Incastrato tra il delta ed il mare, Gorino è una striscia di case sconnessa dal resto del mondo. Mentre aspetto il mio autobus a Codigoro, 40 chilometri ad est di Ferrara, un’insegnante siciliana, di stanza in zona da ormai due anni, mi avvisa che è necessaria una buona dose di organizzazione se ci si vuole spostare coi mezzi pubblici in questa parte della regione. “Già Goro è servita male, per Gorino poi la situazione è disastrosa; a parte lo scuolabus, due volte al giorno, non c’è nulla. Meglio chiamare l’Ipertaxi, ma si deve fare con minimo 24 ore di preavviso, altrimenti non vengono“.
E’ l’una e mezzo quando salgo, finalmente, sull’autobus. Mi ero già preparata mentalmente ad un’ora di urla e schiamazzi e rimango invece colpita dal conversare composto che accompagna la mia corsa. Man mano che ci si avvicina a Gorino, il vociare diventa brusio ed infine silenzio. Le uniche due studentesse rimaste sull’autobus sono sedute vicine, ma non si parlano.
Scendo all’ultima fermata, Piazza della Libertà, e mi guardo intorno, insicura sul da farsi. Lo scuolabus è ormai fuori dal mio campo visivo: ora tutto è deserto, silenzio assoluto. Se non fosse per l’umidità che ti si appiccica al volto, per la nebbia che sbiadisce i colori rendendo ogni cosa astratta, irreale, potrei benissimo pensare di trovarmi in un villaggio western abbandonato. Tutto sembra essere “sospeso”, slegato dalla quotidianità del mondo. Siamo in tempo di festa, ma a Gorino non sembra curarsene nessuno. Solo con il calare del buio mi accorgerò di quella scarna scritta al neon, “Auguri”, che campeggia sul viale all’ingresso del paese.
Alla ricerca del mio albergo mi rendo conto che tutto il borgo si sviluppa in un diametro di pochi metri. Le uniche possibilità di pernottamento sono l’hotel Uspa e l’ostello Amore e Natura, ma entrambi paiono completamente vuoti. Un’anziana signora mi accoglie e subito m’informa di tutti i lutti familiari che l’hanno colpita nel tempo. Si affretta a precisare che sono l’unica ospite, assieme ad un pescatore che ha la camera di fronte alla mia e pernotta lí regolarmente, due volte a settimana. Per quanto riguarda un pasto caldo, posso scordarmelo, la cucina è chiusa ed in paese non saprebbe dirmi dove potrei trovare qualcosa, “ma alla cinque apre il mini-market“, mi rassicura. Non c’è nemmeno un bar centrale in cui passare il tempo.
Passo a comprare le sigarette e penso a una passeggiata sul lungo Po, ma il tabacchino apre alle quattro e mezza ed il distributore automatico richiede la tessera sanitaria. Italiana. Io ho con me soltanto quella tedesca e quando la inserisco una voce, a volume altissimo, mi avvisa che il documento non è valido. Dietro la finestra del primo piano, dalla casa di fianco alla tabaccheria, vedo la sagoma di una persona guardarmi. Ricambio, speranzosa, l’occhiata, ma lei rimane immobile. Cocciutamente reinserisco la mia tessera nel distributore automatico, che continua però, imperterrito, a rifiutarla. La sagoma è sempre lí, alla finestra, a fissarmi.
Vado comunque verso il delta del Po, senza cibo, senza tabacco. Immagino che su questa riva, d’estate, si possa partire per splendide gite in bicicletta, oppure in barca. Ma adesso no. Il vento gela le mani e taglia la faccia. Passeggiando mi soffermo a guardare il retro dell’ostello: tutto sembra chiuso, disabitato, trasandato.
Questo luogo è entrato nelle pagine di cronaca di tutto il mondo quando, la sera del 24 ottobre 2016, un gruppo di abitanti bloccò le vie d’accesso al paese, montando le barricate e respingendo l’autobus sul quale viaggiavano una ventina di profughi, destinati dal prefetto di Ferrara all’ostello Amore-Natura, nell’ambito del programma di accoglienza per i richiedenti protezione internazionale e asilo politico. L’edificio disabitato che ho davanti ai miei occhi avrebbe dovuto ospitare otto bambini e dodici donne, di cui una incinta. Le barricate erano state montate proprio su questa strada, a pochi metri da me. Alla fine gli abitanti hanno vinto, a Goro e Gorino i migranti non sono mai arrivati.
Sono sola, sull’argine del Po, sono sola praticamente da quando ho messo piede in questo luogo; tutto intorno un perfetto silenzio.
