Notte. Mi sveglio per andare al bagno. Tastoni attraverso la stanza al buio per non svegliare gli altri e scalzo esco nell’aria pungente. La luna mi bagna di luce e tutto intorno il cielo è inondato di stelle. Mi viene in mente una vignetta di Calvin&Hobbes.
“Se la gente sedesse all’aperto e guardasse le stelle tutte le notti, scommetto che vivrebbe in modo molto diverso…quando scruti l’infinito, ti accorgi che ci sono cose più importanti di quelle che la gente fa tutto il giorno”.
Per andare al bagno qui in realtà basta allontanarsi un po’ nei campi. Ci sono delle dry toilets, ma sono solo per gli “escrementi solidi”, che poi verranno riversati nel compost. Mentre si è comodamente seduti sulla tazza, si può passare il tempo leggendo un foglietto sulla parete che ci dà il benvenuto in questa “magica alchemia”. In questo momento, ci dice un vermino disegnato, stiamo facendo la nostra parte nel cibare un ecostistema di vermi, microrganismi e “humanurists” che sono molto felici della nostra visita e ci ringraziano cordialmente. Sicuramente li colmiamo di gioia visto che, come dice Giulia Enders (autrice de L’intestino felice, titolo originale Darm mit Charme) ci sono più esseri viventi in un grammo di nostre feci che esseri umani sulla terra.
Sull’altra parete un volantino con la scritta eco-femme consiglia alle signorine la moon-cup invece di consumare infiniti assorbenti sbiancati chimicamente, ma questo, a parte il titolo, non ha traduzione in inglese, così mi ritrovo a fissare incantato una serie di caratteri greci e a provare a riprodurne il suono. Finito, invece di sprecare acqua scaricando, si ricopre con una manciata di segatura e si richiude la tazza. πολύ ωραία!, esultano i vermi.
Mi trovo ad Agiocampos, sull’isola (se isola si può chiamare) di Evia, in Grecia, a lavorare (o meglio, a dare un po’ di tempo ed energie) in cambio di vitto e alloggio.
Apostolos, 37 anni, capelli lunghi e una passione per la musica psytrans, con il padre Iorgos che ogni tanto lo aiuta, ha creato questa realtà sette anni fa, su terreni in parte ereditati dalla nonna, in parte comprati. Tornati da Atene, avevano aperto una taverna in paese, poi l’hanno chiusa e si sono votati alla permacultura. A gestire con lui il terreno c’è Anastasia, con l’accento sulla i, l’unica ad essere qui da molto tempo. Qualcun altro è qui da due anni, da due mesi, o solo per alcuni periodi. Li chiamano ecovillaggi, ma in realtà, eccetto i bagni e qualche altra oggigiorno scontata attenzione all’ambiente, di eco non hanno poi molto. La sostanza vera, che li contraddistingue, sta nei valori condivisi, nella forma comunitaria di sussistenza, nel “vivere alternativo”, in una diversa concezione del tempo, delle relazioni, dell’uso e del riuso, dello stare insieme.
Ad Agiocampos, ad esempio, la struttura si sostiene principalmente con workshop, festival, vendita di qualche prodotto (marmellate, tinture, saponi, essenze raccolte qui intorno) e con il contributo che i visitatori di passaggio sono invitati a lasciare, per il valore consigliato di 12 euro al giorno, per dormire, mangiare, imparare e godere: tutto compreso. Anche gli ecovillaggi evidentemente, come tutto – dal bio al volontariato – stanno diventando un business: Free and Real è un progetto sempre più grande.
Ed in effetti il mondo ne è sempre più pieno, di queste comunità alternative che una volta venivano chiamate, semplicemente, “comuni”.
Guillaume, disegnatore con una passione per il Giappone, ospite da qualche giorno, non ha dubbi che questo sia il futuro e qualcuno, come il mio amico Pietro, parla addirittura di un nuovo rinascimento culturale, paragonabile alla nascita dei comuni. Sicuramente queste comunità non sono nate adesso e invero non erano del tutto originali neanche negli anni ’60: basta pensare a S. Francesco o ai primi cristiani, che “vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano; vendevano le loro proprietà e i loro beni e distribuivano i soldi fra tutti, secondo le necessità di ciascuno” (Atti degli Apostoli 2, 44-45)
Forse, chissà, dei paleo-hippie esistevano già tra i sumeri o al tempo dei primi insediamenti civilizzati di 50.000 anni fa. I profeti, in fondo, sono sempre esistiti.
