I Giardini di Mirò saranno in concerto all’Urban Spree di Berlino il 17 gennaio 2017. Ad organizzare sono Le Balene Possono Volare e MegaHerz Booking Agency. I biglietti in prevendita sono disponibili on line presso koka36, oppure al Wale Café, sede de Le Balene Possono Volare e redazione di Yanez, in Hobrechtstrasse 24, 12047 Neukölln.
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Prima ho conosciuto Jukka, si accompagnava al quel grande oratore che è Max Collini. Insieme formavano una buffa coppia. Sembrava si fossero cercati apposta così diversi in ogni loro cosa. Insieme facevano anche Spartiti ed io ne organizzavo il live. Fu una cosa incredibile sentirli suonare al Monarch, club appoggiato alla piazza di Kottbusser Tor, con ampissime vetrate che si affacciano sulla sopraelevata della U-Bahn. Ricordo che rimasi incollato, per un lungo istante, a guardare la piazza e la strada, di sotto, i treni che passavano sfumandosi dal giallo all’invisibile, mentre l’uno suonava e l’altro raccontava. Mi convinsi di aver fatto una grande cosa.
Prima e dopo il concerto io e Jukka parlammo parecchio. Di musica, di politica e di cazzate. Aveva appena avuto un figlio, ma forse non è vero, ricordo male, lo stava per avere. Suonavo i miei vinili krautrock e lui era appoggiato di fianco alla consolle, a chiedermi di chi fosse quel pezzo e di che anno fosse quell’altro. Parlammo di Klaus Schultze.
Poi ho conosciuto Corrado. Un anno dopo, forse qualcosa di più.
Ad accompagnarlo c’era il maestro Emidio Clementi. Insieme stavano completando – organizzando tre tappe fuori dall’Italia – il tour di Notturno Americano.
Quando arrivarono per fare il soundcheck, io avrei voluto picchiare Nuccini, è durato pochissimo, non se ne accorse nessuno, ma quanto bastava per farmi impazzire dal terrore e poi dall’ira.
Corrado, ora lo sai.
È successo questo: arrivano, lui e Clementi. Entrano nel locale con tutta la loro roba, chitarre a tracolla, cartone di libri e merchandising in braccio. C’era anche quella fatina dolcissima che prende il nome di Sara, la moglie di Emidio.
Io esco per andare a recuperare qualcosa che non ricordo e in strada, in mezzo alla strada, trovo un libro di Clementi. Entro e lo comunico. Clementi dice gli sarà caduto a Corrado dalla valigia. Entrambi si girano e si accorgono che la valigia è aperta.
Corrado ci butta dentro entrambe le mani, poi anche la testa. Cerca e quando riemerge e alza lo sguardo, il terrore è dipinto sui suoi occhi.
Non c’è più l’Ipad.
Cosa significa che non c’è più l’Ipad?
Significa che l’ho perso.
Dove lo hai perso?
Non lo so.
È un problema per il live di stasera?
Non posso suonare senza Ipad.
Quello è il momento in cui ho pensato di picchiarlo, credo che fu anche il momento in cui Emidio pensò di dargliele.
Senza farla particolarmente lunga: Corrado aveva effettivamente perso l’Ipad, ma lo ritrovammo all’interno dell’ascensore dell’albergo dove erano alloggiati. Intonso.
Fu un grande concerto. Io piansi.
Tra qualche settimana li rivedrò insieme, Jukka e Corrado. Di nuovo a Berlino. Questa volta saliranno sul palco come Giardini di Mirò. La loro band, l’unica, se vogliamo. Suoneranno il 17 gennaio all’Urban Spree, nella storica cornice del Raw 99, riportando Rise and Fall of Academic drifting.
Il figlio di Jukka è nato, Corrado è sempre lo stesso che non riesce a scrivere una mail senza infilarci dentro una cazzata e poi, finalmente, conoscerò il resto della banda.
Ho provato a chiedergli una cosa particolare che sapevo non sarebbe stata di semplice attuazione: che ognuno mi scrivesse un aneddoto che hanno vissuto in tour, nei loro primi tour. Ce l’ho quasi fatta, perché sono riuscito a prendermi anche Michele Venturi e Luca di Mira. Gli altri non ne hanno voluto sapere. Loro suonano, non scrivono. Ok.
Oltretutto Michele ha fatto una cosa bellissima: ha ripescato – chissà da dove – delle vecchie foto di un tour europeo datato 2008.
Questa è la Berlino dei Giardini di Mirò e di Rise and Fall of Academic drifting.
Corrado Nuccini
Se penso al primo tour dei Giardini di Miro’, del 2002, vedo un mappamondo che ruota intorno ai tanti ricordi incredibili come la macchina di Daniele Prandi che ci seguì per tutto quel tour per farsi una scampagnata fuori da Quattro Castella, vedo la faccia di Giacomo Fiorenza trasfigurata dall’alcol e dalla stanchezza con la t-shirt rosa taglia ‘S’ da donna e l’ombelico di fuori.