Comincio ad immaginare l’ostello con le serrande aperte, le luci accese, le voci delle donne e dei bambini: risate e pianti a riempire la nebbia. Giro attorno all’edificio e mi accorgo di una ragazza, ferma davanti al bar dell’ostello. Chiedo subito se è aperto, sperando ci sia la possibilitá di mangiare. Sanela, che gestisce il bar, mi fa entrare per un caffé, ma di cibo non se ne parla. Mi chiede stupita cosa ci faccia a Gorino ed io rimango sul vago. Le spiego che ho cercato di contattarla, ma invano, per riservare una stanza in ostello. Prova a giustificarsi, mi racconta dei problemi seguiti alle proteste contro l’arrivo dei profughi, della sua pagina Facebook bloccata dopo le centinaia di commenti pieni di insulti ricevuti, di come la gente, adesso, ci pensi due volte, prima di andare a Gorino. La sua voce sembra dispiaciuta. Ma come, penso, avete fatto i blocchi, avete scandito gli slogan razzisti, siete riusciti a non ospitarne nemmeno uno: non siete soddisfatti? Forse non tutti, a Gorino, la pensavano alla stessa maniera.
Non faccio in tempo a chiederle spiegazioni, a entrare dritta nel tema, che entrano due signore con torte e palloncini in mano, ad interrompere il nostro scambio. Di lí a poco inizia una festa privata per bimbi e così Sanela mi saluta, dicendo che se ho voglia di una birra, dopo le 20, mi puó offrire uno strappo in macchina fino a Goro.
Si sono fatte le quattro e mezza, lo stomaco ormai produce lunghissimi brontolii. Mi dirigo alla tabaccheria, sperando di trovare almeno uno snack per placare la fame nell’ultima mezzora che mi separa dall’apertura del mini-market. Appena entro realizzo che hanno solo cioccolata. La signora davanti a me sta parlando dei fatti suoi col tabaccaio e non capisco se ha giá ordinato o meno. Sono costretta a sentirmi tutta la loro chiaccherata, del resto lo spazio è quello che è. Mi sento di troppo, ma ho fame e resto ben ancorata alla mia posizione. Quando la signora decide di procedere con gli acquisti, mi accorgo che ordina sigarette per piú persone, scandendo i nomi di chi le dovrá fumare, e non la marca; “un pacchetto per Fausta ed uno per Mauro……ah no , Marco non Mauro, scusa…“. Il tabaccaio la serve come se fosse la cosa piú naturale del mondo. Uscendo, incrocio una delle due signore incontrate nel bar dell’ostello, che mi sorride: un altro signore mi saluta ad alta voce, come se mi conoscesse. Ho la strana sensazione che tutti sappiano già chi sono. Torno sul lungo Po, cammino mangiando la mia meritata cioccolata. Il paesaggio di campi incolti è piatto fino all’orizzonte ed è tagliato da un’unica striscia bianca, la strada che collega Gorino e i suoi 590 residenti a tutto il resto dell’universo. Il senso di claustrofobia ritorna, decido quindi di confermare il passaggio per Goro, la sera.
Gorino è immersa nella nebbia, gli scuri dell’ostello Amore e Natura sono quasi tutti chiusi: regna un silenzio vuoto.
Sulla strada per l’ostello mi fermo finalmente al mini-market. Sono l’unica cliente; la signora del bancone dei salumi e dei formaggi segue con lo sguardo ogni mia mossa. Innervosita da tanta attenzione, decido di abbandonare qualsiasi velleitá e di ripiegare sul classico panino prosciutto e formaggio. Mentre scelgo tra gli affettati, entra un secondo cliente, che saluta la commessa aggirandosi per il locale in ciabatte, come fosse nel salotto di casa sua. Sulla via del ritorno incontro nuovamente l’uomo del tabacchino che, come la prima volta, mi saluta ad alta voce. Non faccio in tempo ad entrare in farmacia che dietro al bancone ritrovo anche la signora delle sigarette, che era poi una di quelle incontrate anche in ostello per la festa dei bimbi. Nell’attesa sentiamo tutti, chiaramente, quali sono i medicinali richiesti da chi ci precede, e immaginiamo quindi le malattie di cui soffre. Per riuscire a comperare uno spazzolino devo subire un’esposizione della svariata offerta in negozio ed infine dare dettagli sulle mie gengive, per giustificare la mia scelta, prima di chiudere la trattativa.
Dopo aver riconfermato una seconda volta il passaggio per Goro passo di nuovo dal tabaccaio, dove vengo informata che a Gorino non si vendono biglietti dell’autobus. L’idea che esista anche solo una minima possibilitá di non riuscire a lasciare questo luogo aumenta il senso di nausea, già forte dopo le lunghe ore passate senza mangiare. La mattina seguente mi alzo alle sei, piú determinata che mai a partire. Gorino è immersa nella nebbia, gli scuri dell’ostello Amore e Natura sono quasi tutti chiusi: regna un silenzio vuoto. Quando riesco a salire sul bus mi sento leggera, sprofondo nel mio seggiolino mentre mi lascio alle spalle la scritta “Auguri”, che viene subito ringhiottita dalla nebbia.
No, il passaggio per Goro non l’ho mai preso.
REDAZIONE
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