C’è in qualche misura, nel nostro tempo, una nuova tensione verso un’esistenza più antica. In tanti sognano oggi di trasferirsi a vivere in campagna e ciò fa ben sperare: la velocità delle comunicazioni permette alle idee di propagarsi rapidamente e così qui, in Grecia, sono in molti a vivere la loro prima esperienza di vita comunitaria.
“Waste” (anche di tempo) “is the highest virtue one can achieve in advanced capitalist society” (Dance Dance Dance, Murakami, 1988).
Samia, francese di famiglia marocchina, è qui da due settimane a studiare il “fenomeno ecovillaggi” per la sua tesi in sociologia e intervista alcuni di noi. “Che cosa ti ha portato qui?” ci chiede. La risposta è la storia di una vita. Provo a spiegarle e a spiegarmi cosa esattamente non posso soffrire della vita di città, ben oltre il traffico e il sentirmi inscatolato tra muri di cemento: la diversa concezione del tempo, credo, è ciò che davvero fa per me la differenza. In città, cerco di spiegare parafrasando Eckhart Tolle, siamo sempre disconnessi dal momento presente, sempre stressati pensando a dove dobbiamo arrivare, al prossimo impegno, per quanto piacevole, sulla nostra agenda giornaliera. “C’è sempre un momento futuro che consideriamo più importante. Qui, invece, non si vive di molto, ma si vive ogni istante per quello che è, a pieno: vale a dire, un istante”. Mi sento un po’ un fricchettone new age, il punto è che probabilmente lo sono.
Le giornate nella comunità scorrono con calma. Si lavora non più di quattro ore al giorno. Ci si sveglia senza regole, chi prima chi dopo, una volta sorto il sole. Non ci sono orologi, nè calendari.
Il villaggio è costituito da alcune yourte e da una serie di edifici in muratura o legno (tutto assolutamente autocostruito) immersi in un rigoglioso giardino di odori, spezie e alberi da frutto. Con una passeggiata agevole si è al mare per una nuotata (siamo ad ottobre, ma di giorno fa ancora caldo e il sole scotta). Tornando indietro ci si può fermare a cogliere un melograno, un fico o qualche mora, anche se la stagione è ormai agli sgoccioli. Qualcuno si risveglia con lo yoga, qualche altro si rilassa con un po’ di stretching, qualche altro ancora canta. Spesso tra un pasto e un altro (rigorosamente tutto vegan) ci si rilassa in modo semplice, si chiacchera, ci si massaggia, si gioca con i gatti. In fondo, sembra proprio che, accontentandosi di poco, la vita sia tutta da godere.
Samia, tra le sue domande, ci chiede se rinunceremmo al progresso. Non sono il solo a risponderle che non bisogna tornare indietro, cancellare quello che si è guadagnato, quanto, piuttosto, concentrarsi su quello che di buono abbiamo perso per strada. In linea generale, non ci sono posizioni nette contro la tecnologia, contro il progredire dei tempi, anche se, lo confesso, se servisse, io potrei pure rinunciare a tutto, potrei tranquillamente rinunciare persino ai libri, se solo ci servisse per tornare a saper vivere, o alla mia vita.
Ogni ecovillaggio è fondamentalmente diverso dagli altri, eppure l’esistenza quotidiana, ridotta all’essenza, è sempre la stessa. Fatta di esperienze, di scambi, di incontri. Basma, d’origine egiziana, legge i fondi del caffè; Arthur, francese, programma la sua nuova app; Felix, dalla Svezia, legge un libro; Nina (Olanda) balla al ritmo di un mantra indiano; Spiros, greco, costruisce una cassettiera con della legna riciclata. Samia mi chiede se credo questo sia il futuro, ma io non so rispondere: preferisco pensare al presente.
La luna è ancora lì, alta nel cielo, gigante, e mi fissa: chissà che cosa mi vuol dire. Seguo la cintura di Orione e poi mi fermo ancora un po’, incantato, ad osservare le piccole Pleiadi, perso nei meandri del cosmo. Una stella cadente, emozionante, attraversa il cielo. Un desiderio? Non ne ho nessuno, ho fede e sono felice. Torno a letto col sorriso, pensando ad American Beauty, “Il cuore mi si riempie come un palloncino che sta per scoppiare; poi mi ricordo di rilassarmi, e smetto di cercare di tenermela stretta, e dopo scorre attraverso me come pioggia, e io non posso provare altro che gratitudine, per ogni singolo momento della mia stupida, piccola, vita. Non avete la minima idea di cosa sto parlando, ne sono sicuro, ma non preoccupatevi: un giorno l’avrete”.
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