. In questa zona, nel Nord della città, da sempre considerata l’area più difficile di Belfast per lo stretto contatto fra repubblicani ed unionisti, vive anche Nicole Quinn, una giovane ricercatrice di sociologia della Queen’s University di Belfast.
vedi, passato il prossimo incrocio entriamo nell’area protestante. Lo capisci dalle bandiere del Regno Unito, le mettono ovunque per marcare il loro territorio.
Nicole, che è per metà italiana, ha una bellissima bambina ed è in attesa della sua seconda figlia, vive nella parte cattolica di North Belfast e ci accompagna in un giro notturno del quartiere. “Vedi, passato il prossimo incrocio entriamo nell’area protestante. Lo capisci dalle bandiere del Regno Unito, le mettono ovunque per marcare il loro territorio. Bisogna stare attenti, perchè magari qualcuno dei miei vicini mi vede in questa zona e partono i pettegolezzi: diventerebbe tutto molto più difficile, dal punto di vista sociale, per me e per la mia famiglia.” Secondo Nicole la città sta attraversando un periodo di mutamento profondo, ma bisognerà ancora avere molta pazienza prima che la situazione si stabilizzi: “quando tre anni fa ho visto per le strade del centro i primi turisti ho capito che forse stava davvero cambiando qualcosa. Qui non ci sono mai stati visitatori ed è una novità assoluta per Belfast sentire qualcuno che parla una lingua diversa. Addirittura c’è anche un po’ di immigrazione di lavoro, sia europea che extracomunitaria, tutte situazioni impensabili sino a poco tempo fa – continua nella sua analisi Nicole – Il punto è che quando vado in Italia, una o due volte l’anno, mi rendo conto che le persone non sanno nulla di Belfast, non conoscono la realtà di tensione della città, il suo passato, la memoria. Al massimo qualcuno si ricorda di una canzone degli U2 in cui si cantava di una domenica di sangue ma per il resto c’è il vuoto completo: per me questo è il problema più grande, il fatto che in Europa non ci sia informazione rispetto a quello che succede qui, abbiamo centinaia di muri che ci dividono in Irlanda del Nord, ma in Europa se pensi ad una barriere mica ti viene in mente Belfast, al massimo Gaza in Palestina, e invece no, il muro ce l’abbiamo qui, nel cuore del continente. Senza informazione non si produce pressione politica e ognuno può continuare a perseguire il suo interesse, lasciando la situazione immobile: è un concetto che vale soprattutto per i giovani, io penso alle miei figlie e pretendo che le cose continuino a migliorare.”
Di giovani e di costruzione del futuro si occupa anche Public Achivement, senza dubbio l’organizzazione più attiva in Irlanda del Nord per quello che riguarda progetti di educazione rivolti ai ragazzi. Con Wimps, un programma di giornalismo partecipativo che punta ad avvicinare i giovani alla politica (WIMPS sta per „Where is my public servant“, letteralmente „dov’è il mio impiegato pubblico?)“, Public Achievement ha costruito una struttura di contenuti media e professionalità che dal 2004, data di partenza del progetto, ad oggi, ha prodotto un numero incredibile di interviste, film, documentari, articoli, newletter, ed in generale ha raggiunto l’obiettivo di appassionare un grande numero di ragazzi al giornalismo, cercando al contempo di creare una memoria storica critica e condivisa. Davy Sims, un passato come produttore radio in BBC ed oggi alla testa del progetto Wimps, ci spiega:”l’idea è quella di far capire ai ragazzi che la politica è al nostro servizio e che dobbiamo andare a prendercela. Bisogna costruire un senso di cittadinanza comune per produrre cambiamento. Noi andiamo nelle scuole, nei quartieri, lavoriamo sul campo con i ragazzi e in tutti questi anni abbiamo sviluppato una piattaforma multimediale che genera contenuti interessantissimi, una realtà attiva sul territorio che organizza dibattiti, manifestazioni, eventi. Abbiamo una crew in ogni quartiere di Belfast, una web tv ed un giornale online seguitissimo. Penso che bisogna partire dalla passione che i giovani hanno per le tecnologie, per i media, e lavorare duro per accorciare la distanza che esiste fra loro e le istituzioni. Siamo partiti con pochi spiccioli, andando a cercare i ragazzi casa per casa, classe per classe. Oggi facciamo solo supervisione e stiamo cercando di estenderci il più possibile, andando oltre Belfast, eliminando tutti i confini territoriali. Non si può prescindere da questo approccio, bisogna lavorare con i ragazzi, è una responsabilità di tutti i nordirlandesi. Quando li avremo coinvolti, quando avremo raggiunto l’obiettivo di far sentire i nostri figli anche dei cittadini, a prescindere dalla provenienza religiosa ed ideologica della loro famiglia, allora avremo davvero fatto un grande passo verso la risoluzione del conflitto in Irlanda del Nord.”
Come Davy Sims, anche la maggior parte dei cittadini irlandesi rimasti fuori dalla battaglia ideologica è convinta che il futuro del paese passi dalle nuove generazioni e della comprensione che è possibile vivere insieme, a prescindere dalle proprie convinzioni politiche e religiose.
La foto di copertina è di Mauro Mondello
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