Vedo Christophe e Johannes che da Amburgo ci seguirono per tutte le date e Johannes che l’ultima sera rimorchiò e noi ci incazzammo. Mi torna in mente la bellezza sovietica di Dresda, le ore al finestrino ad immaginare mondi sui quali nessuno di noi aveva camminato ed ancora la ruggine rosso scuro del guardrail dell’autostrada del Brennero, le infinite varietà di stranezze che si trovano negli autogrill in Germania.
Ricordo il desiderio di avere una macchina fotografica digitale perché non c’erano i cellulari e la mia testa aveva meno memoria dell’ambizione di ricordare le cose. E che direi di Tammu che fece trent’anni a Berlino? Proprio la sera del nostro primo concerto in città! Vi rendente conto? Trent’anni a Berlino. Io che ne avevo due di meno pensavo che per lui ormai fosse finita e così gli rovesciai una birra intera giù per il collo e lui mi picchiò. Ora che Tammu di anni ne ha quarantacinque e io sempre due di meno, ecco, penso che di questi viaggi ricorderemo, oltre ai concerti, la musica e la strada percorsa, quel profumo d’Europa che da Berlino spira verso Amsterdam, Milano, Parigi, Barcellona, Atene. E lì, proprio nel cuore del continente, allora come oggi, il nostro furgone che arranca carico di strumenti verso la prossima meta. E’ un’idea dolce e stralunata con la quale mi riconcilio.
Jukka Reverberi
Stamattina, sabato 3 dicembre 2016, leggo alcuni articoli sul mio portatile. Politica, musica, qualche cavolata per alleggerire. Mi imbatto nella storia di Ableton raccontata dai suoi due inventori. Tra le righe c’è la descrizione di una Berlino completamente diversa da quella di oggi, ovvero la città degli anni 90, un mondo nuovo e diverso che custodiva tutti i migliori segreti nelle sue cantine. Tutto tenuto insieme con il fil di ferro e l’entusiasmo. La prima volta che arrivammo come gruppo, nella capitale tedesca si respirava ancora quell’aria. le cose iniziavano a cambiare e Postdamer Platz non era più solo un’infinito cantiere come solo pochi anni – forse mesi – prima.
Prenzlauer Berg era ancora il posto più vivace della città, la zona viva e giovane, non l’immenso asilo nido borghese di oggi. Per noi che arrivavamo dalla provincia della provincia, suonare a berlino era un traguardo e forse anche una piccola vittoria personale. Scoprire di avere addirittura un pubblico non esclusivamente italiano fu un’altra di quelle belle sorprese che la nostra carriera artistica ci ha riservato. Alla fine di quel primo concerto berlinese al Magnet, fui avvicinato da una persona – tranquilli, nessun clichè da rocker in tour.
A parlarmi, timidamente, fu un ragazzotto impacciato che con il suo inglese da tedesco mi disse di un programma musicale innovativo per fare musica elettronica dal vivo. Sapendo della mia passione per quei suoni mi chiese se ne ero interessato. Ovviamente ero interessato, ma in tour, pochi soldi in tasca, magari poteva lasciarmi un contatto che ci saremmo sentiti al mio ritorno. Insomma applicai la classica via di fuga di fronte al piazzista. Il giovane mi lasciò un biglietto da visita che senza guardare misi in tasca. Il giorno dopo a colazione riguardai il cartoncino e scoprii che non si trattava di un biglietto da visita ma del codice con cui gratuitamente potevo scaricare ed installare Live di Ableton nella sua forma sperimentale. Insomma, una delle società che stava per cambiare il modo di fare musica aveva deciso di sponsorizzarmi con il suo nuovo rivoluzionario programma ed io li avevo scambiati per quelli di Lotta Comunista che cercavano di vendermi il loro giornale. questa storia non parla di Ableton, ma di quanto eravamo (ero) fuori dal mondo prima di iniziare a girare l’Europa con un furgoncino carico di Parmiggiano Reggiano, pasta e vino. ma questa storia ve la racconterà sicuramente qualcun altro.
Michele Venturi
Mi piace Caravaggio. A Berlino, nella pinacoteca nazionale, c’è un suo quadro.
La mattina dopo il concerto ci sono poche ore di sonno e lo sciopero dei mezzi, così m’incammino da Friedrichshain in direzione del Kulturforum, oltre Postdammer Platz.
Un bel pezzo di strada, ma abbiamo tempo, partiamo tardi, Lipsia è vicina.
Quella era la mia prima volta a Berlino e me ne accorgevo proprio attraversandola dai quartieri della zona est, lungo Frankfurter Allee e Karl Marx Allee, a naso all’insù in Alexander Platz, serpeggiando tra chi corre sugli argini della Spree, dove, anni dopo d’estate, avrei bevuto birra con La Francesca.
