Il day-after delle elezioni federali tedesche consegna alle cronache una situazione ampiamente prevista da sondaggi ed analisi alla vigilia del voto.
Il crollo della SPD, la pesante frenata di Angela Merkel e l’esplosione dell’estrema destra di AfD, accompagnata dai liberali di FDP, erano stati pronosticati da tutti gli istituti di statistica.
Per rendersi conto in maniera plastica di come questi risultati fossero attesi da lunghissimo tempo, basta dare un’occhiata alle rilevazioni di INSA (Institut für neue soziale Antworten) dal gennaio 2016 ad oggi. Le percentuali dei sei partiti entrati in Bundestag (CDU/CSU al 32,9%, SPD al 20,5%, AfD al 12,6%, FDP al 10,7%, Die Linke al 9,2% e Grüne all’8,9%), restano stabili durante più di 18 mesi, a parte brevi passaggi nei quali il consenso rilevato si modifica in maniera repentina a causa di avvenimenti specifici (come nel caso della ripresa SPD ad inizio 2017, durata poche settimane e legata all’ufficializzione della candidatura di Martin Schulz) spostandosi di massimo tre punti percentuali rispetto ai risultati ufficiali arrivati con le elezioni di ieri.
L’unico partito del gruppo ad aver incrementato radicalmente i suoi consensi nel corso dell’ultimo anno è l’FDP, il Freie Demokratische Partei, che di fatto è andato a prendersi i voti di quanti, scontenti dalle politiche migratorie di Angela Merkel, non se la sono però sentita di votare per i populisti di AfD ed hanno quindi optato per una soluzione più cauta: l’FDP, appunto.
Il quadro è quindi chiarissimo.
Sempre appoggiandoci alle rilevazioni INSA è infatti evidente come il crollo dei consensi verso la CDU avvenga nell’autunno-inverno 2015.
Cosa succede in quel periodo? C’è un’immagine molto precisa che ci permette di ricostruire con precisione il percorso sociopolitico che porta ai risultati di ieri: è la foto di Aylan Kurdi, il bambino siriano il cui corpo senza vita giace riverso sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, affogato nel tentativo di raggiungere l’isola greca di Kos. Quell’istantanea diventerà il simbolo di un momento storico difficilissimo, con centinaia di migliaia di profughi in fuga e la questione rifugiati, di colpo, che ritorna con prepotenza dentro il dibattito politico e mediatico di tutta Europa.
Aylan muore il 2 settembre 2015. In quel momento la CDU di Angela Merkel ha oltre il 40% di consensi in Germania, mentre AfD è ferma intorno al 5%.
In due mesi, da settembre 2015 a novembre 2015, la CDU perde 5 punti percentuali, proprio a favore di Alternative für Deutschland: punti che non recupererà più (anzi, ne perderà altri, come abbiamo visto) e che sono direttamente legati al fastidio che una parte sempre più consistente del paese, soprattutto ad Est e in Bavaria, prova nei confronti della Wilkommenspolitik della Cancelliera.
La decisione di accogliere oltre 1 milione di profughi, presa in maniera fulminea e senza alcuna verifica politica interna, erode in maniera drastica il consenso di Angela e fa esplodere definitivamente il malcontento di tutta la Germania povera e infelice, di tutti quei tedeschi che non si identificano nell’immagine di benessere e stabilità messa insieme, con fatica, dal governo, e che invece, dati alla mano, scricchiola spaventosamente.
Alternative für Deutschland porterà nel Bundestag 94 deputati, infrangendo il tabù della destra nel Parlamento tedesco e facendolo in grande stile: è il terzo partito in Germania. Se è vero che AfD ha costruito il suo successo andandosi a conquistare lo spazio lasciato libero dalla CDU, bisogna sottolineare come il voto per questo soggetto politico nato appena quattro anni fa sia, soprattutto, un voto di protesta, un voto anti-Merkel, un voto che ha convinto ad andare alle urne, secondo le statistiche elaborate dalla televisione di stato tedesca, 1 milione e 200.000 persone che avevano scelto di non votare nel 2013, e che hanno invece stavolta espresso il proprio consenso verso AfD.
