Gustavo Pringklow non aveva mai guardato le stelle. Certo le aveva viste, intraviste a volte, ma mai si era soffermato ad osservarle così pensieroso, fino a quell’estate dei suoi sette anni. Con suo zio sedevano sulla terrazza in riva al mare: fissavano il cielo. Ad un certo punto, così dal nulla, Gustavo esclamò “Certo che vanno proprio veloce”. Lo zio rimase un po’ stordito e ridacchiando sotto i baffi chiese meglio spiegazioni. “Vanno velocissime, lassù: per quello fuori non si vedono”. “Fuori dove?” “Fuori da noi”. Lo zio non indagò oltre, quella sera, ma la conversazione gli rimase impressa, tanto che le trascrisse a margine di un suo taccuino. Un giorno di novembre di quello stesso anno, andando a vedere l’orto botanico con il suo nipotino, lo zio venne nuovamente stordito da una frase, che diligente annotò sul taccuino, assieme alla conversazione che ne seguì: Gustavo guardando un filo d’erba del prato davanti l’ingresso lentamente commenta:
– E pensare che lì dentro ci si sta così larghi.
– Lì dentro dove? nella foglia?
– Sì tra uno spazio e l’altro.
– Tra uno spazio e l’altro di cosa?
– Del dentro la foglia
A questo punto lo zio volle analizzare il caso nel dettaglio più chiaramente, così iniziò a provocare Gustavo con alcuni pretesti, quel pomeriggio e nei giorni seguenti. Guardando una lumaca sullo schermo di un foglio lo zio chiese al giovane Pringklow se fosse per lui lenta o veloce, e quello rispose in tutta sicurezza che dipendeva: “veloce o lenta rispetto a cosa?”. Allo stesso modo, della folla accalcata in un vagone del treno all’ora di punta della grande città, Gustavo, interpellato, non seppe dire esattamente se fosse piena o vuota, ma affermò “c’è spazio per un mucchio di formiche lì dentro: per loro è bello largo”. Per essere precisi il giovane Pringklow asserì anzi che di spazio ce n’era un “mucchissimo” e così riportò lo zio nei suoi poi celebri taccuini. Era un bambino, in fondo, e i bambini dicono tante di quelle frasi magiche, a volte un po’ sceme, ma che a noi grandi fanno riflettere.
In quei giorni lo zio non pensava certo che suo nipote sarebbe diventato il famoso G. Pringklow, ma pure prese ad interessarsi in modo quasi morboso a quelle disfunzioni spaziali del bambino. Forse aveva una dislessia delle misure, o un problema di percezione. Specialisti che facessero al caso non gliene vennero in mente, così si dedicò ad un approfondito scambio di vedute con il piccoletto.
-Quando dici che nella foglia c’è spazio, o che le stelle vanno veloci, cosa intendi esattamente?
-È come tra me e te, no? Ci sono un sacco di cose tra me e te, anche se vediamo solo l’aria: c’è anche il sole e il vuoto e un sacco di cose. E anche se mi prendi in braccio e l’aria non c’è più possiamo ancora dire che c’è un mondo di cose tra me e te, no? Sennò saremmo io te e tu me, o saremmo uguali. E poi lo vedi, che per una formica la foglia è tanto grande, mentre per te è tutta uguale. E chissà tra la formica e la foglia quante cose ci sono.
Certo Gustavo aveva a questo punto quasi otto anni, eppure allo zio, così riporta, non impressionava tanto il discorso che quel bambino faceva, quanto piuttosto il modo: sembrava chiedere conferma che quello che diceva e pensava potesse avere un senso.
– E le stelle che vanno veloce?
– Per chi le guarda da fuori.
– E per noi?
– Per noi sono…normali .
– E allora tu perché hai detto che andavano veloce?
– Mi sono immaginato di starci sopra, e poi di stare su una cosa più grande e più lenta che le vedesse andare veloce, tanto veloce da essere uno.
In poche parole, così tramanda lo zio, suo nipote lo fece sedere appollaiato ai confini dell’universo, a guardare il big bang come fosse lo sbocciare d’un fiore, fatto di stelle e galassie anziché di petali e spore.
Per un po’ lo zio si sarebbe accontentato. L’anno seguente regalò a Gustavo un planetario da camera e l’anno dopo ancora un telescopio. Continuò a chiedere del tempo e dello spazio a quel giovane bambino, ogni estate e ogni giorno che passavano assieme, finché non morì, in un incidente, a soli trentanove anni di età. Gustavo Pringklow, morto lo zio, proseguì gli studi, scoprì l’amore, viaggiò, cambiò e molto lesse. Arrivato il momento, senza pensarci, decise di specializzarsi in astrofisica, con una tesi sul movimento relativo delle masse galattiche. Mutò la concezione di spazio, di tempo e delle dimensioni, accorciò la distanza tra noi, i nostri avi e i nostri pronipoti, ma soprattutto fece comprendere al mondo, in un linguaggio chiaro, come siamo tutti parti d’un tutto, d’un unico fiore che sboccia, infinito.
Quando uscì il suo primo trattato di studi di settore, il quale gli valse la fama futura, la dedica citava con semplicità e senza scalpore, semplicemente: “a mio zio e alle sue domande”.
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