Il Muro e Renzo Piano, Mies van der Rohe e finalmente Caravaggio.
Camminando, ripenso al concerto e mi accorgo di essere più contento rispetto alla sera prima: assaggiare la città a piedi mi fa aumentare la consapevolezza del privilegio di poter suonare in posti come questo.
Amor Vincit Omnia, rappresenta l’amore che vince sulle arti, dicono.
Io ci vedo più collaborazione che sopraffazione.
Boh.
Luca di Mira
Quando in questa primavera si è iniziato a parlare di lavorare su un progetto di “celebrazione” di un album che per tanti ha segnato un periodo importante nel panorama musicale italiano come Rise and Fall of Academic drifting, la mia reazione è stata quella di considerarla come una cosa marginale, non amo molto le celebrazioni, mi piace e mi stimola maggiormente parlare e ragionare di progetti futuri, di ciò che verrà dopo.
Tanto più che la celebrazione riguardava un pezzo di me, una parte di noi.
Col tempo le pressioni si sono manifestate sempre più forti anche dall’esterno del gruppo e allora mi sono arreso pensando che tutto questo potesse avere un senso e che andasse oltre quella manciata di brani che in molti hanno amato e che tanti amano ancora, ho pensato che dovesse essere qualcosa con il quale misurarmi, un arresto forzato che mi imponeva prima di suonare, di riflettere, di rivedere ciò che ero e che eravamo quindici anni fa. Così ho sfoderato i vecchi “ferri del mestiere” e da allora è cominciato un viaggio a ritroso nel tempo che è partito appena ho rimesso le mani sul mio caro vecchio Fender Rhodes, che utilizzavo durante gli anni di tour legati a molti dei brani che suonavamo dal vivo in quel periodo.
Non so se queste considerazioni possano coinvolgere chi sta leggendo queste righe in questo momento, ma suonare quei brani dopo quindici anni ha inevitabilmente risvegliato ricordi, luoghi, amicizie, persone e vicende che erano riposte nel fondo della mia memoria e che riguardavano un periodo preciso della mia vita e della vita del gruppo.
I luoghi erano quelli in cui abbiamo suonato; club, festival, ma anche le sale prova in cui sono nate le canzoni, le sessioni di registrazioni all’Alpha Dept di Giacomo Fiorenza a Firenze, i viaggi in auto da Reggio Emilia per andare a registrare, i promoter, i volti di quelle persone a cui riempivi la vita per un’ora di musica e di quelli che dopo tanti anni vengono a salutarti dopo un concerto e ti portano un album che avevano acquistato all’epoca e ti chiedono di autografarlo.
Così ogni volta che provavamo i brani prima del tour emergeva un frammento di ricordo, un volto in più, un luogo in più, un pezzo della mia vita privata che era ed è ancora indissolubilmente legata a quel periodo e a quei suoni, un rivedersi adesso che inevitabilmente ha fatto nascere tante considerazioni e tanti pensieri su come eravamo e come siamo adesso e che ci proietta verso la domanda “come saremo domani?”.
Il tour è cominciato, le date si sono susseguite una dopo l’altra di club in club, di città in città, vivendo i viaggi con il solito spirito goliardico che ci ha sempre accompagnati durante le nostre trasferte, conoscendo nuove persone, riabbracciando anche chi, tanti anni fa, aveva creduto in noi ed era lì per affetto o per curiosità.
Tra un luogo e un altro, mentre il tempo passava, pensavo a quei momenti che quasi sicuramente tutte le band attraversano, quei momenti in cui ci si ferma perché la vita di tutti i giorni bussa prepotentemente alla tua porta, perché ci si stanca e ci si vuole purificare da tutto o semplicemente perché non c’è più condivisione su certi temi, ma aver viaggiato nel passato a bordo di una manciata di canzoni mi ha portato ad una consapevolezza, che rappresenta per me un punto di arrivo ma che è allo stesso tempo un punto di partenza.
Oggi come domani siamo e saremo prima di tutto un gruppo di persone legate da una grande amicizia e passione per quello che facciamo e come tutti gli amici si litigherà, ci si abbraccerà, ci si separerà forse ancora con la consapevolezza che c’è un filo che non potrà spezzarsi facilmente, allora tutto quello che hai vissuto trova una sua ragione di essere: continuare ad esserci.
Per quelli che sono tornati per curiosità, per quelli che sono venuti a riabbracciarti, per quelli che ti hanno chiesto di autografargli l’album, per quelli che non c’erano e che ora ci sono, per chi ha suonato con noi, e per tutti noi che continueremo a suonare.
REDAZIONE
Wale Café
Hobrechtstrasse 24, 12047 Berlin