È proprio a partire da questo punto, e cioè a dire dalla connotazione del voto ad AfD come voto di protesta, che si fa fatica, oggi, a immaginare questo partito come capace, nel tempo, di confermarsi terza forza politica del Paese. I sondaggi hanno mostrato come il 60% degli elettori di Alternative für Deutschland abbia espresso la preferenza intendendola “contro tutti gli altri partiti”, mentre soltanto il 34% ha dichiarato piena convinzione nei programmi di AfD.
Sempre restando sulle rilevazioni interne agli elettori AfD, più del 70% ha dichiarato che avrebbe votato CSU (il partito partner della CDU di Angela Merkel, ma su posizioni molto critiche spetto alle politiche di accoglienza della Cancelliera), se fosse stato presente fuori dalla Bavaria, mentre addirittura l’86% ritiene, nonostante l’abbia votato, che il partito dovrebbe distanziarsi maggiormente da alcuni concetti vicini all’estrema destra.
Tutti questi dati hanno un unico e solo significato: la relazione fra AfD ed i suoi elettori è estremamente debole e, come spiega bene Cas Mudde su The Guardian, è delineata, principalmente, più dall’opposizione verso gli altri partiti, che dall’adesione al progetto di Alternative für Deutschland.
Ovviamente ciò non significa che AfD non possa trasformare questo consenso in qualcosa di molto più consistente: tutto dipenderà dal modo in cui saprà adeguarsi ai meccanismi parlamentari e ad un’esposizione politica e mediatica che andrà ora molto oltre i comizi di piazza.
In qualche misura, i risultati di queste elezioni somigliano molto al voto federale del 2009, il secondo vinto da Angela Merkel. In quell’occasione la CDU si fermò al 33,8%, mentre la SPD crollò al 23%. I grandi vincitori furono la FDP, che raccolse quasi il 15% dei consensi, andando al governo, e le formazioni di Grüne e Linke, che sfondarono il tetto del 10%. Quell’esperienza di governo convinse i tedeschi della necessità di avere un paese più stabile: alle successive elezioni del 2013 FDP, Grune e Linke crollarono, mentre la CDU andò oltre il 40%.
La crescita dei piccoli partiti in queste elezioni del 2017 sembra quindi, tutto sommato, comprensibile, soprattutto se si considerano i 12 anni di governo ininterrotto di Angela Merkel, che inevitabilmente alimentano un sotterraneo desiderio di cambiamento, e le prevedibili ripercussioni elettorali della Grosse Koalition: la percezione di avere di fronte due partiti speculari, CDU ed SPD, ha portato molti tedeschi a puntare su formazioni più piccole.
Ciò detto, in un certo senso la speranza è che questi risultati possano ridare vigore alla sonnolenta democrazia tedesca. Una SPD finalmente all’opposizione non potrà che uscire rinforzata dai prossimi 4 anni, soprattutto se Martin Schulz proseguirà nel suo ruolo di riferimento. Allo stesso tempo, AfD dovrà trovare equilibri del tutto nuovi all’interno dello schema istituzionale e potrebbe doversi confrontare con pesanti lotte interne per una distribuzione di potere mai sperimentata prima, perdendo concentrazione e consensi.
Infine, la coalizione Jamaica, CDU/FDP/Grüne, al momento l’unica percorribile, potrebbe in fondo risultare meno complessa di quanto ci si aspetta in questa vigilia.
Questa la migliore delle ipotesi.
Nel caso peggiore, invece, AfD riuscirà a sfruttare al massimo la nuova visibilità (e le centinaia di poltrone) che gli saranno, purtroppo, assegnate, riuscendo a ritagliarsi una dimensione istituzionale che renda mainstream il suo discorso populista. Allo stesso tempo, la CDU potrebbe faticare a tenere insieme una coalizione troppo sfilacciata dalla coabitazione FDP-Grune, con i liberali che potrebbero affondare in qualsiasi momento un colpo anti-euro, mandando a monte i nuovi tentativi di alleanza franco-tedesca. Trainata dal calo dell’industria automobilistica e dalla difficoltà di sostenere la pressione internazionale per un ruolo militare più centrale, la Germania potrebbe allora imboccare un percorso di instabilità molto pericoloso.
REDAZIONE
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